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La pace di Colui che abbatte i muri

Briciole dalla mensa - 16° Domenica T.O. (anno B) - 21 luglio 2024

 

LETTURE

Ger 23,1-6   Sal 22   Ef 2,13-18   Mc 6,30-34

 

COMMENTO

 

La seconda Lettura parla di pace (tre volte), di abbattimento dei muri di separazione e di inimicizia, di riconciliazione, di vicinanza fra coloro che prima erano lontani: grande profezia di speranza per il nostro oggi.
Paolo sta parlando dell'abbattimento della discriminante religiosa: Cristo «ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti». Ogni religione e ogni ideologia che separano e discriminano le persone non sono secondo Dio, non possono avere a che fare con Lui, né sono accettabili dal punto di vista umano. La pace può esserci solo dove le persone non vengono escluse e tenute fuori, rispetto a dove, invece, si affermano i diritti di un gruppo o di una nazione, a scapito di quelli che non vi appartengono. Così continuiamo costruire muri e leggi che escludono dal diritto di tutti. E siamo spettatori di una disumanità inconcepibile. Neghiamo, sfruttiamo, umiliamo le persone.

 

Invece, «in Cristo Gesù», «grazie al suo sangue», i lontani diventano vicini, «per mezzo della sua carne». Gesù Cristo ha donato la sua vita, sulla croce: uno spettacolo a cui tutti hanno assistito, davanti al quale il delinquente crocifisso con Lui e il soldato romano pagano (cioè le persone più “lontane” ed escluse) hanno proclamato la loro inaspettata e subitanea fede; uno spettacolo dal quale è sgorgato il dono dello Spirito Santo, il quale, poi, ha mostrato che il Dio a favore dell'uomo va proclamato in tutte le lingue e quindi è per tutti i popoli e genti.
In questa sua offerta è nata la nuova umanità: «Ha abolito la Legge per creare, in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo». Con la Pasqua di Gesù Cristo è nata una nuova storia, un modo nuovo di vivere l’umano; nel suo corpo umano crocifisso e risorto si è formata una nuova umanità, l'unico corpo. Dove tutti si è uniti in Cristo, perché Lui ha donato la sua vita per tutti, nessuno escluso. Etnie, culture, religioni diverse, ma a tutti è donato ciò che ci unisce insieme e che è molto più di qualsiasi cosa che ci può dividere: ci è donato il sangue di Cristo.
Per questo, Lui è «la nostra pace»: tra chi riconosce di essere così accomunati e uniti non può scaturire alcuna guerra. La speranza cristiana è che questa unità in Cristo prevalga sulla volontà di guerra che prende sempre più gli uomini di oggi. E per i cristiani l’impegno è l'abbattimento di qualsiasi muro, divisione, esclusione e di vivere l'arte del dialogo, della comprensione, dell'inclusione.

 

Il brano del Vangelo ci racconta il ritorno dei discepoli dalla missione cui Gesù li aveva inviati (vedi Vangelo di domenica scorsa). Essi riferiscono «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato». Per tutta risposta, Gesù li invita ad andare con Lui in un posto solitario a riposarsi. Mi viene il sospetto che Gesù abbia colto una certa frenesia della loro attività, o il sentirsi protagonisti. Gesù non reagisce alla loro foga apostolica, non loda i loro successi. Li invita a venire a riposarsi: forse ha colto in loro il nascere di quella deriva sempre in agguato e sempre pericolosa del rivestirsi del proprio ruolo, la tentazione di un certo attivismo esteriore, di un misurarsi grandi, formalmente al servizio del Regno, in realtà edificatori del proprio "io".
Perciò Gesù li invita ad una sosta, che non è una fuga dai problemi, ma è l'essere soli, lontani dagli applausi, per riordinarsi al solo che conta: la relazione con il Signore Gesù, dalla quale scaturiscono poi tutte le attività pastorali.
Stare con Gesù vuol dire guardare la realtà delle persone come Lui le guarda: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione per loro». Quest'ultimo è al grande verbo dell'amore: quello delle viscere materne che sono sconvolte alla vista del proprio figlio piccolo. Questo è lo sguardo di Gesù che bisogna imparare: puoi conquistare il mondo alla fede, ma tutto è vano se non insegni alla gente di sentirsi guardata così dal Signore.

