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Un Vangelo vivente, scritto nella carne dei poveri

Briciole dalla mensa - 26° Domenica T.O. (anno C) - 28 settembre 2025

 

LETTURE

Am 6,1.4-7   Sal 145   1Tm 6,11-16   Lc 16,19-31

 

COMMENTO

 

Del profeta Amos abbiamo già parlato domenica scorsa. Ancora una volta la pericope che ci viene proposta nella liturgia di questa domenica sottolinea la corruzione e l’irresponsabilità dei potenti della terra. Quelli di ieri e quelli di oggi. Amos critica l’atteggiamento di sicurezza e di compiacenza delle classi dirigenti di Israele, che vivono nel lusso mentre ignorano la sofferenza e l’ingiustizia che dominano nel paese. Tutto il capitolo esprime un forte rimprovero verso coloro che si abbandonano ad una vita allegra e spensierata, tra agi e ricchezze, incuranti della rovina del popolo e indifferenti al suo declino morale e sociale.

 

Amos inizia la sua invettiva con un ammonimento contro coloro che vivono tranquilli e sicuri in Sion (Gerusalemme) e sul monte di Samaria: è un giudizio severo contro il ceto dominante di Giuda e di Israele che, invece di preoccuparsi del benessere del popolo, vive in un lusso sfrenato, pensando così di essere al riparo da ogni pericolo. Ma non è così! Amos invita questi «spensierati» a confrontarsi con altre città un tempo famose che, nonostante la loro grandezza, sono cadute in rovina.
La descrizione che segue sembra la descrizione di tante situazioni di oggi, davvero vomitevoli e scandalose, divulgate con i mass media anche tra il popolo: case lussuose, enormi sale di ricevimento e stanze colme di mobili e suppellettili preziosi, quadri d’autore, sale per i banchetti con abbondanza di cibo prelibato, musica di sottofondo, vini d’annata, oli pregiati che sprigionano il loro intenso profumo in tutte le stanze. Ho visto con disgusto lo sfarzo esibito dai reali d’ Inghilterra per la visita del presidente degli Stati Uniti! Immersi in questi eccessi, i ricchi e i potenti non si preoccupano, e nemmeno sembrano vedere, la condizione di sofferenza in cui si trovano i popoli. Ma sarà proprio questa indifferenza la causa principale del giudizio che Amos annuncia: «Andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti». Sì, cesserà! Le feste di questa combriccola cesseranno, e la sicurezza apparente si trasformerà in rovina. Quelli che si sentono potenti e al sicuro sono avvertiti.

 

Il brano della prima Lettera dell’apostolo Paolo a Timoteo, sembra l’esatta continuazione dell’esortazione del profeta: egli incoraggia l’«uomo di Dio» a perseguire le virtù cristiane come giustizia, fede e amore, a «combattere la buona battaglia» al fine di «raggiungere la vita eterna». Esortazioni che arrivano dopo un richiamo contro l’amore per il denaro e le ricchezze. L’enfasi è sull’importanza di «afferrare» - questo è il senso letterale del verbo – la vita in pienezza, in tutta la sua bellezza, invece di aggrapparsi alle ricchezze effimere e incerte.

 

Il Vangelo insiste sul tema della ricchezza: niente di male ad essere ricchi, ma quando la ricchezza ti rende cieco fino a non vedere la miseria del fratello e a non ascoltare il suo lamento, essa diventa un peccato grave e intollerabile.
«C’era un uomo ricco»: il vestito lussuoso e il banchetto quotidiano come ostentazione di ricchezza; la chiusura all’altro, a qualsiasi altro che non fosse come lui, un ideale di vita, un privilegio esclusivo. «Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta». Il portone del palazzo è la dimora del mendicante, come la tavola è l’alloggio preferito dal ricco. I cani del padrone si nutrono degli avanzi, per il povero nemmeno quelli. Ma questo povero porta un nome, conosciuto da Dio, mentre il ricco è un Innominato: una sottolineatura importante, che ci conduce alla verità totale del testo evangelico.

