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IRAQ 2019: TRA RINASCITA E MINACCIA

Dal diario di quei giorni:

Cari amici, vi raggiunga il nostro saluto di pace alla sera di questa domenica del tempo pasquale.
Domani partiamo per l'Iraq: per don Giorgio è la sesta volta, per Cristina, sorella della comunità di Marango, la terza, e per Anna, la nostra amica di Bergamo, la seconda.
Andiamo come pellegrini, in una terra che ha visto decenni di guerre e di distruzioni; andiamo come pellegrini a incontrare delle comunità cristiane che, fin dalla loro nascita nei tempi apostolici, hanno sperimentato la persecuzione e hanno testimoniato la loro fede fino al martirio. Andiamo per ascoltare la loro sofferenza e per essere rafforzati mediante la loro fede. Andiamo mandati dalle nostre Chiese, e sostenuti dalla preghiera delle nostre comunità. Andiamo dunque con fiducia, e con passo leggero.
Abbiamo raccolto nel corso dell'anno anche delle offerte, che consegneremo personalmente a due realtà con le quali siamo particolarmente in contatto. Aiutiamo padre Jalal, un religioso rogazionista, che ha scelto di vivere nel quartiere più povero e abbandonato di Qaraqosh, che si chiama Sheqaq, e inoltre una piccola comunità di monaci, che ha sempre condiviso in tutto, fin dalla sua nascita, le vicende e i drammi del loro popolo. Anche questi monaci, nati negli anni '90 da un gruppo laicale di preghiera, hanno visto il loro piccolo monastero incendiato e distrutto.
Ora vogliono ricostruirlo un po' fuori dalla città, affinché la gente possa compiere un cammino, anche fisico, alla riscoperta delle proprie radici spirituali.
Oltre che dalle realtà che gravitano attorno a Marango, siamo stati aiutati economicamente dal Patriarca di Venezia, dal Vescovo di Treviso, dalla famiglia monastica Piccola Famiglia dell'Annunziata di Bologna, dagli amici dell'Hospitale di San Tommaso (Ud), dalla Parrocchia dei Frari (Ve), e da numerosi amici di Marano Veneziano, di Borbiago, di Bergamo, di Trento. Una importante iniziativa è stata messa in atto dalla Diocesi di Siena durante l'Avvento scorso. Abbiamo gioito nel vedere come l'interesse per l'Iraq, per questo popolo martoriato e per queste comunità cristiane, sia andato crescendo nel tempo. Vi ringraziamo per tutto quello che avete fatto e vorrete fare ancora. Vi chiediamo di accompagnarci con la preghiera e con tutto il vostro affetto.Noi cercheremo di tenervi informati ogni giorno, per quanto ci sarà possibile. Il Signore ci doni la sua pace.

Carissimi amici, concludiamo ora la nostra prima giornata in Iraq. Giunti a Qaraqosh verso le 20.00 abbiamo cenato con la comunità e con Majeed, segretario del Vescovo in un clima di grande fraternità. Al termine abbiamo consegnato le offerte raccolte in Italia, grazie alla generosità di tutti voi e abbiamo anche letto il messaggio del Patriarca di Venezia. I monaci sorpresi e commossi di tanta generosità, ringraziano tutti e ciascuno. Buona notte a tutti!

Dopo la preghiera delle lodi, la giornata di oggi inizia con la visita al luogo dove sorgerà il futuro monastero della Fraternità del Cristo Redentore, i nostri fratelli monaci. È un terreno di 22.000 metri quadri, donato alla fraternità dal Vescovo di Qaraqosh, che appena sarà in pensione verrà ospitato della fraternità. Il monastero sorgerà in aperta campagna, raggiungibile dal centro città con una passeggiata di 20 minuti. Attorno ampi campi di grano e orzo che danno un senso di pace. 
Poi ci siamo recati per il pranzo al quartiere di Sheqaq, il più povero della città, dove opera padre Jalal, al quale abbiamo consegnato dei doni e una parte delle offerte raccolte. 
Nel pomeriggio abbiamo visitato il quartiere e alcune famiglie e abbiamo partecipato al rosario, al termine del quale siamo stati invitati a condividere un pensiero. La serata si è conclusa con la visita ad una ragazza malata di cancro che verrà operata a breve in un clinica privata, anche grazie al nostro contributo. Dulcis in fundo, abbiamo condiviso giochi con decine di bambini nel parco del quartiere. Avvolti dai lori sorrisi e dalla loro allegria, ci apprestiamo alla fine del giorno.

