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La mano di amore di Dio

Briciole dalla mensa - 4° Domenica di Pasqua (anno C) - 8 maggio 2022

 

LETTURE

At 13,14.43-52   Sal 99   Ap 7,9.14-17   Gv 10,27-30

 

COMMENTO

 

Gesù risorto dai morti è ancora il Gesù pastore: colui che custodisce, si prende cura e dà la sua vita per le sue pecore. Anzi: è colui che dà loro «la vita eterna»: cioè non solo si spende fino a morire per custodirle, ma anche le conduce ai pascoli di quella vita piena da risorto che la sua umanità - per prima e come causa per gli altri - ha assunto come corpo umano redento (non dal peccato, ma dalla fragilità umana del non pieno amore).

 

Gesù le chiama «le mie pecore»; dice che «ascoltano la sua voce»; Lui «le conosce» ed esse «seguono Lui». C'è molta insistenza nella dimensione relazionale che lega il pastore con le pecore: solo dopo questa insistenza, si parla di ciò che il pastore compie a favore delle pecore e dei benefici che esse ne ricevono. Quindi non viene prima o prevalentemente la dimensione funzionale e organizzativa. Invece, nella nostra vita, le "cose da fare" sembrano prendere il sopravvento, a scapito della relazione gratuita e cordiale con gli altri. Gesù avrebbe potuto "fare" molto di più dei segni che ha fatto, avrebbe potuto dirci molto di più di Dio e del suo piano di salvezza, se non avesse "perso tempo" a fermarsi, ad ascoltare, a dialogare con le persone che incontrava o andava Lui ad incontrare. Ha perso in termini di efficacia "pastorale", ma ha fatto «ardere il cuore» a qualche persona, fra le più deluse (cfr. Lc 24,32).

 

«Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano»: Gesù garantisce, con queste parole, in tutti i modi, la sua custodia. Noi siamo preoccupati della guerra sempre più devastante e radicata che è scoppiata vicino a noi: l'eternità che Gesù garantisce non può essere qualcosa di totalmente estraneo al nostro presente, come se una cosa fosse la nostra storia e il nostro mondo, mentre il tempo e il luogo dell'opera di custodia del Signore fossero totalmente al di fuori della nostra realtà. Quell'eternità di vita e di garanzia dalla rovina e dalla perdizione deve per forza invadere, in qualche modo, anche il presente. La logica non può essere "dato che questo mondo va in rovina a causa di guerre e inquinamento, lo lasciamo distruggersi e ne facciamo uno nuovo". Dio non segue la logica economicistica attuale che vede più conveniente fare nuovo piuttosto che riparare ciò che è vecchio e rovinato.
Assistiamo attoniti a quegli uomini (i potenti) che si fanno prendere dalla spirale sempre più drammatica e distruggente dell’uso ancora maggiore delle armi, fino ad aprirsi addirittura all'irreparabile. Ma penso alla prova a cui Dio ha sottoposto Mosé: lascia che distrugga questo popolo (infedele e cattivo) e «di te farò una grande nazione» (Es 32,10), gli dice. Mosé si oppone, come Dio si aspettava da lui, perché Dio si è ormai legato indissolubilmente con Israele, e la sua distruzione sarebbe stata la rovina anche di Dio. Perciò Dio non lascerà questo mondo alla sua rovina per creare un altro paradiso, ma rimarrà fedele a questo uomo, pur con tutto il male che vi si compie. Dobbiamo allora invocare la fine delle sofferenze della guerra, invece di cercare un bunker della fede che ci rassicuri riguardo alla nostra salvezza finale.

 

Sempre nel medesimo versetto, Gesù usa un'immagine altamente rassicurante: «Nessuno le strapperà dalla mia mano» Nel Vangelo di Giovanni, si legge precedentemente: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (3,35). Mentre, introducendo il gesto radicale di amore da parte di Gesù della lavanda dei piedi, lo stesso evangelista dice: «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani» (13,3). La mano aperta del Padre per donare tutto al Figlio diventa la mano aperta del Figlio, che tutto riceve dal Padre e che il Figlio stesso mostra a Tommaso quando appare risorto, con i segni dei chiodi, ovvero del suo amore fino al dono totale della sua vita. Dunque, in Giovanni, la mano è simbolo di amore ricevuto e dato; e, nell'amore, la mano di Gesù viene a identificarsi con quella di Dio. Per questo Gesù è il vero pastore: perché, con questa sua mano, simbolo di amore, può davvero custodire le sue pecore nell'amore, nel dono e nella spendita di sé.

 

«Io e il Padre siamo uno»: comunione perfetta di amore. Se Gesù custodisce e non perde nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato è grazie al fatto che Lui rimane nella relazione con il Padre, e in questa loro relazione d'amore entra e abita ogni credente e ogni uomo.
Tutto questo lo possiamo poi trasportare anche nelle nostre relazioni. Se noi rimaniamo nella relazione con il Signore - relazione di amore - non rischiamo di «perdere» l'altro, chiudendoci nell'egoismo. Questa sarebbe una chiusura che, alla fine, farebbe «perdere» anche noi stessi, perché perderemmo il senso della nostra stessa vita, che consiste proprio nel vivere la relazione con il Padre e con i fratelli.

 

Alberto Vianello

 

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