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Allargare il disegno

Briciole dalla mensa - 28° Domenica T.O. (anno A) - 15 ottobre 2023

 

LETTURE

Is 25,6-10   Sal 22   Fil 4,12-14.19-20   Mt 22,1-14

 

COMMENTO

Terza e consecutiva parabola sul rifiuto. In quella dei due figli - uno dice no e fa sì, l'altro dice sì e fa no - Gesù concludeva che prostitute ed esattori delle tasse vi passano avanti nel regno di Dio. In quella dei contadini che uccidono l'erede, Gesù denuncia che la vigna sarà tolta a quegli assassini: ne diventerà responsabile Lui, Gesù, che i capi hanno scartato, ma il Padre lo ha reso pietra di riferimento per la costruzione. Segue questa terza parabola, quella della grande cena di nozze, a cui gli invitati si rifiutano di andare, allora l'invito arriva a tutti, ai crocicchi delle strade, «cattivi e buoni». C'è da chiedersi come mai Matteo cuce insieme tre parabole simili.
Forse l’evangelista vuole insistere nel mettere in guardia dal rischio di essere sostituiti al banchetto da altri, esattori e prostitute. Noi abbiamo una dignità, noi abbiamo la civiltà, noi abbiamo la coscienza di Dio… Ma il re dice: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni». La dignità non sta nell'invito: essere onorati, come bravi cristiani; sta, invece, nel partecipare al banchetto a cui si è invitati. L'invito esprime tutta la gratuità del re, ma esserne oggetto non pone in condizione di valere per se stessi. In definitiva, gli invitati che hanno rifiutato sono quei credenti che si sentono già onorati dall'aver ricevuto l'invito (la fede), ma ai quali non interessa, in realtà, di venire a far festa con il re.

 

«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio». Quello che ci è chiesto, come veri credenti, è essere disponibili a far festa. Da quando la Chiesa si è dimessa dall'assiduità alle Scritture, si è portata dietro una tradizione che fa della vita cristiana una triste via di rinunce, di sacrifici, di mortificazioni. È vero che dobbiamo aver sempre dinanzi a noi il nostro peccato, ma la fede che nasce dall'ascolto del Vangelo deve porci nella gioia, nel piacere: perché è quello che facciamo quando partecipiamo alle nozze.
Ma sono i piccoli quelli che sanno spontaneamente gioire: perché i verbi sono partecipare, lasciarsi coinvolgere, gioire della gioia degli altri. Pur nelle difficoltà della vita dovremmo avere la serenità di chi sa che è destinato solo quello: partecipare alle nozze di Dio per il suo Figlio. Un cristiano non lo si vede nell'impegno morale, ma nel saper gioire, perché vede, anche nelle cose piccole, la presenza e l'azione del Signore che trasforma questa storia tragica in storia della salvezza.

 

Nel racconto della parabola, stupisce, innanzitutto, l'insistenza del re: manda i suoi servi a chiamare gli invitati, poi ne manda altri perché non hanno ascoltato l'invito, poi, di fronte all'insistenza nel rifiuto, manda i servi lungo le strade, oggi diremmo ai semafori delle strade, dove ci sono i lavavetri e chi ci chiede la carità. Per il re, la sala delle nozze deve essere riempita. È come se questo re avesse un'idea fissa, un disegno che vuole realizzare a tutti i costi: che, alle nozze del figlio, la sala sia stracolma. È l'idea fissa di Dio, il suo sogno: vuole la salvezza di tutti i suoi figli e vuole che questa, cioè il Regno, sia rappresentata dal segno bellissimo del banchetto. Quindi il Regno non è solo vigna, cioè lavoro e impegno: è anche festa, convivialità, godimento.
E, di fronte al rifiuto degli invitati, Dio non si scoraggia, trovando tale ostacolo: decide di allargare il disegno, il sogno. Ed è un tratto stupendo di Dio. I figli dovrebbero imparare, noi nella Chiesa dobbiamo imparare da questo padre. Noi che, quando troviamo una resistenza, un ostacolo, chiudiamo porte e finestre, quando sembra che quelli di fuori non capiscano e non accolgano. Invece Dio apre, allarga, trova vie nuove. Così è Dio, così devono essere i suoi figli: allargare il disegno.

