Home     Chi siamo     Come arrivare     Contatti     Iscriviti

     Calendario    Login

Battesimo nella mitezza e nell'umiltà

Briciole dalla mensa - Battesimo del Signore (anno C) - 12 gennaio 2025

 

LETTURE

Is 40,1-5.9-11   Sal 103   Tt 2,11-14;3,4-7   Lc 3,15-16.21-22

 

COMMENTO

 

La liturgia pone la festa del Battesimo del Signore fra una trilogia della sua manifestazione-epifania: la visita dei Magi, il battesimo al Giordano, appunto, il miracolo a Cana dell'acqua cambiata in vino. In effetti, tutte tre le Letture di questa festa parlano di «manifestazione».
La prima Lettura annuncia al popolo la venuta del Signore, che porterà un tempo di salvezza, rivelazione della gloria di Dio. Con enfasi il profeta si presenta come portatore di vangelo, della buona notizia, che sarà: «Ecco, il Signore viene con potenza». Verrà dunque con un'azione forte ed efficace; però lo sarà in modo paradossale: «Egli fa pascolare il suo gregge; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Il Signore vede che il suo popolo sta soffrendo. È la conseguenza della sua incredulità e del suo abbandono di Dio. È la colpa del proprio peccato, sì, ma sta soffrendo. Come diceva un nostro amico vescovo: «Nel mondo c'è più sofferenza che peccato». Perciò Dio decide di andare oltre la giustizia, oltre le conseguenze del peccato, e di prendersi cura, come il pastore fa con le sue pecore fragili. Portare gli agnellini sul petto e condurre dolcemente le pecore madri: sarà questa la sua «potenza», il «braccio con cui esercita il suo dominio». Allora la manifestazione-epifania del Signore è fatta tutta di mitezza e di dolcezza, di misericordia incondizionata e gratuita, di fragilità assunta, non punita.

 

La seconda Lettura usa per ben tre volte il termine manifestazione-epifania: due volte tradotto con «apparire». Il soggetto del manifestarsi è «la grazia di Dio», la sua «gloria», «la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini»: è il dono gratuito che ci fa sperimentare il Dio che si manifesta come solo ed esclusivamente realtà di amore per gli uomini. Per ben cinque volte si usa il termine «salvatore-salvare», riferito sempre all'opera divina. È una salvezza «per tutti gli uomini» (quindi totale e incondizionata), è manifestazione della gloria, cioè della sperimentabità di Gesù Cristo, è operata dal suo amore di misericordia, ed è anticipo e caparra della vita eterna.
Infine, è un epifania che si riflette totalmente sulla condizione dell'uomo. Attraverso il battesimo, veniamo «rigenerati e rinnovati nello Spirito»: la nostra umanità viene come riplasmata, rifatta e ricondotta alla beatitudine iniziale, non di perfezione, ma di accoglienza dei propri limiti, senza che questi siano motivi di scandalo e di rottura, è la vita in Cristo.

 

Nel brano evangelico, la manifestazione-epifania sta nell'annuncio, da parte di Giovanni Battista, della venuta «del più forte» di lui, che battezzerà in Spirito Santo. Luca non presenta Giovanni che battezza Gesù. È Gesù che «ha battezzato» Giovanni immergendolo nello Spirito Santo, quando, ancora nel seno di sua madre Elisabetta, Giovanni ha riconosciuto la venuta del Signore, nella visita di Maria, che portava nel grembo il Figlio di Dio. Per Luca, Giovanni è prefigurazione del cristiano: colui che è stato battezzato nello Spirito Santo, che vive e annuncia il Vangelo.

