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A servizio del mondo

Briciole dalla mensa - 5° Domenica T.O. (anno A) - 9 febbraio 2020

 

LETTURE

Is 58,7-10   Sal 111   1Cor 2,1-5   Mt 5,13-16

 

COMMENTO

Il contributo del cristiano alla vita del mondo è necessario, ma limitato: è questo il primo significato delle immagini del sale della terra e della luce del mondo. Perciò non si può ambire a una conquista cristiana del mondo. Piuttosto, si può aspirare, tutti insieme, a un vivere umano che abbia il sapore della sapienza e l'illuminazione delle opere buone: caparra e anticipo del regno di Dio. Quest'ultimo, infatti, sarà caratterizzato dal gusto del vivere e dalla bellezza del prendersi cura. Ma chi li desidera come senso e fine della propria vita, deve cercare di perseguirli fin d'ora. Del resto, essere cristiani significa fare come ha fatto Gesù Cristo, che non solo si è fatto sale e luce, ma ha anche cercato sempre, nella sua vita terrena, il valore positivo e le opere buone in ogni umanità, anche fra le più povere e disperse.

 

Eppure il detto di Gesù non vuole insistere tanto su tale essenzialità del sale (e quindi del ruolo del cristiano), quanto sulla messa in guardia a non perdere la propria autenticità: «Se il sale perde il suo sapore…». Il verbo usato significa, letteralmente, «diventare stolto»: come colui che costruisce la sua casa sulla sabbia, cioè non si lascia plasmare la vita dalla parola di Dio (cfr. Mt 7,24-27), oppure come le cinque vergini che non hanno preso dell'olio di riserva per le loro lampade, cioè non hanno messo in conto la possibilità di un'attesa di un compimento che tarda a venire, e quindi non hanno pensato alla necessità della fedeltà al proprio compito (cfr. Mt 25,1-13). Davvero, profondità e fedeltà di vita sono le caratteristiche del saggio, rispetto allo stolto, sale de-salato.
Il sale è fatto per salare, cioè per dare sapore ai cibi. Ma se perde la sua natura di avere e dare sapore, non c'è nulla che lo possa insaporire. Ciascuno di noi ha, nel mondo, una piccola ma vera funzione: di essere sale per gli altri. Non c'è nulla che possa salare al posto nostro e possa salarci. Ogni uomo è unico e irripetibile, se uno non può essere se stesso, con la sua dignità e il suo valore, non ci perde lui solo, ma tutta l'umanità si trova impoverita nel suo contributo. Per quanto riguarda il cristiano, la sua coscienza di essere sale si basa sulla rivelazione e sul dono di Gesù Cristo, che ha mostrato come essere ciò che dà sapore alla vita: porsi a servizio degli altri, gratuitamente e per amore.
Tutto questo comporta l'essere non dei caustici accusatori del mondo per la sua "mondanità", quanto umili e costanti tessitori della trama di relazioni vere e positive. Perché prendere le distanze impedisce al sale di mescolarsi con ciò che è insipido per dagli gusto. C'è sempre il rischio di una superba affermazione della propria coscienza dell'essere cristiani. Mentre, chi mangia un cibo non dirà mai: «Che buon sale che c'è!», ma «Che gustoso è questo cibo!». In un mondo oggi insipiente, per certi aspetti, bisogna avere il coraggio e l'amore di «perdervisi» dentro, per comunicarvi un po' di sapienza.

 

La prima Lettura ci fornisce una chiave interpretativa dell'altra immagine: quella dell'essere «luce». Bisogna compiere opere pie che non siano false: come digiunare, ma, contemporaneamente, «angariare gli operai, avere litigi e alterchi…» (cfr. Is 58,3ss). Bisogna, allora, «dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo, aprire il cuore all'affamato, saziare l'afflitto di cuore»: «allora brillerà fra le tenebre la tua luce». Questo testo di Isaia dà valore di fede alle opere della carità: esse equivalgono a quel stare davanti a Dio come quando si va al tempio a pregare o offrire sacrifici o come quando si fanno opere pie per Dio come il digiuno. Bisogna, allora, avere il "culto" del povero, la "venerazione" dell'emarginato: come quando ti poni al cospetto del tuo Signore.
E Gesù ha confermato tutto questo affermando di sentire rivolti proprio a Lui tutti gesti della carità: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Questo è il nostro vero culto divino. E questa è la luce che possiamo e dobbiamo accendere nel mondo, per aiutare a vincere le sue tenebre.

 

Alberto Vianello

 

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