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Dal tempio di Dio una terra irrigata di pace

Briciole dalla mensa - Dedicazione basilica lateranense - 9 novembre 2025

 

LETTURE

Ez 47, 1-2.8-9.12   Sal 45   1Cor 3,9-11.16-17   Gv 2, 13-22

 

COMMENTO

 

La Dedicazione della basilica Lateranense è una festa liturgica celebrata il 9 novembre - che quest’anno cade di domenica - e commemora la consacrazione della cattedrale di Roma, la Basilica di san Giovanni in Laterano. L’imperatore Costantino, dopo aver dato piena libertà ai cristiani, fece costruire sul monte Celio a Roma, sul luogo dell’antico palazzo Laterano, una magnifica basilica che papa Silvestro I dedicò al SS. Salvatore (318 o 324). La Basilica è considerata dai cristiani come la chiesa principale, la madre di tutte le chiese del mondo, ed è la cattedrale del vescovo di Roma, il papa. Più volte distrutta nel corso dei secoli, fu sempre ricostruita e l’ultima sua riedificazione avvenne sotto il pontificato di Benedetto XIII, che la riconsacrò nel 1724. Fu in quell’occasione che venne stabilita ed estesa a tutta la cristianità la festa che oggi celebriamo.
La celebrazione ci ricorda il cammino dell’intero popolo di Dio, vero tempio del Signore, in unità con il papa e con tutti i vescovi.

 

Nella prima lettura il profeta Ezechiele – siamo nel 592 a.C. circa – viene mandato ad aiutare il popolo, deportato in esilio a Babilonia, ad uscire dallo scoraggiamento e dalla umiliazione per non aver più una terra dove abitare e un luogo dove pregare. Il profeta annuncia il giorno in cui si tornerà ad adorare Dio in un nuovo tempio e l’uomo potrà ancora innalzare la sua preghiera a Dio, e Dio si avvicinerà all’uomo ascoltandolo e venendo in suo aiuto.
In questa visione del profeta osserviamo che c’è un elemento che campeggia con tutta la sua freschezza e la sua forza: l’acqua. «Vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio». L’acqua fluisce così velocemente e abbondantemente che diventa un fiume grande, sulle cui rive crescono una grandissima quantità di alberi, ricchi di frutti. Il fiume irriga tutta la Giudea, trasformandola in un giardino come quello di Eden, per dirigersi poi verso il mar Morto, per risanarne le acque. Questo fiume avvolge così tutta la regione, come le mura di un tempio, bagna l’intera terra di Israele e la risana; ne risana anche l’anima, profanata dal sangue innocente sparso inutilmente. Quella terra, divenuta un deserto arido e inospitale, a causa delle sue nefandezze e delle idolatrie del popolo che la abitava, sarebbe rimasta “vuota e informe”, come all’inizio della creazione, se lo Spirito di Dio non avesse fatto sgorgare quest’acqua viva come principio di vita nuova.
Mi domando se oggi, in quella terra santa, e profanata per l’ennesima guerra fratricida, dove ancora una volta Caino uccide Abele, non torni attuale la visione di Ezechiele, per sperare l’insperato: che Dio converta i cuori dei violenti e i nemici tornino a stringersi la mano, e tutta la regione riprenda ad essere una terra piena di vita: «Dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà».

 

Nel testo di Ezechiele leggiamo anche che sulle rive di questo fiume ci saranno pescatori e «i pesci saranno abbondanti come i pesci del Mare Grande». Il riferimento è alle nazioni straniere: solo un popolo divenuto libero potrà liberare altri popoli, crescendo insieme. Attendo il giorno in cui Israele, libero dal giogo della violenza suprematista, dalla paura ostile verso gli altri, potrà tornare ad essere un popolo in mezzo al quale Dio torna ad abitare.
Il capitolo, con una pagina che non viene letta in questa liturgia, continua definendo i confini del nuovo Israele, una volta ritornato dall’esilio. Sorprende la visione del profeta, di grande e provocante attualità: «Distribuirete questo territorio in eredità fra voi e i forestieri che abitano con voi, i quali hanno generato figli in mezzo a voi; questi riceveranno in sorte con voi la loro parte di eredità in mezzo alle tribù di Israele. Nelle tribù in cui lo straniero è stabilito, là gli darete la sua parte di eredità. Oracolo del Signore Dio». Sì, il fiume di Dio irrighi i terreni resi aridi dall’odio e i cuori induriti e ciechi, incapaci di riconoscere il fratello.