 

Ma l’epifania sta, insieme, nel momento successivo al battesimo di Gesù. «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì». Grande consolazione, dopo tanta attesa e tanto timore: i cieli si aprono, la relazione di Dio con l'uomo non è più interrotta.
L'insistenza di una certa predicazione sulla peccaminosità dell'uomo, l'aridità e la freddezza di certe nostre forme di fede fanno pensare un cielo ancora chiuso: così legittimamente sono portate a concepirlo le ignare persone che passano per la strada. Invece, i cieli aperti dicono di tutta la passione divina per l'uomo: Dio non si rassegna al male e al peccato. Dio rinnova sempre l'uomo e lo vuole riportare la bellezza della relazione fra il Creatore e Adamo nel giardino dell’Eden.

 

E, dal cielo aperto, una parola, la più bella che mai si possa udire: «Tu sei il Figlio mio». Tre momenti, umanissimi e divini insieme, di ricorrenza di tale parola. Fin dal concepimento-nascita è annunciato come il Figlio di Dio: «Lo Spirito Santo scenderà su di te. Su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Nasce e Dio lo chiama figlio: come quando viene al mondo uno dei tanti bambini che nascono ogni giorno, a cui i genitori dicono: tu sei mio figlio. Così Dio! Come uno nasce, donna o uomo che sia, per Dio è un figlio, è scritto nella sua carne, come il suo Figlio. Prima ancora che quell'essere umano possa fare un passo nel bene o nel male: e anche dopo.
Poi, quella parola, qui al battesimo al Giordano. E ci sconcerta che la voce dal cielo dica: «Tu sei mio Figlio», sei come io ti voglio, proprio su un Figlio d'uomo, che si è immerso nelle acque, nella fila dei peccatori, in questo atto di solidarietà, di condivisione con la condizione dell'uomo. Dio non sta nelle distinzioni, ma nell'immersione, non è nella potenza e nella superiorità, ma nella mitezza e nell'umiltà.
Infine, in At 13,32-33, Paolo annuncia che è nella risurrezione che Dio proclama Gesù come suo Figlio. È come se Dio, risuscitando quel Figlio d'uomo, crocifisso, dicesse: sei mio Figlio, io oggi ti genero. Sta a dire che nel giorno in cui moriremo, ciascuno di noi, arrivando presso Dio, si sentirà guardato da Lui: saremo con la fragilità della nostra umanità, nel momento della morte, il più fragile della nostra umanità, per questo pieni di timori e di incertezze. Ma Dio ci guarderà e dirà a ciascuno: mio figlio tu sei, oggi ti ho generato.

 

Alberto Vianello

 

 

“Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati”.
Prestare attenzione a quel che si sente o si legge: il peccato nostro o altrui o sociale che grava su di noi causando il male di vivere è stato scontato. Qualcuno ha saldato il conto se i nostri spiccioli erano pochi.
 Ai ‘compagni’ che proposero a don Milani di venir via dalla Chiesa che gli rendeva amara la vita, rispose: “Poi chi mi perdonerà i peccati?”. Poiché solo la Chiesa ha questo potere nella persona del sacerdote, alter Christus in questa faccenda. Prestargli fede! Non l’autocoscienza che tanto assolve quanto colpevolizza, non lo psicologo che fa quel che può, analizza, riporta al presente… Il peccato, il male di vivere, il senso di colpa non ci sono più, cancellati. Il segno? Il crocifisso.

 

Il guaio è quando per poca fede, i dubbi razionali, per la serietà del danno subito, le ferite profonde non si risolvono automaticamente. Pare allora che la cura non funzioni, la fede sia un’opinione, la Chiesa un fallimento o peggio. Il passato non ci molla. Siamo affezionati al nostro ego pur se ne abbiamo danno. Le relazioni ci infastidiscono. Non apriamo a chi bussa. Le preghiere non escono dalla nostra mente, come i lamenti… È un guaio. L’ho detto.
Chi ci guarisce? Chi dà consistenza alla vacillante esperienza dell’’ascolto? “Consolate, consolate il mio popolo”… La dimensione personalistica non è garanzia. La fede nella liberazione se avviene nell’intimo personale non si completa in esso. Quel che salva è la relazione fraterna. Se ci raggiunge la grazia dell’annuncio non è per restare soli. L’uomo è relazione.