Un bel giorno muore il ricco e muore anche il povero, ma per essi la morte non è “a livella”, come scrive Totò in una sua celebre poesia. La morte non rende tutti uguali: «il povero fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto». Con la morte uno viene innalzato e l’altro sepolto e sprofondato negli inferi. Dalla sua tomba il ricco raggiunge la dimora dei morti e, «stando tra i tormenti» alza gli occhi nella speranza di un sollievo e vede la felicità di Lazzaro, accanto ad Abramo. È una visione «di lontano», perché tra i due c’è una distanza incolmabile. Nessuno può dargli il minimo aiuto. «Ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti».
Dobbiamo fare subito una precisazione, per non incorrere in grossi equivoci. Non è detto che sia normale che chi è stato ricco in questa vita sarà senz’altro destinato al fuoco dell’inferno. Sarebbe un gesto di vendetta da parte di Dio, del tutto inutile. E, allo stesso modo, sarebbe fortemente alienante e contrario alla giustizia dire al povero: soffri, sopporta tutto fino a morire, perché domani godrai in paradiso. Talvolta il Vangelo è stato predicato alla rovescia, in modo ideologico, a vantaggio delle classi dominanti, purtroppo. Con che coraggio, con quale senso della verità, potremmo dire, oggi, agli abitanti di Gaza, alle centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini, ridotti alla fame, uccisi dalle bombe in tante guerre conosciute o dimenticate, in tanti luoghi trasformati in un deserto dall’avidità delle multinazionali, dallo sfruttamento sconsiderato dell’ambiente, che è bello soffrire e morire perché, sicuramente, domani saranno accolti in paradiso!? No, la verità del Vangelo è un’altra.

Il testo vuole condurre il lettore a compiere una scelta etica, a prendere una decisione a favore del fratello, del povero che sta alla tua porta, dello straniero che approda nei tuoi lidi, del carcerato che vive l’angoscia del “fine pena mai”, dell’anziano dimenticato nella sua oscura solitudine. Il Vangelo invita ciascuno ad assumersi la sua responsabilità a favore della giustizia e della condivisione. Finché c’è tempo. Poi la morte consegnerà ciascuno di noi ad un destino irreversibile: «È stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». La distanza tra il ricco e il povero Lazzaro può essere accorciata e addirittura annullata solo in questa vita. Poi, non si cambia più nulla.

 

Allora, quali strumenti abbiamo a disposizione per capire quello che dobbiamo fare nel corso della nostra vita terrena? Non servono tanto i miracoli, e nemmeno che qualcuno venga dal regno dei morti per avvisarci di quello che troveremo di là. Nemmeno la risurrezione di Gesù ha portato a tutti pentimento e conversione. Per conoscere la volontà di Dio e cambiare il corso della storia abbiamo le Scritture, e in modo particolare il Vangelo della misericordia e della pace.
E poi abbiamo un altro Vangelo vivente, scritto nella carne dei poveri, degli umiliati, di quanti non vogliamo vedere seduti davanti alla nostra porta: dobbiamo aprire il cuore indurito, svuotare i nostri armadi, aprire le nostre ricche dispense, spalancare le braccia per accogliere il fratello, questo è il corso del Vangelo che, strada facendo, ci dona la gioia delle «dimore eterne».
Convertirsi è convertirsi al fratello. Finché c’è tempo.

 

Giorgio Scatto

giorgio.scatto@gmail.com

 

 

 

I profeti sono simpatici come una mosca nell’occhio per chi va in moto. Pensa se uno ti dice sul muso di essere falso, bugiardo, che sei un ladro e gozzovigli con agnelli che tu non hai allevato, con vino di vigneti che tu non hai coltivato… Ad Amos andò bene: fu cacciato via e se ne tornò a fare il pastore. Zitto, predica alle pecore. Ad altri andò peggio. Questo è il tempo del maggior numero di martiri. È gente, per la quale conta solo la verità. Non scendono a compromessi, non accettano di sedere a mensa con quelli che hanno soldi e potere e che si toglierebbero di torno i rompiscatole dandogli una fettina della torta.