Ciao a tutti! La nostra giornata è iniziata con le Lodi, cantate interamente in aramaico dai nostri amici monaci. Ma anche noi ci siamo inseriti con un salmo, la preghiera del Padre nostro e il canto del Benedictus.
Dopo l'abbondante colazione, partenza per il monastero di Mar Matti (San Matteo), ad un'ora di distanza, calcolata sulla velocità di Wesam.
Il monastero è aggrappato ai fianchi di una montagna punteggiata di caverne, ed è stato luogo di rifugio per i cristiani fin dal IV secolo d.C., come lo è stato ancora durante l'invasione devastante dell'Isis. Il monastero fu fondato nel 363 da un eremita, Mar Matti, che era fuggito dalla persecuzione di Giuliano l'Apostata. Sul monte Alfalf, che si trova al confine tra Kurdistan e Iraq, fu raggiunto in seguito da un gruppo di discepoli.
Durante gli anni dell'occupazione da parte dell'Isis i monaci non sono fuggiti. Avevano fatto voto di restare lì fino a quando l'ultimo cristiano non avesse abbandonato l'Iraq, certi della protezione di Dio. E l'Isis non li ha raggiunti.Dice padre Yusuf Ibrahim, rettore del monastero: «San Matteo è arrivato fin qui perché stava fuggendo una persecuzione, ma la persecuzione ci segue. Dobbiamo essere fermi di fronte alla nostra storia. Se le persone non hanno coscienza del loro passato, non avranno un futuro perché non sapranno quali sono le loro origini, da dove vengono». Ora nel monastero risiedono solo quattro monaci, più il vescovo, siro ortodosso. Qualche considerazione sul presente e sul futuro del monachesimo l'abbiamo anche fatta, al di là della consistenza numerica: saprà ancora questa forma di vita cristiana essere ancora evangelicamente significativa?
Nell'ultima parte della nostra visita ci siamo inerpicati per sentieri impossibili, alla ricerca delle antiche grotte dei monaci. Non diteci che occorre ripartire da qui: se non altro perché non abbiamo più il fisico.A breve usciremo per far visita a delle famiglie. A presto.

Aggiungiamo alcune foto di vita quotidiana nelle famiglie, nelle quali siamo stati accolti con tantissima gioia, e con vera amicizia. Qui le generazioni si incontrano e creano una sinfonia che altrove si è smarrita.
Buona notte.

Quest'oggi siamo usciti a piedi per gustare la vita pulsante per le vie di Qaraqosh.Il profumo del pane fresco ci ha subito rapiti a pochi metri da casa: Anna ha potuto improvvisarsi panettiera nel piccolo forno che produce il tipico pane per la colazione, il "samon". Proseguiamo la nostra passeggiata stupiti dalla varietà e bellezza di alcune case, mentre i segni della distruzione si fanno sempre meno evidenti. Visitiamo la scuola media delle suore domenicane, dove suor Silvia ci racconta dell'islamizzazione dei programmi scolastici imposta dal governo centrale. Al centro diocesano San Paolo, abuna Duraid ci mostra la ristrutturazione completa degli ambienti: teatro, sala d'incisione, biblioteca...Nello stabile accanto visitiamo la radio locale VOCE DI PACE, emittente per lo più religiosa che ha ripreso a trasmettere da settembre scorso. Nel rincasare attraversiamo la parte della città ricca di negozi, bancarelle e attività di ogni genere. Nel pomeriggio ripartiamo per partecipare all'evento RUN IN SPIRIT organizzato dai francesi di Lione: non una semplice corsa, ma un'occasione di comunione e di incontro presieduta dal nuovo vescovo caldeo di Mosul, Michaeel Najeeb. 4km da Qaraqosh al monastero di Santa Barbara a Karamless.L'arrivo si è trasformato in una gioiosa festa fra rappresentazioni teatrali, premiazioni, balli e canti. Una giornata intensissima, ricca di incontri e condivisioni. L'accoglienza irachena non smette di stupirci! Buona serata a tutti!

