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A imitazione dello stile di Dio

Briciole dalla mensa - 7° Domenica T.O. (anno A) - 19 febbraio 2023

 

LETTURE

Lv 19,1-2.17-18   Sal 102   1Cor 3,16-23   Mt 5,38-48

 

COMMENTO

 

La legge del taglione era già una norma di civiltà, perché limitava la vendetta (come forma di giustizia) al causare un danno non superiore a quello subito. Per Gesù, invece, la ferita viene riparata non provocandone un'altra. Il «porgere l'altra guancia» non è atto di inermità e di assurda offerta di sé alla violenza. Costituisce, invece, l'azione di disarmo dell'ingiustizia pretesa dall'altro, placando ogni spirale di rivalsa. Non si vuole negare una forma di difesa dall'ingiustizia e dalla violenza, ma mostrare che esistono forme altre di resistenza al male, come la resa: non al male ma all'uso delle sue modalità.
Lasciarsi togliere, lasciarsi costringere, anzi, dare di più di quello che pretestuosamente si pretende, stabilisce una legge della giustizia che mira a salvaguardare l'altro negandolo come avversario.

 

«Amare il prossimo e odiare il nemico» è un semitismo, secondo gli usi di una lingua che procede per opposti. Voleva dire che si è chiamati ad amare solo i vicini, mentre si è dispensati da amare i nemici. Ma Gesù dice che quella legge era una tappa verso un traguardo più pieno: amare anche i nemici. A questo comandamento Gesù dà immediatamente una cifra di fede, mettendolo in parallelo con il «pregare per coloro che vi perseguitano» e motivandolo con limitazione della «Padre vostro». L'odio del nemico chiama in causa Dio, perché in Lui si è tutti fratelli, quindi l'odio ci rende tutti Caino. Amare il nemico vuol dire riconoscerlo come fratello, al di là di tutte le divisioni provocate dall'inimicizia.
Viviamo in un mondo nel quale, per esempio, è diffuso il fatto che dei fratelli di sangue addirittura non si parlino per tutto il resto della vita per l'assurdo motivo della divisione di quattro dannati soldi dell'eredità. Amare il nemico è dunque profezia di un modo alternativo di vivere le relazioni oggi. Dove il fatto di essere fratelli ci unisce, al di là delle peggiori ferite provocate che ci dividono, rispetto a una fratellanza che, invece, ci fa riconoscere uniti, invece che divisi.

 

In ogni modo, l'insegnamento di Gesù risulta qui affascinante quanto esigente. Ci rivela, infatti, che essere cristiani per davvero non significa tanto avere Dio sempre sulle labbra, quanto nel proprio comportamento: fare quello che Lui compie, secondo lo "stile" di Dio. Lui manda il sole e la pioggia su tutti, senza distinzioni: «cattivi e buoni». Anche l'invito alle nozze del Signore e per «cattivi e buoni» (Mt 22,10). La sua grazia non fa distinzione: la sua bontà e il suo dono gratuito sono per i cattivi parimenti che per i buoni. Il mondo, e in ogni luogo e in ogni momento, ci rivela, dunque, quanto i «nemici» siano amati e graziati dal Signore.
Perciò, fare come Lui fa, amando i nemici, è espressione di fede, cioè di relazione con il Signore. Prima che sulle lecite obiezioni riguardo alle condizioni e alle possibilità di tale amore, dovremmo soffermarci sulla bellezza di poter imitare Dio e di essere veramente persone umane, come Gesù, che ha fatto della sua umanità il "luogo" di una solidarietà e di un amore senza confini

 

Gesù insiste, allo scopo di rendere bello un amore che sembra impossibile. Aggiunge che, se l’amore è caratterizzato solo dalla reciprocità (amare solo quelli che amano in cambio, salutare solo gli amici) è amore senza il "segreto" di Dio, cioè la sua gratuità: anche i pubblicani, cioè i peccatori fanno così. Non vi è nulla di «straordinario», lo fanno anche i «pagani». L'amore vero richiede una sovrabbondanza, un oltre qualsiasi misura, un eccesso irragionevole, per certi versi.
Lo scopo di tale amore è alto e inimmaginabile: essere «perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste». In Gesù, nel dono della sua vita, contempliamo tale perfezione d'amore: un amore che va «fino alla fine» (Gv 13,1), oltre ogni limite e ogni ragionevolezza, per chi non è amabile e per chi risponde con il rifiuto. Dio è così. Essere cristiani vuol dire essere come Lui. Nella radicalità e nella quotidianità dei gesti di tutti i giorni. Una parola, un gesto "oltre" quello che faremmo, secondo la normalità e la giustizia, sono lo straordinario e la perfezione di Dio nelle nostre relazioni e quindi nel mondo.

