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Fidato e prudente nella piccolezza

Briciole dalla mensa - 19° Domenica T.O. (anno C) - 8 agosto 2022

 

LETTURE

Sap 18,6-9   Sal 32   Eb 11,1-2.8-19   Lc 12,32-48

 

COMMENTO

 

«Piccolo gregge»: Gesù non guarda i numeri. Egli stesso ha detto che, dove due o tre sono insieme, nel suo nome, Lui è in mezzo a loro (cfr. Mt 18,20). Allora la piccolezza si riferisce alla poca importanza che la comunità dei credenti nel Signore assume agli occhi del mondo. Infatti è una "famiglia" con uno stile illogico al mondo: dà in elemosina «ciò che possiede»; è alle dipendenze della venuta del suo Signore, mai padrona del suo tempo e del suo essere; è tutta dedita alla responsabilità del proprio ruolo, senza potersi mai concedere delle preoccupazioni per sé. Una vita insensata per la mondanità, ma veramente bella nel prendersi cura del mondo, nel proprio piccolo, appunto.
E lo sguardo della fede guarda ad una promessa incredibile che Gesù fa a coloro che saranno così vigilanti: il padrone «si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli». Il Signore stesso si farà loro servo: Dio ha un grande culto per l'uomo, ha un grande rispetto, ha dato la sua vita divina e umana per lui. L'uomo, per Dio, conta più di se stesso, appunto perché lo ama!

 

Essere «pronti» è nel modo stesso dell'attesa della salvezza. Infatti, «con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» è come gli ebrei dovevano celebrare la Pasqua mentre aspettavano, nella stessa notte, la liberazione dalla schiavitù (cfr. Es 12,11). Allora, attendere la venuta del Signore è come un esodo, un viaggio in profondità verso se stessi, il mondo, gli altri. Dove il tutto non è determinato da me e non trova il centro in me; ma è una continua scoperta di sé nella relazione con gli altri. Attendere il Signore è ascoltare il mondo, e lasciargli spazio dentro di me: questo rende pronti a riceverlo. «Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore»: si è trasformati in ciò che si ama, «noi diventiamo ciò che amiamo». E vivere la carità porta ad essere assimilati alla Carità, esito finale e definitivo della nostra umanità.

 

La parabola dell’«amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito» declina la vigilanza in termini di responsabilità positiva verso gli altri (non «percuoterli»), verso se stessi e le cose (non «mangiare, bere e ubriacarsi»), con Dio (il padrone che ha affidato il compito e che sta per tornare). Se si snatura il rapporto con Dio (non ci si preoccupa, in sua assenza, di essere «fidati e prudenti» nella responsabilità data) si finisce con lo snaturare anche il rapporto con gli altri e con le cose, non mettendo il meglio di se stessi (rapporto con sé).
Invece, Gesù dichiara «beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così», cioè a servire. È il servo che ha fatto della responsabilità del proprio compito il motivo della sua vita, quindi della sua gioia e anche del suo riposo, nel servire il Signore e i fratelli. «Chi ama, ama servire le persone amate». Chi si sperimenta come piccolo, trova negli altri dei motivi per la sua gioia. Si spende senza misura, come «servo inutile», che significa «servo senza utile», che ha cioè un compito importante, ma non lo svolge per propria gloria o guadagno.

 

La responsabilità dei credenti sta nel «conoscere la volontà del padrone», per cui è necessario agire «secondo la sua volontà». Essa è il progetto di salvezza per il mondo. È ad esso che i credenti devono mettersi al servizio. Per il mondo, appunto, non per se stessi.
Oggi si vive una fede ancora troppo rinchiusa nella preoccupazione per se stessi: pratiche religiose per salvarsi l'anima. Invece, il vero credente è colui che si fa prendere dalla stessa passione del Signore per la salvezza di tutto il mondo.
Il servo che «non conoscendo la volontà del padrone, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche». È come Ninive, nel libro di Giona: città peccatrice per antonomasia. Ma, per Dio, il suo peccato è solo ignoranza: «Centoventimila persone che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra», dice Dio, «e io non dovrei averne pietà?». Questa passione di Dio deve essere anche la nostra, suoi servitori per la salvezza, piccolo gregge per la grande umanità.

