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Come può Dio amare così tanto l’uomo ?!

Briciole dalla mensa - Natale del Signore Gesù - 25 dicembre 2019

 

LETTURE

Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

 

COMMENTO

A Natale non dobbiamo chiederci tanto: «Come Dio può diventare uomo?». Piuttosto dobbiamo rimanere stupiti nel chiederci: «Come può Dio amare così tanto l’uomo ?!». C’è una piccola favola, che può rivelarci almeno il senso di questo mistero. C’era un re, che si era innamorato di una ragazza, la quale, però, era poverissima e apparteneva ad una famiglia di bassissima condizione. Il re desiderava sposarla. Avrebbe potuto introdurla a corte, rivestendola di splendide vesti e attribuendole, seduta stante, un titolo nobiliare. Ma il re aveva timore, così, di umiliarla. Allora decise di farsi lui servo e di coronare in questo modo il suo disegno d’amore. E’ solo dell’amore diventare uguale all’amato, realmente e con tutto l’impegno di se stessi. «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). E’ l’amore che l’ha portato a «svuotarsi».
Così il Natale non è principalmente la dolcezza di un bambino appena nato: è il dramma di un amore che preferisce perdersi pur di guadagnare l’amato. E qui sta il mistero: come può Dio amare così tanto l’umanità?! Dio potrebbe riempirsi d’amore semplicemente contemplando se stesso e la sua perfezione e bellezza. Cosa trova di così amabile nell’uomo?! Non c’è una spiegazione: nulla nell’uomo può attirare un amore così grande. E’ proprio perché è immotivato che l’amore divino è così grande. Il fine dell’Incarnazione non consiste nemmeno nella salvezza: Dio sarebbe diventato uomo per salvarci, e così dimostrarci che ci ama. No: è perché ci ha amati che è diventato uomo, procurandoci poi anche la salvezza.

 

E’ Signore di amore, quindi di dono. Non è signore come l’imperatore Augusto, che vuole misurare il suo potere con il censimento, per motivi militari e fiscali: più uno dimostra che è forte e ricco, più può proclamarsi signore. Il Natale è tanto celebrato quanto è negato nel suo autentico contenuto di fede. E non può che essere così: questa spoliazione totale e senza riserve di se stessi, questa condivisione piena della condizione dell’altro soprattutto se povero, questo accettare di non essere migliore di nessuno, da parte del Signore, non può che trovare, in maggioranza, un rifiuto da parte della nostra società. Oggi dobbiamo denunciare con maggior forza la deriva egoista e violenta del nostro mondo. Ma dobbiamo affermare, con ancora maggior forza - ascoltino o non ascoltino – che il Signore Dio non si ritrae, non rinuncia, né cambia stile di rapporto con l’uomo. Lo ama così, lo ama proprio perché è così, sempre più pieno di se stesso e sprezzante verso gli altri e ha bisogno di essere cambiato dall’amore divino. Perciò è proprio la negatività del mondo di oggi che rivela quanto Dio lo ami, diventando uomo in Gesù di Nazaret.

 

Poi dobbiamo avere la fiducia di Maria e di Giuseppe. Essi hanno ascoltato la Parola del Signore e si sono affidati ad essa. Hanno compiuto i gesti umanissimi di due sposi, di una mamma e di un papà. Eppure hanno creduto che quei gesti permettessero al Figlio di Dio di diventare uomo: lo Spirito Santo lo ha generato, ma sono stati Maria e Giuseppe che hanno compiuto i gesti che hanno permesso al Bambino di accogliere la sua umanità. Come tutti i bambini: crescono veramente come persone se sono accolti e amati.
Nel tempo della fretta, della superficialità, dell’incostanza dobbiamo rinnovare il nostro atto di fede nei gesti e nelle parole, semplici e quotidiani, ma che hanno la capacità unica di far vivere la vita. Proprio perché non abbiamo tempo e non abbiamo pazienza, dobbiamo curare al meglio quello che facciamo e diciamo. E’ questo il nostro «culto spirituale» (Rm 12,1): dare il meglio di noi stessi – amando – nei momenti e nelle situazioni di ogni giorno.

 

Immagino i pastori che hanno ricevuto l’annuncio degli angeli: «Oggi è nato per voi un Salvatore». Essi sono andati poi a vedere il «segno»: «Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E quindi sono andati ad annunciarlo a tutti. Chissà che cosa avevano colto e avevano capito?! Certo che sono stati conquistati da questo evento meraviglioso che li ha sorpresi. E sono diventati annunciatori di quello che noi oggi non sappiamo più comunicare a un mondo lontano e refrattario. I pastori sono come gli apostoli dopo la risurrezione di Gesù dai morti: solo l’esperienza effettiva dell’aver visto il Risorto deve averli trasformati in franchi e coraggiosi annunciatori del Vangelo, in un contesto che deve essere stato ancor estraneo del nostro a tale annuncio.
Dobbiamo chiedere al Signore che torni a conquistarci con il suo amore e vinca così i nostri timori e le nostre tiepidezze. «Non ci ardeva forse il cuore…», dicono i rinunciatari discepoli di Emmaus, dinanzi alle Scritture aperte dal Cristo sul suo mistero. La Chiesa non ha bisogno di grandi numeri e di una forte autorità. Abbiamo invece bisogno di tenere fra le braccia quel piccolo e fragile Bambino, e credere che è tutto l’amore di Dio per il mondo: invincibile ed eterno. Come diventeremmo capaci poi di dirlo a tutto il mondo!

Buon Natale a tutti.

 

Alberto Vianello

 

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