 

Alberto Vianello

 

 

 

In realtà il modello di cultura, di civiltà in cui abitiamo prevede esattamente questo: la ricerca del benessere individuale! E il resto? Ci sono le leggi che regolano tutto, bene o male.
Corrisponde, nel Vangelo di domenica, a quel che ‘fu detto’, tra l’altro parola di Dio anche quella. Sentiamo che l’ambito della nostra esistenza si spinge fin dove arrivano i nostri interessi. Custodiamo quel che vi è dentro e intendiamo chi si avvicina al confine come una possibile minaccia. Non è così che si muovono le nazioni? Vanno in contrasto e alle mani, come bambini che si litigano. A parlar di interessi nazionali si fa presto a diventare irrazionali. Mi sembra che le persone, prese una ad una, siano molto più civili e sagge della politica espressa dagli Stati o dai gruppi collettivi.
La civiltà ebraica ha prodotto un modello etico religioso di cui il mondo le è debitore, fondato sull’osservanza della Legge in cui sta la ‘salvezza’. Si tratta di un modello antropologico capace di dare spiegazione all’esistenza per millenni.

 

Nella correzione di Gesù appaiono i limiti di quella lezione: il formalismo, la lettera, l’esteriorità, l’individualismo, il vantaggio personale… Sono i mali soliti che abitano i pensieri e muovono le scelte di tutti e sempre. Le società si sono organizzate storicamente secondo questi criteri, le leggi ne sono garanti. Più o meno. Nulla da eccepire. Questo modello antropologico, che trae origine pur sempre dall’ebraismo, come dicono i filosofi del nichilismo, non è rivelativo più di nulla. Ed ecco ‘ma io vi dico’ ed è la descrizione di una nuova civiltà il cui centro non è l’individuo, la sua salvezza personale, ma la relazione, vale a dire la comunità, l’ecumene. Ogni parola di Gesù ha al centro la relazione poiché la salvezza passa nell’altro. Al termine della Messa, nel raccoglimento successivo alla Comunione, il prete ci diceva: “Pregate per chi vi sta vicino”. Al tempo di Gesù quel modello è rappresentato soprattutto dal fariseismo. ‘Ti ringrazio Signore perché sono giusto, pago le decime, eccetera’.Il pubblicano? Mi dispiace per lui…
Il libro di Ezechiele insiste sulla responsabilità personale, ma con i profeti la prospettiva si approfondisce e si estende.

 

Per farla breve, Gesù con quell’incipit ripetuto segna la svolta: è la dichiarazione di una nuova civiltà, la rivelazione di quale sia la forma umana reale, quella che staziona in noi, in segreto, e pensata per noi, quella del Sal 138 (“Signore tu mi scruti e mi conosci…mi hai visto quando venivo tessuto nel seno di mia madre…”). Quel mistero chiamato uomo si chiarisce in una relazione perfetta con l’altro, perfetta sta per pacifica, misericordiosa, amichevole, santa. Riconciliatevi mentre siete per via, se uno ti chiede di fare un miglio con lui, fanne due. Per cui, nel rapporto che abbiamo con l’altro, qualunque altro, il salumiere, il coinquilino… abbiamo la prova di ciò che siamo e di quel che crediamo. Anche ‘ama il tuo prossimo come te stesso’ può lasciare spazio ad incertezze. Capita che uno abbia l’autostima a zero, allora? L’altro se la vedrebbe male. ‘Ma io vi dico: amatevi come io vi amo’. Siamo obbligati a guarire.

 

Il cristianesimo è la religione della relazione. Capita spesso di incontrare persone che la risolvono con battute senza costrutto. Peste e corna alla Chiesa e chi dice di credere è un credulone… Come si fa a spiegare l’esistenza di Dio? I filosofi tante ne trovano a favore e tante contro. Ma non è difficile scorgere in quello scetticismo del malessere ed una speranza repressa, l’enorme bisogno di un amore sanificante. Possiamo rispondere con una sapiente e lungimirante amicizia. E con la preghiera.

 

L’indicazione del cammino e le regole del gioco furono date da Mosè e sono bastate per il grosso. ‘Ma ora vi dico’ quale è il senso e il compimento di quella storia, la civiltà compiuta. L’annuncio di Gesù non è un di più, come se Lui (e chi gli sta dietro a fatica) sia uno stakanovista, un esagerato. Egli non predica un di più, ma un tutto. Ma niente di misterico poiché si traduce visibilmente in un modo di essere con l’altro: una nuova civiltà rispetto a quella incomprensibile, disumana e assolutamente obsoleta dell’occhio per occhio e della guerra.

 

Valerio Febei e Rita

 

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