 

Giovanni sul Giordano esortava alla revisione e al cambiamento con tale vigore da perderci la testa. Ma il liberatore ci rinnova per rimetterci in relazione.
Allora il discorso si allarga e comprende la Chiesa, la grande malata. O la grande assente. Anni fa, in luoghi diversi una formula carica di scetticismo liquidava la questione dicendo: Dio dappertutto e ciascuno a casa sua. Oggi si dice: con Dio, se è una cosa seria o no, me la rivedo da solo, non devo renderne conto a nessuno, è cosa della mia coscienza. La Chiesa? Ma quando mai! Appunto.
Anche quelli che hanno interesse, spinta o grazia, necessitano di consolidare l’esperienza dell’ascolto e anche per loro si pone la questione: ora che si fa? Manca la Chiesa. Qui riparte la Chiesa.

 

Gesù è venuto per rimettere i salvati in relazione, già detto, che è parte di questa salvezza, per costruire la comunità dei credenti. Ma dov’è questa comunità? Dov’è la Chiesa? Non è certo un modo di dire!
Abbiamo le parrocchie, da sempre. E chi le governa insiste a chiamarle ‘comunità. Ma se non è vita comune di che comunità si parla? Di credenti, certo. Tuttavia, se la fede comune non si fa vita comune non c’è congruenza. I laici, pochi, sono utili in parrocchia in veste di volontari per questo o quel servizio. Talché la parrocchia è il prete. C’è la soluzione tradizionale dei conventi e dei monasteri, a volte in edizione riveduta, con caratteri di famiglia. Cosa buona per gli interessati, per i pochi che ‘hanno la vocazione’.

 

Tutti abbiamo la vocazione alla vita religiosa, a vivere secondo il Vangelo, anche i celibi, anche gli sposi che non sono costituiti per la procreazione ma per la relazione di sposi fratelli. Ma non bastano a sé stessi. Niente basta a sé stesso. Né si deve cambiare stato di vita.
Possibile che non si capisca che quanti sono chiamati alla fede, resi fratelli da Cristo, sono chiamati alla vita comune? Celibi, sposi, consacrati, preti, anziani, bambini, alti, bassi, sani, malati, sapienti, semplici, ricchi, poveri… fratelli, insomma, amici insomma. Perché solo l’amicizia è vera relazione. “Vi ho chiamato amici” ha detto chi ci ha trattato da amici. Perché non dovremmo vivere l’amicizia fraterna, che non è un’astrazione? Il tale che poc’anzi era in chiesa, affamato, bussò alla canonica e alla perpetua si presentò come il ‘fratello’ del parroco.

 

Parlare di fraternità per supporre che basti... non se ne può più. Gesù ci ha amati nella carne! È come se, nel tempo, la Chiesa, nelle persone di chi la regge e la governa, si sia ritirata dal contatto con la ‘carne’ degli uomini… I preti, i vescovi, le famiglie, i credenti che se ne rendono conto abbiano il coraggio di iniziare.

 

Valerio Febei e Rita

 

  •  bricioledm
  • commento-Vangelo-Battesimo-del-Signore-anno-C
  • battesimo-di-Gesù
  • ministero-di-Giovanni-Battista
  • predicazione-di-Giovanni-Battista
  • manifestazione-epifania-del-Signore
  • immersione-nello-Spirito-Santo
  • significato-dei-cieli-aperti
  • Gesù-proclamato-Figlio-di-Dio
  • in-Gesù-siamo-tutti-figli-di-Dio

Home                                                       Calendario                                               Monastero                                                  Iniziative                                                              Articoli e pubblicazioni

Chi siamo                                                Iscriviti                                                      Preghiera                                                     Briciole dalla mensa                                         Orari SS. Messe

Come arrivare                                         Contatti                                                     Ospitalità                                                     Una famiglia di famiglie                                   Audiovisivi

Monastero di Marango 

Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE

0421.88142  pfr.marango@tiscalinet.it

Privacy