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La vita così come la vuole costruire Dio e come va trasformandola Gesù

Briciole dalla mensa - Festa di Cristo Re (anno A) - 26 novembre 2017

 

LETTURE

Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

 

COMMENTO

«Io radunerò le mie pecore da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine».
Con il tema del “pastore” e del “gregge” non è possibile sbagliare: si vuol parlare delle guide spirituali, dei capi e del popolo, qui e in altri passi della Scrittura.
Il testo di Ezechiele che ci viene proposto è tutto orientato al v. 31, con il quale termina il capitolo: «Voi, mie pecore, siete il gregge del mio popolo e io sono il vostro Dio».
Prima di pronunciare questa formula solenne dell’alleanza, il Signore, per bocca del profeta, rivolge dei duri rimproveri, prima ai pastori (1-15), e poi alle pecore (17-25). E’ per questo che Dio stesso si mette alla guida dell’intera nazione: «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata». Vengono sottolineate le gravi responsabilità dei pastori: «Per colpa dei pastori (le pecore) si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate». Il gregge, che fino ad ora è stato condotto da ministri del Dio di Israele, adesso avrà un’altra guida. Il che significa che nascerà un altro popolo.
«Voi siete le mie pecore»: ecco la rivelazione che il profeta trasmette al popolo che subisce l’esilio, un popolo senza nome, senza re e senza sacerdote. Esiste la possibilità di fare, di questo gregge di esuli che non figura più agli occhi delle nazioni, un «popolo di Dio», del quale Dio stesso diventa il pastore, e questo perché Dio non ha cessato di essere, nonostante i cattivi pastori, colui al quale appartengono le pecore.

 

«A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: “Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”».
Compare il tema del “giudizio”: il vero pastore non è solo colui che ritrova, raduna e conduce il popolo, ma che esercita il mishpàt, la giustizia, che permette a tutti di vivere in pace gli uni con gli altri. Nello stesso tempo in cui il popolo ritrova il pastore legittimo, ritrova anche se stesso. Il vero pastore, esercitando la giustizia, difenderà il debole e il povero, non permetterà ai potenti di colpire impunemente coloro che sono stati da loro impoveriti. Il suo regno non viene solo annunciato, ma realizzato. Nel diritto e nella giustizia.

 

Il Vangelo di Matteo ci indica quale sarà il giudizio del vero pastore nel suo gregge da lui radunato: le genti saranno giudicate sull’amore: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ero straniero e mi avete accolto».
Sentiamo ancora papa Francesco: «La proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso. La proposta è il regno di Dio; si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Il progetto di Gesù è instaurare il regno del Padre suo» (Evangelii Gaudium 180).

 

L’apostolo Paolo, contemplando il Cristo risorto, afferma che «è necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. Poi sarà la fine, quando consegnerà il Regno a Dio Padre».
Questo “regno di Dio” non è una religione. E’ molto di più. Va più in là delle credenze, dei precetti e dei riti di qualsiasi religione. E’ sorprendente che Gesù non spieghi mai propriamente che cosa è il “regno di Dio”. Quello che fa è suggerire, con parabole indimenticabili, come agisce Dio e come sarebbe il mondo se i suoi figli e le sue figlie agissero come lui; e mostra, con il suo fare di profeta, come cambierebbe la vita se tutti lo seguissero. Possiamo dire che “regno di Dio” è la vita così come la vuole costruire Dio e come di fatto va trasformandola Gesù. Questi sono i tratti principali di questo regno: una vita di fratelli e sorelle, animata dalla compassione che ha verso tutti il Padre del cielo; un mondo dove si cercano la giustizia e la dignità di tutti gli esseri umani, incominciando dagli ultimi; dove ci si prende cura della vita liberando le persone e la società intera da ogni schiavitù disumanizzante; dove la religione è al servizio delle persone, soprattutto quelle più dimenticate; dove si vive accogliendo il perdono di Dio e rendendo grazie per il suo smisurato amore di Padre.

 

Quando nelle parrocchie e nelle comunità si dimentica il primato assoluto del Regno, ci si disperde in mille compiti, pratiche e devozioni che a volte restano molto lontani dal progetto del Vangelo. E va anche detto che l’orizzonte del Regno non coincide con i recinti della Chiesa, perché la potenza di Dio, il suo amore, agiscono al di là di tutti i confini posti dalla religione.
Che fare?
Proviamo a muovere i primi passi nella direzione giusta e a mettere in pratica, senza fingere di non aver capito, quello che ci dice oggi il Vangelo: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
Ricorderemo così che l’essenziale della vita di fede non è confessare Cristo a parole, ma praticare l’amore concreto per i poveri, per gli affamati, per gli stranieri.
Sì, in questo consiste edificare il Regno e vivere di Cristo, fosse anche senza conoscerlo.

 

Giorgio Scatto               

 

  • Con questo commento termino il mio piccolo servizio triennale.
    Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito per questo lungo tempo e li affido ora al Signore e alla guida esperta di don Alberto.

 

 

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