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Aria della casa e della strada

Briciole dalla mensa - 2° Domenica T.O. (anno B) - 14 gennaio 2024

 

LETTURE

1Sam 3,3-10.19   Sal 39   1Cor 6,13-15.17-20   Gv 1,35-42

 

COMMENTO

«Gesù che passava»: è in questo modo che Egli entra in scena nel Vangelo di Giovanni, sulla strada. È un Gesù che viene, che passa, sulla strada di tutti. Prima la strada, poi la casa: luoghi comuni, che diventano i luoghi della manifestazione, luoghi del passaggio.
Sono convinto che oggi il Signore non abbia cambiato stile: passa, e per le strade. Forse oggi mancano i Giovanni Battista che lo indichino per le strade, perché si è esclusivamente occupati a indicarlo nelle chiese. Vanno benissimo le chiese, solo che oggi esse custodiscono una presenza del Signore attraverso segni e codici che non parlano più all'uomo contemporaneo. Così la religione finisce con il far pensare a un Dio in qualche modo estraneo alla concretezza e alla quotidianità della vita. E questo è in contraddizione con il mistero dell'Incarnazione che abbiamo appena celebrato, e con tutta la realtà del Dio della Bibbia.

 

E poi, mancano i Giovanni Battista capaci di orientare il cammino di una persona, quindi di generare alla vita secondo lo Spirito. Come Giovanni con i suoi discepoli, la fede non si trasmette per via intellettuale e morale, ma all'interno di relazioni umane. E non è necessario che chi indirizzi al cammino di fede sia un grande personaggio. Nella prima Lettura, il sacerdote Eli non è una figura esemplare di discernimento e fermezza: infatti "copre" le malefatte dei suoi figli che rubavano senza ritegno ciò che la gente offriva per i sacrifici al tempio. Eppure, attraverso di lui, il giovane Samuele può passare dalla relazione di fede con un padre a quella con Dio stesso: può essere che la fedeltà di un figlio crei la realtà del padre. Perché così il padre non attira a sé, ma rinvia il figlio alla relazione personale e unica con Dio.
E questo vale ancor più se quel Dio si rivela e si dona come Agnello (così come lo proclama il Battista), offerta pasquale di liberazione e inermità che prende su di sé il male per toglierlo dal mondo.

 

Come il suo primo gesto («passare») così la prima parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni è spiazzante: «Che cosa cercate?». Inizia con una domanda, al contrario di noi che per pastorale intendiamo incominciare con risposte, prima ancora che sorga la domanda. Ed è una domanda, quella di Gesù, che porta ciascuno a guardarsi dentro: «Dove vanno le tue attese, quelle più profonde, quelle del cuore?».
Immagino che quei due discepoli non si aspettassero tale reazione da parte di colui che il loro maestro, Giovanni, aveva indicato come l'attesa salvezza del popolo del Signore. Tanto che mi viene il sospetto che la loro risposta - anche questa è una domanda: «Rabbì, dove dimori?» - fosse un modo per difendersi da una domanda che li interrogava nella profondità di se stessi. Infatti, tante volte riduciamo la fede a richieste di spiegazioni sul comportamento di Dio: deve, in qualche modo, "giustificarsi", deve dare ragione di ciò che in questo mondo non torna. Mentre Lui ha deciso di stare dentro le contraddizioni della storia, per farla diventare un'altra storia.

 

In ogni modo, l'ignara domanda dei due discepoli, apre anche un orizzonte molto significativo per il Vangelo di Giovanni. Quel verbo «dimorare» ha una carica teologica straordinaria: indica il modo fecondo di vivere, nello «stare, rimanere, abitare». Gesù è colui che «che rimane nel Padre» e nel suo amore. E anche i suoi discepoli crederanno in Lui se, nella sua sequela, abiteranno la medesima «casa» del Padre. La fede è fatta di relazioni, familiarità, quotidianità, di intimità, di cura: di tutto ciò che si vive nella propria abitazione.

 

«Venite e vedrete», risponde Gesù. E non ci sono più parole. Non si dice nulla di discorsi nella casa dove Lui dimora, sempre se ce ne sono stati. Pensiamo che ribaltamento, in un certo modo di vedere ecclesiale, in un certo modo di intendere l'evangelizzazione. Non c'è ombra di discorsi; i verbi sono: «andare, vedere, rimanere». Quasi il Signore dicesse: «Venite a vedere dove sto, passando qualche ora insieme capirete, dimorando insieme capirete».

