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Amici, non servi

Briciole dalla mensa - 6° Domenica di Pasqua (anno B) - 5 maggio 2024

 

LETTURE

At 10,25-27.34-35.44-48   Sal 97   1Gv 4,7-10   Gv 15,9-17

 

COMMENTO

 

«Come il Padre ha amato me, anch'io ho amato voi». L'amore è questione di fede: riconoscere che solo Dio è l'origine e la fonte dell’amore. Da Lui discende l'amore, in Gesù, dando vita alla relazione con l'uomo e fra gli uomini. Perciò, per noi, la capacità di amare è, innanzitutto, capacità di lasciarsi amare da Dio. Non siamo noi a fare la carità, ma è la carità divina che ci costituisce.
Dopo vari anni di ministero a Venezia e l'avvio di parecchie iniziative e opere, il patr. Marco Cé, a un certo punto ha affermato che mancava ancora un'opera essenziale alla nostra Chiesa: uno sguardo più contemplativo al Crocifisso. Perché è espressione concreta dell'amore di Dio per noi. Prima di essere una Chiesa attivistica e organizzatrice della carità, bisogna essere Chiesa che nasce dalla carità e che dire della carità di Cristo.

 

«Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore». Noi facciamo esperienza dell'amore del Signore quando ascoltiamo la sua Parola, la interiorizziamo e la mettiamo in pratica dandole corpo, cioè facendola diventare gesti concreti verso persone concrete.
Fare questo è poi esperienze di gioia, dice Gesù, perché chi ama è felice semplicemente del fatto di far felice l'altro facendo la sua volontà, ciò a cui ci tiene. Ed è bello considerare come qui Gesù riveli che la preoccupazione di Dio è che la donna, l'uomo siano felici, la nostra gioia è la sua passione, la sua volontà è di non volere figli contristati o nella sofferenza: se i figli soffrono, il Signore soffre con loro.

 

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Spesso suscita perplessità questo passo, perché sembra strano che l'amore sia comandato: l'amore dovrebbe sgorgare spontaneamente dal cuore, per essere vero. In verità, l'amore è comandato perché viene da Dio, che è Altro da noi: non siamo noi l'origine. Ancor di più: l'amore è comandato perché solo così si può giungere ad amare anche il nemico. Gesù ha vissuto veramente l'amore perché ha amato «fino alla fine»: più di così non poteva amarci. Il gesto di maggiore intimità d’amore, offrire un boccone, Gesù lo ha riservato per Giuda, che lo tradiva. Il suo è un amore narrato, offerto e donato a chi lo accoglie: in questo senso è un comandamento.

 

«Nessuno ha un amore più grande di questo dare la vita per i propri amici». L'opposizione è con l'essere «servi», i quali non sanno quello che fa il loro padrone. «L'amicizia» di Gesù con i suoi discepoli si dimostra nel fatto che «tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi». L'amicizia porta ad amare gli altri come se stessi, a far crollare il muro di separazione fra la preoccupazione per il proprio bene e quello per il bene dell'altro, appassionati per il bene di entrambi. Ciò che, allora, distingue la realtà degli amici da quella dei servi consiste nel fatto di rivelarsi, di porsi in relazione di confidenza con l'altro, di svelamento di sé e di condivisione senza escludere nulla, rendendo l'altro partecipe del proprio segreto.
Bisogna dire che spesso la parola «amico», nel senso di «amato», non la troviamo facilmente nel vocabolario delle relazione all'interno delle comunità cristiane. Predomina, invece, la figura del superiore, e di chi dipende, c’è chi comanda e chi obbedisce. Sembrerebbe stonare l'uso del termine «amico». Eppure è la parola che Gesù ha usato. Chiamare l'altro «amico» e non più «servo» è un modo per mettere in pratica il comando: «Amatevi come io vi ho amato». Perché i credenti sono degli amici del Signore, non dei servi di un padrone.

 

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». Essere scelti vuol dire essere amati dal Signore. Non dipende dalle proprie capacità, ma da una libera scelta d'amore, per la quale valiamo per Dio. Anche quando sperimentiamo le nostre fatiche e i nostri fallimenti deve pacificarci il fatto di sapere che è il Signore che ci ha voluti, che Lui crede in noi, perché nasciamo dalla sua grazia e siamo continuamente sostenuti da essa.
Nel piano divino, il Signore ha deciso che siamo noi a dover portare i frutti del suo bene nel mondo: come ha detto che sono i tralci a portare frutto. A noi la responsabilità, ma anche la bellezza, di questo impegno, facendo leva sul fatto che il Signore crede in noi, e ci ha fatti suoi «amici». Quello che Lui poteva fare perfettamente in un attimo, ha invece deciso di consegnarlo nelle nostre povere mani, attraverso la sua grazia, perché a piccole briciole e lungo tutta la vita possiamo porre segni di un mondo migliore. Se Lui crede così in noi, quanto anche noi dobbiamo credere in noi stessi, con la sua grazia! E amarsi gli uni gli altri è il frutto che cambia il mondo.