 

Tutti abbiamo un compito, una responsabilità, nell’edificare il santo tempio di Dio ma, ci esorta san Paolo nella seconda Lettura, «ciascuno stia attento a come costruisce». Infatti «se si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile... e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno». Sono stato invitato nei giorni scorsi in un Istituto di suore che, dopo un secolo di vita, desiderano ritrovare la forza e la profezia degli inizi, disposte ad “abbandonare molto per non perdere tutto”, come diceva Luigino Bruni. L’età non aiuta, ma il vento dello Spirito sì! Non costruiranno per loro, con materiali di poco valore pur di vedere subito un nuovo edificio, ma con la fatica di scelte generose e profetiche, sull’unico fondamento che è Gesù Cristo, per le generazioni che verranno. Avranno lo sguardo nel futuro, ma gusteranno anche ora la “beatitudine” di chi ha osato tutto per il Vangelo. San Paolo ci incoraggia: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?».

 

Nel brano del Vangelo di Giovanni ritorna il tema del “tempio”. In occasione della Pasqua ogni ebreo maschio era obbligato a salire a Gerusalemme per offrire l’agnello e, tre settimane prima, iniziava la vendita. I cambiavalute avevano il compito di ricevere le “monete romane”, che portavano l’effigie dell’imperatore, e cambiarle con la moneta del tempio. A gestire questo traffico erano i sacerdoti che in questi commerci di denaro, di pecore e buoi, avevano sempre un largo profitto. Questo è il contesto. Tutto questo avveniva nello “Hieròn”, cioè nella grande spianata del tempio, chiamata anche “Cortile dei Gentili”, perché anche i pagani potevano accedervi.
“Fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio”. Nel cortile del tempio Gesù compie un’azione che rimanda al profeta Zaccaria, il quale aveva annunciato quello che sarebbe accaduto alla venuta del Signore: «In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti» (Zac 14,21).

 

I sacerdoti del tempio chiedono con quale autorità Gesù faccia tali cose e lui risponde: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Ora Gesù parla del vero tempio (Naòs), dove c’è la presenza di Dio. Con la sua Pasqua Gesù inizierà il nuovo culto, nel nuovo tempio del suo corpo. A noi, che viviamo ancora imbalsamati da cerimonie stanche e lontane dalla vita della gente, storditi dai fumi dell’incenso e da canti privi di significato per la fede, e amiamo avvolgerci in ampie e costose vesti liturgiche per suscitare un improbabile riconoscimento dal popolo, queste affermazioni rimangono incomprensibili, come lo erano per i discepoli. Sarà la Risurrezione l’evento che li renderà finalmente capaci di comprendere e sarà lo Spirito Santo a far loro ricordare le cose in modo nuovo: Gesù crocifisso e risorto è l’unico vero e santo tempio del Signore.

 

Nello stesso tempo oggi ci viene ricordato che ciascuno di noi, in Gesù Cristo, è “casa di Dio” perché abita in noi lo Spirito di Dio. Questa “casa di Dio”, come abbiamo ricordato nei giorni scorsi, è abitata da una moltitudine di amici del Signore. Così, «circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti , tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,1-2).