 

Luca insiste: la ricchezza è sempre iniqua. A meno che non la si investi perché, stando sul mercato, si crei lavoro e si distribuiscano equamente i proventi. C’è una diffusa imprenditoria che guarda al Vangelo. Vittorio Taddei assumeva di frequente giovani al termine del programma terapeutico o in difficoltà varie. Luca sta dicendo che la ricchezza non condivisa è un’ingiustizia, perché si basa sui circuiti di un’iniqua distribuzione, sul potere delle lobbies, degli interessi corporativi associati, dei mercati… Già detto.
I Lazzari ne fanno le spese. Stanno alla porta, non entrano nelle vie dello shopping, interdette. Il Lazzaro di san Luca non fa atti di bontà, non acquista meriti morali, non dice parole né buone né cattive verso il ricco di cui è alla porta. Ci sono poveri che a volte rubano come quel tale che aveva preso da un pollaio tre galline. Fu visto e condannato a tre mesi di galera, uno per gallina. I suoi amici ridevano del caso e di come va il mondo, severo con i poveri e indulgente coi potenti che dispongono di avvocati e di leggi: “E po’ ‘n le ha gnanca magné!”. Le avesse mangiate almeno!

 

I poveri di san Luca non hanno altro merito che d’essere poveri. “Beati i poveri perché di essi è il Regno dei Cieli”. Questo basta per avere un destino diverso da quello che muore e viene sepolto. Lazzaro viene accolto nella casa di Abramo (di san Pietro diremmo), nella consolazione dove tutto è passato come i dolori di una partoriente alla nascita del figlio, tanto che non li ricorda più; o come passano le lacrime di un bimbo quando viene preso in braccio dalla mamma.
Laggiù tra le pene e i rimpianti irrecuperabili come sono tutti i rimpianti, il ricco banchettatore che non ha nome umano, scorgendo di lontano, come se agli spiriti fossero date facoltà sensitive, Lazzaro con Abramo, ha verso di lui lo stesso atteggiamento che aveva avuto in vita: Lazzaro è uno che non conta, non ha una personalità, una volontà sua, non ha spessore, continua a non valere nulla. Parla quindi ad Abramo perché ‘mandi’ Lazzaro a far questo o a far quello, come uno da comandare. Chi era prima piagato e mendicante, cioè con le stimmate della povertà, ora è custodito dal custode del Regno.

 

E infine la stoccata per i Farisei. Solo? ‘Se non ascoltano Mosè e i Profeti neppure se uno risorgesse dai morti sarebbero persuasi’. Vuol dire che i Farisei non ascoltano per davvero Mosè e i Profeti che hanno predicato Gesù stesso, che è la condizione per credere in uno che risorga dai morti. Vuol dire ancora che credere che Gesù sia risorto è niente se non si cambia vita. Altrove egli avverte che non basta dire ‘Signore, Signore’. 
Che simpatico Gesù, eh? Ad uno così che vuoi fare? Ah, l’hanno fatto! Uno dice: consolazione? E dove e come e quando? Piuttosto ‘carpe diem’, prendi quello che puoi, ché “di doman non c’è certezza”. Vero: se è tutto qui, entro i confini di un tempo finito i Lazzari sono degli sfigati. Oppure no: è il cuore, la sapienza, la giustizia (e la parola di Dio) che lo dicono: ogni lacrima, ogni desiderio, ogni attesa, ogni preghiera sarà accolta e consolata. “Certa è questa parola: 
se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo…”. 2 Tim 2,12.

 

Valerio Febei e Rita

 

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