Briciole dalla mensa - Presentazione del Signore - 2 febbraio 2025
LETTURE
Ml 3,1-4 Sal 23 Eb 2,14-18 Lc 2,22-40
COMMENTO
Quaranta giorni dopo la nascita, avviene la presentazione al tempio. Luca ci tieni in modo particolare a dire che tutto viene compiuto dai genitori di Gesù «come prescrive la Legge del Signore»: infatti lo ripete con insistenza. E, a partire da questo lato, il suo "amico" Paolo può allora dire: «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che sono sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,4).
Nella storia, il popolo non è stato capace di sottomettersi alla Legge: l’ha infranta in modo grave e continuo. Dimostrazione storica che la Legge non è in grado di portare la salvezza. Allora Dio ha mandato nel mondo suo Figlio, che, fin dalla nascita, ha compiuto la Legge l’ha «finita». Così ci ha liberati dalla Legge, che è solo una schiavitù, e ci ha resi veramente liberi, come lo sono dei figli.
«Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» (Gv 19,7), dicono i capi religiosi a Pilato. La Legge, per via di condanna, afferma che Gesù è proprio il Figlio di Dio. Ed è proprio morendo in croce che Egli adempie la Legge sottomettendosi, dimostrando che la Legge non è in grado di salvare, ma solo di condannare. Noi siamo salvati solo per Grazia, non per i meriti conseguiti osservando una Legge.
Tutto questo è già adombrato nei riti compiuti dai genitori di Gesù, presentandolo al tempio. Tanto che il verbo tradotto con «presentare» può esprimere qui l'equivocità del suo doppio significato. Infatti, oltre a questo significato che lo collega all'adempimento della Legge, viene usato anche con il valore di «offrire»: «Vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Non più un culto fatto di sacrifici, da offrire secondo la Legge, ma, piuttosto, la disponibilità a spendersi concretamente nelle proprie relazioni quotidiane, secondo la dinamica dell'amore.
Non una Legge fatta di «prescrizioni e decreti» può riconoscere la salvezza, ma una parola di Dio che renda viva ed efficace la speranza in un uomo anziano che già vede la morte: Simeone. Ma, prima di questo - e più di questo - vedrà la vita, ovvero la salvezza.
Questa era la convinzione di fede che questo vecchio aveva maturato, sostenuto, per questo, dall'ispirazione dello Spirito Santo. Simeone davvero incarna la parola di Dio. Perché essa non è una Parola scritta, ma rappresenta il dialogo di Dio con l'uomo per instillare in esso la fiducia in Lui e quindi la speranza e l'attesa. Così, in Simeone che accoglie fra le sue braccia il bambino Gesù presentato al tempio, c'è la presenza della Legge e dei profeti, nella loro vera funzione che è quella di suscitare lo Spirito Santo in chi legge per accogliere l'inviato di Dio e proclamare il suo essere il Messia.
Dunque, in Simeone è tutta la Scrittura che accoglie «il Cristo del Signore». Ma, allo stesso tempo, non lo trattiene. Infatti, sempre ispirato dalle Scritture, Simeone lo riconosce come dono di Dio destinato non solo a Israele, ma anche a rivelarsi «a tutti i popoli».
Per questa apertura c'è un dato fondamentale. Simeone è uno dei «poveri del Signore», di cui parla l’AT, e che sono tanto cari a Luca. Infatti di Simeone, dal punto di vista sociale, si dice solo che era molto anziano: non aveva cariche, onori, ma solo la debolezza della sua età. È questo povero che riconosce la venuta del Signore: non i capi religiosi. E i poveri sono coloro che non possono attribuirsi i meriti: tutto è dono gratuito. Se la salvezza raggiunge anche senza meriti, vuol dire che è veramente per tutti, quindi anche per quelli che non appartengono al popolo del Signore. Guardando a se stesso, più uno è piccolo, socialmente e religiosamente, più sa riconoscere la grandezza dell'opera di Dio, senza esclusivismi: altra grandissima infrazione della Legge.