 

Giorgio Scatto

giorgio.scatto@gmail.com

 

 

Molte suggestioni sono legate all’acqua. Sognare l’acqua è fortemente simbolico. Se l’acqua è torbida il sogno è inquieto, se è limpida invece porta leggerezza. Sono archetipi, idee non pensate, non soggette ad apprendimento, innate e tali da confluire nella simbologia dei riti delle religioni. Il Battesimo per esempio, il sangue e l’acqua, in principio lo Spirito aleggiava sulle acque. Dall’acqua nasce la vita, nell’acqua siamo nati. L’acqua sorgente dal tempio è generativa, risanatrice, salubre.
A Lourdes si ripeté il miracolo dell’acqua sgorgante ai piedi del tempio, Maria, ed anch’essa risana, rinvigorisce, rigenera.
Un archetipo risalente all’alba dei tempi, prima del giorno della coscienza, che si affaccia talvolta nel pallore dei sogni, ma l’acqua di Lourdes è storia recente. Può darsi che questa coerenza tra la profezia e la storia ci aiuti a sentire che siamo profondamente (misteriosamente) connessi alla Parola di Dio. Siamo quel tempio, dice Paolo, e guai a distruggerlo. Guai anche a profanarlo.

 

Il Vangelo è in questa difesa ad oltranza della natura e della destinazione del tempio, casa di Dio, casa di preghiera. Molti sono gli ingombri, gli animali da sacrificio, buoi, pecore, piccioni: tutti costoro, si sa, la fanno sul posto, nel tempio, ti immagini la scena e l’olezzo! E soldi, soldi di tutti i tipi e i mercanti, gli arraffa valute, i banchieri, gente che va dove c’è da far cassa e non sa cosa sia la profanazione. Il tempio è un’economia, probabilmente il posto assegnato ai venditori ha anch’esso un prezzo. I sacerdoti? Pecunia non olet, non ha odore.

Gesù stavolta non pare né mite né umile di cuore, ma non perde la pazienza, non si adira: si sdegna ma ha tutto sotto controllo. Ha tutto il tempo di prendere delle cordicelle, di intrecciarle e poi giù a destra e a manca, le bancarelle rovesciate, i soldi sparsi intorno e non è da malpensanti immaginare che qualcuno, ginocchioni, ne approfitti, i mercanti protestando cercano di evitare le frustate, gli animali si spaventano e corrono via… Fra quelle arrivano i garanti del sistema, del diritto canonico e della contraddizione palese, i Giudei, che cercano di fermare Gesù; come si permette? Quali sono le sue credenziali? Il segno, vogliono il segno per cui quello lì sovverte il sistema.

Gesù non spiega perché fa quel che fa, ma risponde alla lettera della domanda: dice il segno ultimo, essenziale, definitivo. Ma essi non capiscono. D’altra parte non c’è ancora nei Giudei l’intenzione di farlo fuori. Gesù sta dicendo che è lui il nuovo tempio. Ma è troppo difficile per loro.

 

Non è troppo difficile per noi capire che lo zelo di Gesù ci riguarda, già col battesimo costituiti tempio di Dio ma non ancora nel destino e nell’esperienza. Già e non ancora. E come allora a Gerusalemme così nella feria del nostro tempo egli rovescia le bancarelle e scaccia i mercanti che abbiamo dentro ed inquinano, falsificano la nostra natura e la destinazione. Le ambiguità, le contraddizioni, le opacità, le indolenze, gli idoli, l’atteggiamento giudicante verso gli altri e giustificante verso sé stessi, la doppia morale… Eppure siamo tempio di Dio, ma nella misura in cui scegliamo di essere seguaci ma del tutto, lasciando che Gesù abiti in noi “e non un altro”.
Un autore dell’Umanesimo diceva che ogni essere ha una sua natura determinata e un destino corrispondente. Un gatto sarà solo un gatto. Solo l’uomo ha una natura indeterminata ma può scegliere quella che più gli aggrada: quella degli animali o quella degli angeli. Gesù è deciso a darci la sua.

 

Valerio Febei e Rita

 

 

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