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Fedeltà

Briciole dalla mensa - Natale del Signore Gesù - 25 dicembre 2018

 

LETTURE

Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

 

COMMENTO

La vuota retorica, il forsennato consumismo e - soprattutto quest'anno - anche l'assurda strumentalizzazione del Natale ci spingono a tornare all'essenziale: alla parola di Dio. Non si tratta di una fuga o di un rifugio nello spirituale, lontano dal mondo e dalla sua attualità. Perché la parola di Dio ci porta a scoprire il vero Adamo che inizia una nuova storia: duemila anni fa, e a ogni nuova celebrazione del Natale.
Questo Uomo vero, perché tutto intessuto di Dio, nasce però in una condizione umana fragile e precaria: conosciamo tutti molto bene il racconto del Vangelo e la scena del presepio. Certo, un bambino che ha una mangiatoia di animali come culla riveste una condizione umana attraverso la quale ogni uomo sulla terra può così sentirlo vicino a sé, soprattutto se è povero e sofferente: se dunque «solidarietà» è una delle parole chiavi del Natale, come possono rifarsi al presepe coloro che rifiutano ogni disponibilità verso un uomo povero con il quale il Signore si identifica!? Ma tale condizione di nascita del Figlio di Dio non è artefatta: è, infatti, la situazione esistenziale del padre putativo di Gesù, Giuseppe, un discendente della dinastia regale di Davide, dalla quale doveva nascere il Messia. È una dinastia decaduta e un popolo ridotto all'asservimento, conseguenza della loro lontananza da Dio. Certo, avevano il grande tempio di Gerusalemme, avevano il culto e i sacrifici, avevano i sacerdoti, avevano la Legge, avevano la coscienza di essere il popolo di Dio, ma Gesù verrà a mostrare che tutto ciò era solo una religiosità formale che schiavizzava l'uomo, come la povera vedova costretta a mettere nelle casse del tempio le sue due sole piccole monete. Quindi il Messia mandato da Dio, che è Dio stesso, nella sua nascita porta su di sé le conseguenze di questa colpevole desolazione del suo popolo. Certo, Dio sa trasformare il negativo in positivo, e questo è una costante della storia della salvezza, ma rimane vero che un Messia povero, pur alternativo alla ricchezza umana, rappresenta la povertà di fede dell'uomo. Non come denuncia e condanna, ma come stimolo e incoraggiamento. Dice Gesù: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sradicati e piantati nel mare", ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,6). Il mondo cambierebbe e ben presto regnerebbe di più la fraternità fra gli uomini se i credenti si riconoscessero e vivessero di quel piccolissimo seme (come la testa di uno spillo) che è la fede, ma capace di spostare le immense montagne dell'orgoglio.
Non ci si può limitare, allora, a denunciare i mali del nostro mondo, ma possiamo combatterli, dando spazio al Signore e al suo bene dentro la dimensione umana. Avendo sempre ben presente che la fede, comunque, è tutto e solo dono da accogliere e da condividere con i gesti della carità, non un privilegio e un'identità da usare contro gli altri.

 

Il Messia non solo nasce povero, ma vivrà marginale, fino alla sua morte in croce «fuori della città». Ciò non vuol dire che sia irrilevante, quanto, piuttosto, che sarà sempre alternativo rispetto al centro, luogo di potere e di conquista. Gesù non cercherà mai di conquistare il favore delle folle, non si innalzerà mai a paladino delle loro cause, ma si porrà sempre in silenzioso servizio dell'uomo, e parlerà di un regno di Dio che vuole rendere l'uomo più umano. Non susciterà mai un’esaltazione immediata, quanto la perseveranza e la responsabilità. Gesù non conquista gli uomini, ma li libera.

 

Ma un Messia povero - perché è Messia di un popolo povero - sta soprattutto a indicare la fedeltà di Dio: Egli non si stanca, non rinuncia, non abdica, nonostante il popolo perseveri nell’infedeltà al suo Signore. Davvero, nel Natale contempliamo e constatiamo una incrollabile e inaudita fedeltà di Dio, il quale non solo persevera, ma porta addirittura a pienezza il suo legame con il popolo. Mandando il suo Figlio come Messia, Dio si lega in maniera completa e irrevocabile con l'uomo: lo vuole riconquistare a sé, non con le minacce e le punizioni, ma con un abbraccio d'amore dal quale Lui stesso non potrà più sciogliersi, ma anche l'uomo non se ne potrà liberare.
Dove lo vediamo questo abbraccio? Nella mia vita ho sperimentato che nei momenti più critici o delicati il Signore mi ha messo una mano sulla testa e, magari attraverso l'aiuto di altre persone, mi ha molto sostenuto. Credo che questo sia avvenuto e avvenga anche nella storia. Se essa non è ancora precipitata nel baratro e, anzi, da grandi crisi si è risollevata trovando nuove vie di vitalità, sono convinto che sia avvenuto proprio perché il Signore l'ha in qualche modo custodita, quando l'uomo stava naufragando. Non è un credere nella magia, che renderebbe la nostra fede priva di responsabilità storica. È, invece, la fiducia in questa irrevocabile e concreta (perché fatta di carne) fedeltà di Dio all'uomo e a ogni uomo. Dal  Natale speriamo e attendiamo, attraverso la carità, il nuovo Adamo: il vivere dell'uomo nell'amore di Dio verso tutti.

Buon Natale del Signore Gesù a tutti.

 

Alberto Vianello

 

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