«C'era anche una profetessa, Anna»: una donna, «molto avanzata in età», rimasta vedova giovanissima. Possiamo dire: ha tutte le caratteristiche di un'altra figura dei poveri del Signore. Ebbene, Luca ci tiene molto a mettere in evidenza proprio la perseveranza del ministero di questa povera: «Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere». Questa sua fedeltà ha un tale valore che Luca sigilla il suo Vangelo proprio con lo stesso atteggiamento, come "definitivo", nei discepoli di Gesù dopo la sua ascensione: «Tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (Lc 24,52b-53). Questa povera del Signore ha "provocato" la sua venuta con la sua perseveranza nel ministero.
A proposito: «servendo Dio» è il verbo latréuo, che è l'azione del culto, della liturgia. Lei è una vera e propria sacerdotessa (scusate l'eresia): in questa grande scena al tempio. Luca parla solo del servizio sacerdotale di questa donna, anziana e vedova per tutta la sua vita!
«Sopraggiunta in quel momento»: lo stesso verbo è stato usato al v. 9, per dire del «presentarsi» dell'angelo ai pastori, avvolgendoli con la gloria di Dio, per annunciare loro la grande gioia per la nascita del «Salvatore». Dunque Anna è come un angelo: un'umanissima irruzione di Dio dentro il vissuto dell'uomo per annunciare ciò che solo i poveri possono riconoscere, perché è un sogno, perché supera ogni attesa e speranza. La lode che Anna rivolge a Dio, riconoscendo nel bambino presentato al tempio il compimento dell'attesa salvezza, ha le caratteristiche della narrazione della storia di Dio con l'uomo. Anche per noi, celebrare la fede vuol dire riconoscere e confessare la storia dei doni di Dio alla nostra vita.
Alberto Vianello
Simeone ed Anna. Due vecchi che in un modo e nell’altro hanno vissuto tra le mura del tempio. Una sessantina di anni lei, più o meno lo stesso lui, passati a servire Dio nei pensieri, nelle preghiere, nei gesti della liturgia. Che vita! Figure in qualche modo simili, a memoria d’uomo, sono quelle dei sagrestani, persone che custodivano la chiesa e non si allontanavano mai, provvedendo a tenere in ordine, pulire, curare le lampade, passando più volte davanti al tabernacolo e ogni volta con un cenno di genuflessione. A volte pregando anche essi. Spariti. Né le parrocchie possono permettersi di mettere a stipendio. Le rese sono scarse.
Simeone ed Anna e quanti altri eremiti per i quali il mondo è una scena che passa, interessante alla vista ma non essenziale, per i quali il non visibile è molto più di quel che gli occhi di giorno vedono. E cercano il silenzio delle voci e delle immagini che vorrebbero prendere l’attenzione per sé. C‘è gente, poca in verità, che preferisce il silenzio perché se c’è una luce non può che venire dal buio.
Gesù dice: “Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Nel segreto. Questa è la fede: che il ‘segreto’, il vuoto, il silenzio è abitato e non si vede. “Beati quelli che pur non vedendo credono”.
Già questo sforzo, o ricerca, di far sì che la Parola ‘accada’ in noi ci trasporta all’essenziale. Che cosa conta di più: il Signore che promette la sua presenza nel segreto o le scene di questo mondo, le rappresentazioni, i pensieri con cui evitiamo l’ansia del nulla? Dice il salmo: è meglio stare sulla soglia della casa del mio Dio che abitare nelle tende degli empi.
La gente passa, va pure in chiesa, e vede Simeone ed Anna ciabattare ancora che sono vecchi pensando con rispetto e timore all’Onnipotente, ma questo non si vede. Si chiederà forse: che vita è quella? Si è perso il senso del sacro, cioè il senso del silenzio o del ‘segreto’, dove è riposto il tabernacolo della Parola. Ma il silenzio e la Parola sono sempre alla portata.
Prima che finissero i loro giorni i due ‘videro’ nel bambino avverarsi la promessa. E questo compensò alla grande una vita di attesa, ché se anche non avessero visto con i loro occhi non avrebbero perso nulla. Per vedere bene occorre chiudere gli occhi, per non essere del tutto ciechi.
La profezia è appunto vedere l’essenziale nell’invisibile. È una facoltà che si sperimenta con poco: non è vero che se stiamo zitti capiamo più e meglio? L’intelligenza viene dall’ascolto. Simeone ed Anna passano la vita ad ascoltare il silenzio. E che sono sessant’anni rispetto al paradiso?
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
Strada Durisi, 12 - 30021 Marango di Caorle - VE
0421.88142 pfr.marango@tiscalinet.it