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È apparso il limite di Dio

Briciole dalla mensa - Epifania del Signore (anno C) - 9 gennaio 2022

 

LETTURE

Is 40,1-5.9-11   Sal 103   Tt 2,11-14;3,4-7   Lc 3,15-16.21-22

 

COMMENTO

 

«Ecco, il Signore Dio viene con potenza… Porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». Scopo del profeta è infondere consolazione («Consolate, consolate…») nel popolo triste e stanco, che vive l’esilio: vuol dire asciugarne le lacrime e suggerire motivi di gioia e di fiducia in Dio.
Dobbiamo sforzarci di guardare oltre le nostre fatiche, oltre le ferite o gli ostacoli che ci portano alla tristezza e anche alla delusione e alla rinuncia. E questo la Scrittura lo fa in maniera straordinaria infondendoci la fede in una «potenza» divina che è quanto più di delicato possa esistere: come quella del pastore che «porta sul petto» (non sulle spalle) i piccoli agnelli e adatta il passo di tutto il gregge alla lentezza delle pecore madri. Immagine eloquente e appassionante di una «potenza» che è tutta cura e delicatezza. Davvero il Signore lo "scopriamo" della nostra infinita debolezza, adattato alla fatica del passo della nostra vita e che ci vuol far sentire il battito del suo cuore ancor più che preoccuparsi di non farci sentire la fatica.

 

«È apparsa la grazia di Dio… Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini»: «apparire» non è un semplice darsi a vedere, perché è una «epifania» cioè, letteralmente, una luce che illumina, quindi si manifesta e manifesta. Compimento del tempo di Natale è, allora, il nascondimento - di un Messia nato povero e di un Figlio di Dio che riceve il battesimo dei peccatori -, ma paradossalmente che si manifesta: in esso c'è il dono gratuito di Dio, la sua bontà e la sua cordiale amicizia («filantropia» come quella di Dio con Adamo, prima del peccato). Se non si coglie il nascondimento di Dio in Gesù - che è compartecipazione alla nostra condizione umana limitata - non si può cogliere la «manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo».
E Lui, Dio è diventato "limitato": nelle sofferenze e nei drammi dell'uomo, Dio sta anche Lui nel dolore e nella contraddizione, e non possiamo "salvare" l’immagine di un Dio onnipotente che mette a posto tutto, aspettando che intervenga ora a punire il male. Come diceva Etty Hillesum, il nostro compito è, invece, quello di "salvare" l'immagine di un Dio limitato e impotente, che ci salva non salvando la sua "immagine" (infatti che Dio è quello che muore in croce gridando l'abbandono dello stesso Dio!).
Ma questa è la via della «salvezza» (cinque volte nella seconda Lettura): un Dio che si perde per salvare noi, «ha dato se stesso per noi per riscattarci». «Dare» è donare ad un altro, privandosi di sé. Dio, in Gesù, si è espropriato di se stesso per appropriarci della sua salvezza. Come poi sarà alla fine, noi non lo sappiamo: cioè come Dio riuscirà a recuperare tutto. Ma, di per sé, nell'opera di redenzione, Dio si spende e scompare, rimane solo l'uomo «rigenerato e rinnovato nello Spirito Santo». A tanto arriva il suo amore.

 

«Egli vi battezzerà in Spirito Santo» dice Giovanni di Gesù; e al battesimo «discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba». Scopo dell'umanità di Cristo è dunque accogliere lo Spirito Santo. È la somma dignità della nostra stessa umanità: diventare tutta ricezione dello Spirito.
Biblicamente, lo Spirito Santo è la libera volontà di Dio di comunicare con gli uomini e di vivere la comunione con loro. Dunque, tale comunicazione e comunione non va cercata in qualche luogo o in qualche situazione particolare, ma dentro la propria esistenza umana concreta. Anzi, è proprio quando Gesù abbraccia cordialmente tutto il proprio limite umano, ricevendo il battesimo di conversione, che lo Spirito scende sopra di Lui: i cieli sono aperti, quindi la comunicazione con Dio è "attivata", quando l'uomo, il Figlio di Dio, Gesù non fa sconti al suo essere uomo vivendone tutta la limitatezza. Finalmente c'è un uomo nel quale la comunicazione con Dio non è interrotta dal male, non perché Gesù si innalzi fino al cielo, ma perché si è sprofondato nella sua umanità. Significa che è dentro di noi che dobbiamo cercare la presenza di Dio: un'esperienza che, unica, ci può aprire al bene, al buono, al bello della vita.

 

Sappiamo che le parole della «voce dal cielo» sono solo parole della Scrittura: Dio non ha altre parole da dire per entrare in comunione con noi. Da questo ascolto al battesimo, da parte di Gesù, della Parola, se ne possono ricavare essenzialmente due elementi, che devono sempre caratterizzare l'ascolto della parola di Dio. Innanzitutto dobbiamo sentire rivolte a noi stessi le parole della Scrittura, come ha fatto Gesù: «Tu sei il Figlio mio, l'amato; in te ho posto il mio compiacimento». Davvero, rivolgendosi a suo Figlio fatto carne, il Padre si rivolge a ciascun uomo: nelle Scritture c'è il «tu» di Dio rivolto alla mia vita umana.
La seconda chiave di lettura sta nel fatto che l'ascolto della parola di Dio deve essere sempre occasione di conoscere l'amore di Dio: «Il figlio mio, l'amato». Qui c'è davvero la sintesi e l'apertura di tutta la Scrittura. «Siate in grado di comprendere quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità e conoscere l'amore di Cristo» (Ef 3,18s).

 

Alberto Vianello

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