Il vescovo Najeeb l'avevamo incontrato tre anni fa in un campo profughi ad Anqawa, sfollato insieme alla sua gente. Nato a Mosul , è diventato prete domenicano a 31 anni, dopo aver lavorato nell'industria petrolifera. E' stato ordinato vescovo il 18 gennaio di quest'anno.
Durante l'occupazione dell'Isis ha salvato dalla distruzione 850 manoscritti antichi in aramaico e più di 50.000 libri. Noi l'avevamo incontrato nel suo importante lavoro di archiviazione. Diceva: «Non possiamo salvare un albero se non salviamo le sue radici. Un uomo senza cultura è un uomo morto». Anche per questo era nella lista nera dei cristiani da uccidere. Il patriarca caldeo Sakko gli ha affidato ora il delicato compito di promuovere la riconciliazione e la fiducia tra la gente, persa a causa della violenza e della instabilità, e incoraggiare gli stessi musulmani alla ricostruzione dei rapporti tra le fedi, in una prospettiva di pace duratura.
Ieri l'abbiamo incontrato in mezzo ai giovani, pieno di energia e di gioia, davvero capace di trasmettere speranza.
Oggi invece ci siamo recati all'antico monastero dei santi fratelli Benham e Sara, le cui origini risalgono al IV secolo. Così la leggenda: Benham, figlio del re di Ninive Sennacherib, durante una battuta di caccia sui monti, incontrò l'eremita Matti che gli annunciò il Vangelo e gli promise di guarire la sorella Sara, malata di lebbra. È così avvenne. Il re, furioso per la conversione dei suoi figli, li fece uccidere. Ma Benham apparve in sogno alla madre e le indicò come guarire suo padre, diventato pazzo. Guarito, anche il re si convertì e fece erigere la tomba ai suoi figli. Distrutta dall'Isis, l'abbiamo oggi visitata, ricostruita con molto decoro. Il monastero è meta di pellegrinaggi dei cristiani, musulmani e yazidi, per chiedere la grazia della guarigione e della fertilità .
Abbiamo incontrato al monastero i due monaci residenti e il parroco di Bartella, villaggio quasi totalmente cristiano prima dell'Isis e ora non più, perché i cristiani hanno paura a rientrare, mentre c'è stata una presenza massiccia di musulmani sciiti.
Abbiamo anche incontrato Basem, un religioso che avevamo conosciuto nei campi profughi, e che lavora con le persone segnate dalla fragilità fisica o psichica. Molti dei suoi "ragazzi" ci hanno riconosciuto e ci hanno fatto festa. È stato davvero un bel momento.
Nel pomeriggio Yaser ha accompagnato in bicicletta Anna e Cristina in una visita ai resti della vecchia città di Qaraqosh: un capolavoro architettonico dove la maestria delle costruzioni in mattoni testimoniano dell'unicità di queste case. Un tesoro che gli stessi monaci vorrebbero recuperare, ma difficilmente trovano sostegno. Siamo entrati nei sotterranei delle abitazioni, tutte collegate internamente, quasi una seconda città sotto terra. La visita si è conclusa condividendo un caffè in una delle famiglie più povere del quartiere. È proprio lo stesso Yaser ad occuparsi personalmente di queste fragili realtà.

Un'altra giornata sta terminando, ed è molto tardi, quasi mezzanotte. Siamo appena tornati da una visita alla famiglia di Amar e Sanja e delle loro due bimbe. Una cena in compagnia che si è protratta per 3 ore. La mattina era iniziata con la preghiera, come ogni giorno, che dopo le emergenze degli anni scorsi assume ormai dei ritmi più regolari. In questi giorni osservando il ritmo incalzante della ricostruzione ci siamo chiesti se andasse tutto bene, se tutto fosse rientrato nella normalità...
Dialogando con le persone, tutti hanno sottolineato il permanere di uno stato di instabilità. C'è una dilagante corruzione e lo Stato centrale è totalmente assente, manca il lavoro e molte famiglie sono tentate di andarsene, i giovani aspirano ad imitare miti e mode occidentali e anche l'appartenenza religiosa diventa più fragile. Nei racconti emergono altre due situazioni critiche che riguardano il mondo femminile: la situazione delle donne dell' Isis, rimaste vedove con dei bambini piccoli e la situazione delle donne, in maggioranza yazide, rapite e diventate schiave del sesso. Si dice che tra i vari campi profughi disseminati fra la Siria e l' Iraq ci siano 50.000 persone fra bambini e familiari del terrorismo senza nazionalità. Le agenzie umanitarie spesso fanno finta che non esistano. Per lo più non abbiamo trovato risposte precise e nemmeno l' intenzione di affrontare il problema. Ci dicono che per molte di queste donne dell'Isis, ritenute colpevoli di terrorismo, ci sia per loro inevitabilmente la condanna all'ergastolo o all'impiccagione, così i bambini resteranno doppiamente orfani.
Nel caso delle donne yazide, le famiglie sono disposte a riprenderle, purché rinuncino ai loro figli. È una situazione tragica, che probabilmente prepara un futuro di nuove violenze. 
Diversi e significativi gli incontri di oggi. Sara, che già avevamo incontrato l'anno scorso, continua il suo lavoro dedito ai poveri, lo fa con intelligenza e saggezza. Sony è un prete anziano, studioso della letteratura dei padri siriaci che ha pubblicato numerosi libri. Di recente ha pubblicato una trilogia sulla storia e le istituzioni religiose di Qaraqosh. 
Per il pranzo siamo stati invitati in una famiglia di amici dei monaci. La signora collabora alla redazione della rivista liturgica edita dai monaci stessi. 
Il pomeriggio abbiamo celebrato l' eucarestia in una casa del quartiere dei monaci, dove don Giorgio è stato invitato a tenere l'omelia. La liturgia si è conclusa con un breve pellegrinaggio verso la grande croce eretta subito dopo la liberazione della città. Un momento di festa e fraternità che si è concluso con la merenda, canti e balli.
Buona domenica a tutti!