 

Alberto Vianello

 

“Roba mia vientene con me!”, gridava Mazzarò correndo per l’aia dietro gli animali da cortile e ammazzandone quanti ne raggiungeva col bastone. Era alla fine, disperato perché la sua roba gli sopravviveva! Altro per la testa non aveva avuto mai che guadagnare con ogni mezzo, strozzinaggio compreso, e acquistare terre e campi e vigneti, tanti quanti ne possedeva il re, fino all’orizzonte ed oltre e la sua anima pareva stendersi su tutta quella superficie. Così racconta il Verga.

Siamo strani: sappiamo che la vita è protempore, eppure ci sistemiamo in essa come se fosse eterna! Si potrebbe dire che l’intera Scrittura sta sul dato naturale, ovvio per tutti: qui siamo stranieri, si va altrove. Ma restiamo attaccati alla terra, al nome, ai beni, alla roba, all’immagine come le cozze allo scoglio. In ciò la Scrittura non aggiunge nulla alla sapienza antica come anche al verismo del racconto verghiano. La buona notizia è ‘per dove si va e come ci si potrebbe andare, volendo’.

“Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno...”. Cioè, “beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”.

La cultura del ‘tutto e subito’ della quale siamo imbevuti non è compatibile con la lezione della Parola. Magari intanto un scampolo, un compromesso, un colpo al cerchio ed uno alla botte…? Niente, bisogna darci un taglio.  “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Così essa crea rapporto con chi promette. È un criterio buono anche per le nostre cose. Che qui non sono perfette e vorremmo giustamente il meglio da noi stessi come dagli altri. L’uomo vecchio però non è morto una volte per tutte. È morto quanto al senso, quanto al fatto che non contiene un destino di bellezza, di autenticità, di liberazione. È superato in noi, forse, ma giace e si insinua in noi come la gramigna da bruciare l’ultimo giorno. Le relazioni ne sono segnate, c’è poco da fare. Ci vuole lavoro interiore, occorre ‘vigilare’ appunto. La fede è necessaria anche in questo: la fede funziona come l’effetto Pigmalione, l’effetto ‘aspettativa’, secondo Rosenthal. Ed è scientifico: un insegnante che ripone fiducia nel suo alunno ed ha speranza certa nel suo successo ne favorirà il successo. Al contrario, se in cuor suo lo giudica incapace, il malcapitato dovrà ricorrere a delle benedizioni o cambiare aria per riuscire in quella materia. Ora, nel caso auspicabile, non solo ci sarà un effetto positivo ma si stabilirà anche una relazione di amicizia fra i protagonisti. Pare che Dio usi lo stesso metodo. Abramo, l’amico di Dio, ebbe fiducia oltre le prove e che prove! Si capisce allora che la fede si nutre della speranza di vedere quel che oggi non c’è. E la fiducia diventa amore.

Ma Pietro merita un riconoscimento a parte. Eh, sì, la sua concretezza simile alla nostra è una prova della veridicità storica del vangelo. il suo intervento è eccedente rispetto al tema e spesso gli succede, spara un po’ a caso, proprio come accade ad uno di noi. Come gli somigliamo almeno in questo! Parla come pensa: ‘Noi costituiamo il ‘giglio magico’, saremo i ministri del regno… questi richiami a star pronti, a vigilare riguardano noi come gli altri? Quel padrone verrà come un ladro anche per noi?’.  E le prende sui denti. “Il servo – e sei tu, Pietro, con gli altri - che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche”, ma tozze anche a lui!

Diceva quel prete: “Ora che le cose le sai non puoi più far finta di non saperle!”. Noi che bene o male ascoltiamo il vangelo per quanto poco ci siamo dentro. Ahimé, Pietro, fratello di percosse, ci hai messo in un bel guaio. Occorreva proprio che tu parlassi?!

 

Valerio Febei e Rita

 

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