 

«Andarono dunque e videro dove Egli dimorava e quel giorno rimasero con Lui; erano circa le quattro del pomeriggio». Non ci sono le nostre organizzazioni, non ci sono proclamazioni, non ci sono parole: «Andarono e videro». E non ci è detto neanche che cosa videro. A partire da questo, se rileggiamo l'episodio, ci accorgiamo che è tutto giocato sugli sguardi e non sulle parole. Il Battista: «… Fissando lo sguardo su Gesù che passava…». Gesù: «… Vedendo che lo seguivano…». I due discepoli: «… Andarono e videro…». E, alla fine, Gesù: «… Fissando lo sguardo su Simone…». Il Vangelo ci insegna che l'evangelizzazione è, innanzitutto, una questione di sguardi, sguardi che hanno il dono di penetrare in profondità; non è questione di prediche.
Fossimo capaci di tornare a questa aria della casa e della strada, in cui ci si racconta e si passa la parola! Una parola che non passa sul filo noioso delle omelie, ma sul filo dei legami, dell'amicizia; in un raccontare che è lontano dal parlare come un libro stampato, dal parlare a memoria. Il racconto nasce da un diverso tipo di memoria: quella che nasce dall'emozione del cuore. Nel nostro piccolo, sperimentiamo che nelle liturgie in chiesa la gente si sente viva e partecipe quando si respira l'aria della casa e della strada.

 

Alberto Vianello

 

 

Che sarà mai stato che d’improvviso sono avvenuti cambiamenti così radicali in questi uomini, come se avessero trovato lì per lì l’oggetto di un desiderio covato da lungo tempo o addirittura ignoto ma rivelato loro in quel momento?
Di certo Andrea e company avevano un’idea di cosa o chi attendere, erano infatti discepoli del Battista, un tipo tosto, e Simone non era il grezzo barcaiolo che a volte ci piace dire per somiglianza con lui, se seguì senza obiezioni il fratello che gli parlava di uno somigliante al Messia atteso. Erano cercatori di Dio, che non aveva però i connotati incerti di oggi, ma il Dio degli Ebrei se non proprio degli eserciti, forse anche il liberatore ma rivisto da Isaia, dai profeti, il Go’el, il Consolatore, il difensore dei poveri degli orfani e delle vedove, innamorato del suo popolo e ne ricompensa l’attesa, capisce gli uomini nelle loro pochezze e rinnova con essi un patto di amicizia. Non è certo che Andrea conoscesse il senso di quell’”Agnello di Dio” e forse non annetteva a quella espressione il significato sacrificale, e non sapeva nulla, né lui né gli altri, di un Messia che muore e risorge. Ma di certo pareva a molti allora che la società basata sul tempio e la Legge non fosse sufficiente. La nostra invece…

 

Da laici viene da chiedersi perché questa roba interessi così poco, come sembra dallo svuotamento delle chiese. O forse la questione è mal posta.
Per altre vie scorrono la domanda e la ricerca che intanto sembrano sprofondare come un fiume carsico per riapparire chissà dove, chissà quando. Sono cambiati i paradigmi culturali, la scienza rivela nuovi assetti della materia, la fisica in particolare. Quanta fatica costò ammettere che il sole era al centro e quanta ne è costata la fine dell’eurocentrismo. Nuovi protagonisti arrivano sulla scena. I conflitti nascono qui e oggi si combatte già la terza guerra mondiale a pezzi, come dice il papa. Cento anni fa l’universo consisteva nella nostra sola galassia e oggi se ne contano miliardi. Cambiano i paradigmi culturali e paradossalmente chi più parteggia per il modello occidentale dei valori più ne persegue la decadenza. Sarà compito degli uomini migliori elaborare nuove sintesi culturali che riportino le nuove esigenze all’universale che è nel cuore dei popoli. Tutta l’umanità, ha detto il Concilio, porta il sigillo di Dio creatore.

 

Il contenuto comune appare in Matteo 25: “Quando ti abbiamo visto ammalato, in carcere e ti abbiamo visitato…”. Nella pratica della solidarietà e della condivisione riparte l’universale.
Resta il fatto che da laici più o meno credenti non possiamo non condividere quella difficoltà a credere così diffusa da essere il carattere dominante del nostro tempo.
La religione appare così estranea alla nostra mentalità parigina, illuministica e sofisticata, tanto per indicare il periodo in cui inizia il declino della civiltà occidentale, sazia di ragione e di follia. Come appare lontano il Vangelo, come appaiono estranei quei personaggi, quella pattuglia di scappati di casa, come diremmo, ricompresi poi tutt’al più come personaggi mitici.

 

Solo la fede costituisce risposta certa poiché prende per concreti quegli uomini, per veri quei racconti. A questo pensava Giovanni apostolo insistendo nel dire: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo (1Gv 1,1-2). Fede è sincerità nel rapportarsi a Gesù e, al di là delle nostre posture, solo Lui ne è testimone. A quel punto (e solo allora) si incarna nella nostra carne e torna ad agire, a guarire, ad amare e, quando c’è bisogno, a pagare per l’altro e a far festa, oggi.

 

I due si misero alle calcagna di Gesù talché Egli chiese loro che cercassero. Ci ricorda il salmo 26: “Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto”. Ma essi, più discreti e pratici: “Dove sei di casa?”, cosicché sappiamo dove trovarti e stare con te. C’è anche la nota dell’ora. Abbiamo un luogo anche noi dove trovarti con sincerità di cuore: nell’Eucarestia e nel prossimo amato.

 

Valerio Febei e Rita

 

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