 

Alberto Vianello

 

 

Eppure è così semplice. È come un rapporto di amicizia in cui l’uno pensa l’altro, lo custodisce dentro di sé e ne è felice. Come due sposi sempre fidanzati che si dicono quando escono o tornano e dove vanno perché non si stia in pensiero. Si mantengono nell’amicizia, nella relazione. Che c’è di complicato?
Spesso anche in religione ci impicciamo con idee senza costrutto, domande su Dio se c’è non c’è, come è, cosa vuole da me, quali sacrifici occorre fare… Niente di nuovo. “Gradirà il Signore le migliaia di montoni… ? Gli offrirò forse il mio primogenito per la mia colpa, il frutto delle mie viscere per il mio peccato? Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mi 7,2). C’è una tale concordanza tra i profeti e Gesù che toglie il sospetto che si tratti di una nuova religione. Eppure è nuovo il comandamento “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”. Quel ‘come’ ci intriga un bel po’ perché l’altro lo ameremmo a nostro modo, alla nostra misura. c’è un limite a tutto! Ma se ci guardiamo si tratta sempre di amicizia che, quanto più vera, spinge a mettersi accanto all’amico in difficoltà e a volte al suo posto. ‘Come’ Gesù. Poi ci fermiamo prima, ciò non toglie che “l’amicizia è la più dolce delle dolcezze della vita”, Sant’Agostino. Chi ama conosce Dio e chi non ama nisba. “Dio è amore”, dice Giovanni e si è fatto uomo.

 

Sia Michea che Giovanni affrontano il problema del peccato, della condizione che turba la relazione, la interrompe, la contraddice. Come la contraddice la pigrizia morale, l’indifferenza, l’egoismo, l’anteporre sé agli altri e il farsi servire al servire. Malattie dello spirito.
Cosa offrirò per annullare gli effetti del peccato, forse il sacrificio del mio primogenito?’. No, “camminare umilmente con il tuo Dio”. Giovanni risolve il nodo della coscienza che ci condanna (poiché la coscienza è un giudice severo), dicendo: “Se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,20). Tranquillo, sa tutto prima che gliene parli, puoi essere franco. Nulla gli sfugge, vuol dire che il peccato non è più grande del suo perdono.

 

E come potrebbe reggere un rapporto positivo chi è legato al senso di colpa? Anche Pietro nel cenacolo provò resistenza: “Tu non mi laverai mai i piedi!”. ‘Non voglio che si vedano i piedi sporchi e poi tu sei il maestro, non sta bene, mi metti in imbarazzo, mi vergogno… Vuol dire: non credo, resisto al tuo amore. Più o meno. Finché non cede: Signore, tu sai tutto, fai tu! Perdere è la scelta vincente! Senza di te non possiamo fare nulla.
Il culto divino ora è amare il prossimo e si capisce che i Giudei non ci stanno, come non ci sta chiunque considera l’altro come oggetto, suddito, competitore.
Sì. La religione cristiana è semplice, non è facile a farsi ma è semplice. “Ti rendo lode, o Padre, …, perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli”. (Lc 10,25) aggiunge ‘fanciulli’.
Fanciulli, per fare di essi il trait d’union tra lui e le generazioni che verranno, tra quelli che hanno ricevuto la rivelazione e lo Spirito Santo e quelli che per loro mezzo li riceveranno. Fanciulli o tornati tali, come Pietro che si arrende e si affida, come viene detto a Nicodemo, rinati dall’alto.

Torna quindi la trasmissione, traditio, dal Padre al Figlio, dal Figlio agli apostoli, da essi al mondo. “Rimanete nel mio amore”, restate nella relazione. In fondo si tratta di avere per amico Gesù e raccontare il suo amore, quel che Egli sente dire e fare dal Padre. Come accade in ogni buona relazione nostrana, per esempio da padre a figlio: il figlio di un padre amato porterà sempre il padre in sé. Anche questo si capisce. Così i discepoli amati dal Cristo e che tra poco saranno riempiti dell’anima di Gesù stesso per essere capaci di andare. Ma il dono dello Spirito è comunque conseguenza della fede nella risurrezione.

 

Valerio Febei e Rita

 

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