Questa mattina abbiamo iniziato la giornata partecipando alla Messa domenicale delle 7.00 al quartiere di Sheqaq. Si comincia così presto per consentire alla gente di andare al lavoro visto che oggi è giornata lavorativa in Iraq. 
La condivisione dell' eucarestia è proseguita con la condivisione della colazione in cortile preparata dalle donne, una tavola imbandita di profumi e sapori di pane, formaggio, minestra di lenticchie, burro, dolcetti, e thè iracheno (chai). 
Poi, siamo passati alla chiesa di San Benham e Sara, gravemente danneggiata dall'Isis, e con piacere abbiamo visto che i lavori di restauro sono in corso a spron battuto. I monaci ci hanno fatto presente che il Vescovo prima di sistemare le chiese ha voluto provvedere alla ricostruzione delle case delle famiglie per restituire loro dignità! 
Rientrati a casa abbiamo approfittato per parlare con i monaci e porre loro alcune domande.
Dalle loro parole emerge una visione sapiente della situazione. La chiesa sta lavorando molto, non solo per coordinare i lavori di ricostruzione delle case ma anche per offrire occasioni di riconciliazione, attraverso incontri formativi per giovani e famiglie, attività ludico-creative, momenti di studio della Bibbia. Sono segni preziosi che offrono una prospettiva di futuro e coltivano un senso di speranza. 
Un prete, sull' esempio di ciò che è accaduto altrove, ha iniziato a istituire un "tribunale di giustizia" dove le persone vittime di reati durante questi anni, possono denunciare i torti subiti. È solo un inizio, in vista di una reale riconciliazione. Senza verità non può esserci giustizia. 
Ancora una volta viene sottolineata l'assenza totale dello Stato. Da ulteriori confronti abbiamo capito che la situazione è preoccupante e molto seria per l' insistente politica di accerchiamento da parte dell' Iran. 
Inoltre, rimangono aperte alcune questioni: il calo demografico, dovuto al fatto che molte famiglie cristiane preferiscono lasciare il paese piuttosto che tornare a casa, non avendo possibilità di lavoro; l'instabilità politica che non dà nessuna garanzia per il futuro e l'impoverimento della fiducia reciproca fra le persone.
La conversazione è proseguita su cosa significhi per la loro comunità monastica essere fedeli all' intuizione originale. Hanno risposto che ogni giorno è un nuovo inizio e che le mutate condizione sociali ed ecclesiali li spronano ad abbandonare una visibilità più marcata sul versante pastorale, per ricercare le radici spirituali che possano alimentare la fede delle comunità cristiane. Proprio per questo motivo hanno avviato i lavori di costruzione del nuovo monastero. 
Dopo il pranzo a casa dei genitori di Yaser, abbiamo visitato una famiglia cristiana originaria di Mosul che ci ha raccontato la sua dolorosa odissea. Vittime di continue e pesanti vessazioni da parte dei musulmani estremisti, da prima con minacce, poi con la costrizione a pagare imposizioni economiche, finché posti di fronte alla possibilità concreta di essere uccisi hanno scelto di lasciare la loro città...
Concludiamo la serata con una cena in casa della famiglia di Wisam. 
Le persone incontrate ci chiedono di pregare e di non lasciarli soli e ci ribadiscono con forza che siamo ormai parte della loro grande famiglia! 
Domani sarà il giorno del rientro a casa.

È lunedì! Siamo all'aeroporto di Erbil in attesa dell'imbarco. Fra poche ore saremo a casa, non è tempo di bilanci, ma portiamo nel cuore le ferite di un popolo e le sue fragili speranze. Abbiamo sperimentato la forza umile e resistente dei nostri amici monaci e di numerosi uomini e donne di Chiesa, che giorno dopo giorno lavorano per creare un futuro possibile. Tutto sembra andare al contrario, come già più volte abbiamo sottolineato. 
La speranza umana è quasi inesistente; dà forza la speranza riposta nella fede. Portiamo a casa emozioni, incontri, volti, storie che si intrecciano e si incontrano, e già questo è un piccolo seme che può germogliare. 
Grazie di cuore per averci sostenuto e accompagnato durante questi giorni! 

A presto, don Giorgio, Cristina ed Anna

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