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Ferite risorte, ferite guarenti

Briciole dalla mensa - Domenica di Pentecoste (anno A) - 31 maggio 2020

 

LETTURE

At 2,1-11   Sal 103   1Cor 12,3-7.12-13   Gv 20,19-23

 

COMMENTO

 

Per una volta provo a non interpretare negativamente il fatto che il giorno della risurrezione di Gesù i discepoli stanno a porte chiuse «per timore dei giudei»: può esprimere la prospettiva della persecuzione, per ora solo possibile ma già effettiva. Essa fa parte del mistero pasquale: esprime la partecipazione della comunità dei discepoli di Gesù alla morte e risurrezione del suo Signore, «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta» (Gv 1,4). Il male cerca sempre di insinuarsi laddove le energie della Grazia operano effettivamente fra i credenti. Lo constatiamo anche in questi giorni: ci stupisce, ci addolora, ma in definitiva non ci deve sorprendere e nemmeno portarci a trarre giudizi negativi.
In questa situazione, «venne Gesù e stette in mezzo». Nel Vangelo di Giovanni Gesù non «appare» mai, perché si vuole evitare che ci si faccia una rappresentazione idolatrica o riduttiva e banalizzante del Risorto. Ci si può "immaginare" soltanto una cosa, espressa dal verbo «venire»: Gesù si è approssimato, si è fatto vicino, la condizione di Risorto non lo distanzia, ma lo fa convergere verso l'umano. E poi Giovanni dice: «stette in mezzo». Gesù risorto è il centro del mondo e della storia. Non è un attraversa-muri: è liberato dalle coordinate dello spazio e del tempo che segnano la nostra vita, ma viene a invadere e visitare lo spazio e il tempo, trasfigurandoli in un'eternità.

 

«Mostrò loro le mani e il fianco»: da questa ostensione deriva il dono della pace e l’invito a perdonare. Perché solo chi ha accettato fino in fondo le proprie ferite, come ha fatto Gesù, può diventare veramente fonte di pace e riconciliazione. Gesù ha vinto in se stesso, nella sua carne, con l'amore, il male patito, facendo prevalere il dono gratuito sulla vendetta e sulla rivalsa. Non si è sentito vinto, non ha accusato, non ha promesso giudizi; in prima istanza, forse, non ha nemmeno riparato; ha semplicemente accolto fino in fondo: «Io sono questo… Ma sono». La dignità che gli hanno tolto, la vita che gli hanno sottratto, Lui li ha vissuti non come «un tesoro geloso» sottratto, ma come una condivisione fino in fondo, «fino alla fine». Così Gesù ha stabilito la pace dentro se stesso, e per questo può stabilire la pace fuori di sé.

 

Nella Bibbia, la pace presuppone un giusto rapporto dell'uomo con Dio, con gli altri e con se stesso. Non è un facile irenismo: per realizzarla c'è sempre un costo, un debito da pagare. Dunque, se Gesù risorto dona la pace ai suoi discepoli significa che Egli realizza un perdono al di là di ogni attesa. Non chiede i conti: li fa quadrare. Così vince ogni resistenza, supera ogni scrupolo: la pace è il bene per eccellenza per i tempi del Messia.

 

In ordine al dono dello Spirito Santo, Gesù compie ora un atto creativo e ricettivo. Il suo «soffiare» richiama proprio la creazione dell'uomo (cfr. Gen 2,7; Sap 15,11): non è un semplice far esistere, è comunicare alla carne umana la stessa vita di Dio. Il soffio creativo di Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza, il soffio carismatico di Gesù rende i credenti capaci di perdonare e riconciliare tutti come ha fatto il Signore.
Per Giovanni, morte e risurrezione stanno strettamente insieme: Gesù morendo «consegna lo Spirito», Gesù risorto alita lo Spirito. Ma c'è una differenza; qui Gesù specifica il suo atto con questa frase: «Ricevete lo Spirito Santo». Significa che non solo lo dona, ma che anche rende capaci i discepoli di accogliere il dono, e farlo diventare parole e gesti di pace e perdono. Non abbiamo più scuse.

 

A questo riguardo, volevo soffermarmi, in conclusione, sull'affermazione finale del brano, che tante volte si trascura. Gesù dice in negativo ciò che ha detto in positivo: «A coloro a cui non perdonerete [i peccati], non saranno perdonati». E un avvertimento che vuole suscitare la consapevolezza della responsabilità che abbiamo nel comunicare il dono: «Dipende da voi che il peccato sia perdonato oppure no». La Chiesa è il corpo risorto del Cristo e quindi è la più diretta dimensione della misericordia e del perdono. In Cristo, per mezzo dello Spirito, Dio si è talmente legato agli uomini che spetta prima di tutto a noi - in quanto battezzati partecipi del sacerdozio di Cristo in virtù del sacerdozio battesimale e comune dei fedeli -, prima del sacerdozio presbiteriale o ministeriale, il compito di essere agenti della riconciliazione. Ogni peccato da noi non perdonato trattiene l'azione di Dio. E qui si comprende che la Chiesa poi si struttura anche in modo che questo dono di Dio si realizzi: il sacerdozio presbiterale, perché il sacerdozio battesimale sia effettivo. I discepoli sono stati «consacrati al perdono» vivendo, nell'ultima cena, l'amore e il perdono di Gesù per Giuda: anche a lui ha lavato i piedi, solo a lui ha consegnato il boccone dell'intimità d'amore e del perdono.

 

Alberto Vianello

 

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