 

Ma la parabola vuole rivelare non solo il sogno grande di Dio, ma anche la parte dell'uomo. Il fatto che prevalga su tutto e su tutti la grazia divina, «cattivi e buoni», perché tutti partecipino al banchetto (è questo il cuore del Vangelo), non significa che Dio faccia di noi dei burattini inermi nelle sue mani. Tocca a noi rispondere, tocca a noi indossare la veste.
Dunque la parabola ha, al cuore, la dinamica "dal dono alla responsabilità". L'abito nuziale è il prezzo della grazia: lasciarsi trasformare dal dono gratuito di Dio. C'è una risposta che il chiamato deve dare all'invito: si deve entrare in sintonia con il Signore. Semplicemente lasciandosi amare e trasformare da Lui. Chi è stato preso dai semafori delle strade è oggetto della gratuità e della benevolenza di Dio. Ma, a quel banchetto, il Signore lo fa diventare una persona così significativa da essere capace di nobilitare le nozze. In definitiva, è ciò che avviene nel nostro battesimo: siamo stati rivestiti di Cristo, e passiamo la vita a rivestirci sempre più di Lui. Non ci sono chiesti i miracoli, ma di riconoscere quel miracolo che sono le cose buone che riusciamo a fare e - almeno guardando a me stesso - si riconosce, con lieta sorpresa, che non vengono dalla nostra povera umanità, ma dal essere rivestiti della sua stessa umanità.

 

Alberto Vianello

 

 

 

 

Uno chef megastellato ha preparato cibi succulenti e vini raffinati: il banchetto è pronto. Già di per sé un banchetto rallegra la giornata, è una sospensione rinfrancante tra una fatica ed un’altra, si sta fra amici perché a tavola o si è già amici o lo si diventa… Ma non è tutto: l’anfitrione, il re per le nozze del figlio fa un altro regalo ai suoi ospiti, non si compiace di saziarli con quelle leccornie, colma di grazia anche il loro cuore, risolve le loro angustie, asciuga le lacrime, insomma la festa è gioia di vivere. Ed è gratis.
Vuoi che sia questo il problema? Perché facciamo una grande fatica a credere e releghiamo la faccenda nel mito? “Il lupo e l’agnello vivranno insieme…” Isaia 11. Un anelito collocato nell’isola che non c’è, in una regione remota del cuore, in un sospiro. Ce la caviamo con ‘magari fosse!’. Ma quel che crediamo ‘è’ la realtà, la storia sono le nostre credenze a farla. Se si crede che gli uomini sono lupi, se ne sentono gli ululati. Se si dice che non c’è alternativa alla guerra, guerra sarà. “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19). Pare che una grande forza costringa la mente umana a concepire il conflitto piuttosto che la pace. Così funziona: la mente precede e ‘fa’ la cronaca. Si agita sulle onde della paura e dell’accaparramento ed ecco competizione e guerra. Persa nel profondo giace l’angoscia della morte. Ma riecco Isaia: la morte, la nostra nemica, sarà eliminata. Cristo è risorto ed è lui la nostra risurrezione. Di che avere paura? Un velo potente copre la faccia dei popoli, dice Isaia, un inganno utile a trasformare un giardino in deserto, un luogo felice in inferno. Occorre che la coltre che impedisce la vista, e la festa, sia strappata via e ciò avverrà ‘sul santo monte’.

 

Isaia (55) rilancia: “Venite, comprate senza denaro e senza pagare vino e latte!”,. Ma il difficile è permettersi di essere oggetto di un dono gratuito. Lo vediamo anche nella pratica sociale: se siamo invitati a cena da amici, che portiamo? Beh, c’è sempre il contraccambio. Luca (14,13) riporta lo stile della gratuità: “Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi;  e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
Ma gli invitati prescelti declinano l’invito. Mi è arrivata l’auto nuova, devo provarla; la crociera era già programmata… insomma ci sono cose più interessanti, altre occupazioni sono convenienti e che fastidio questi emissari che tornano a ricordare l’invito e le campane che rompono i timpani a tutte le ore, una denuncia al prete per disturbo della quiete pubblica. L’imbarazzo del rifiuto si torce contro chi ce ne fa memoria. Negato il bene, non restano che mille sfumature di male. Resta l’infelicità.
Come con il big bang iniziale e in pochi istanti sono apparsi neutrini e bosoni che hanno piegato nel modo attuale la materia, così creato l’uomo, all’atto in cui egli prendere coscienza di sé un virus è sceso per insidiarne il retto funzionamento.

 

Pare una contraddizione, dopo la sua strepitosa generosità, che il padre dello sposo ordini che sia cacciato via e in malo modo quel tale trovato senza il vestito di nozze. Trattandosi di poveracci come si fa a pretendere che abbiano un abito adatto? C’era usanza però che il guardaroba del padrone di casa disponesse per quelle occasioni di tuniche, vestiti adatti per chi ne era sprovvisto ed era un’attestazione di rispetto indossarne. Vuol dire che la gratitudine è condizione e parte della gioia. Sennò che vai, a sbafare?
La parabola ha un carattere di definitività, dopo di ciò non c’è altro da aggiungere e che più chiaro di così… Perciò è come se dicesse: aprite gli occhi, la vita è un dono, tutto è un dono, la grazia di Dio è un dono. Tutti sono invitati e ne possono godere, a partire dall’esserne grati. Se siamo capaci di porre mente al male e d’esserne afflitti (cosa che ci viene naturale), perché non volgerla al bene credendo di essere amati così tanto e per davvero?

 

Valerio Febei e Rita

 

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