 

«Erano come pecore che non hanno pastore»: non bastano i titoli. Anche al tempo di Geremia (prima Lettura) non mancavano i pastori, ma avevano solo il ruolo, non lo sguardo d'amore dei pastori. Per questo c'è la condanna durissima del Signore, attraverso il profeta. Anche al tempo di Gesù non mancavano i pastori. Ma quando Lui scende dalla barca vede tutta quella gente che li aveva seguiti e quindi preceduti, e ha come un sussulto di misericordia. Gesù aveva colto la fatica dei suoi discepoli, ora coglie quella della gente. E noi cogliamo l'attenzione, la tenerezza, la commozione di Gesù per chiunque è smarrito ed è alla ricerca.

 

Alberto Vianello

 

 

Scrivendo agli Efesini Paolo ha in mente la distanza che separa i greci dai giudei, quelli che sanno di essere e sono i nuovi arrivati e quelli che si sentono e sono i figli della promessa, i lontani e i vicini, i forestieri e gli autoctoni…. Possiamo immaginare che si guardassero in modo strano, che ci fosse del giudizio di sufficienza dei secondi verso i primi, che l’essere credenti non volesse dire la stessa cosa per tutti, lo stesso è accaduto già in Palestina fra i seguaci di Cristo e gli ebrei rimasti nella Legge… tutto il mondo è paese, ieri ed oggi. La nuova identità è Cristo, ma non lo sanno. “Uno solo è il vostro maestro voi siete tutti fratelli” (cfr. Mt 23). Ed è più di Cristo chi di più è fratello. Si potrebbe considerare che muri di separazione ce n’è tanti, mica solo quello che riguarda i primi e i secondi, quelli di qua e quelli di là…

 

È muro di separazione la differenza tra l’io e l’altro, la diffidenza esistente tra l’uomo e la donna ben evidente proprio nel luogo propizio all’unificazione: la coppia, nella quale talvolta si istaurano resistenze irriducibili all’unità. Sarà per questo che non ci si sposa né in chiesa né in comune? E ci si divide comunque? Alcuni possono dire a ragion veduta che ispirandosi proprio a questa pagina di Paolo e soprattutto partecipando assiduamente all’Eucarestia hanno salvato il loro matrimonio, riducendo il peso e il potere dell’istinto di inimicizia, accettando di morire a sé stessi e rinascere come io e tu insieme, come un noi. Sarebbe questo il progetto intrinseco e naturale della relazione uomo donna che la mediazione di Cristo, che abbatte nella sua carne l’inimicizia, l’orgoglio, il contrato, rende fattuale e gli sposi credenti ne fanno esperienza.

 

Erano tanti quelli che andavano e venivano che non avevano neanche il tempo di raccontarsi com’era andata, di esultare con Gesù del loro successo. E certo che la gente è indiscreta! Nel piccolo, ‘c’era un prete che uscendo di casa veniva circondato dalla piccola folla che lo attendeva per parlargli, chiedergli… gli zingari erano i più decisi, imbattibili e se gli stavi dicendo qualcosa quelli non aspettavano il loro turno ma si mettevano in mezzo e non ce n’era più per gli altri. Per rendere l’idea. “Ed egli ne aveva compassione”. Anche il prete. Lo faranno santo.
Ma è bello entrare nel vangelo. E vedere (sì vedere, che cosa manca?) gli apostoli che hanno voglia di raccontare a Gesù la guarigione di quel malato, del ragazzino guarito, i demoni che scappano a razzo, il cieco che torna a vedere, la gente che vuole saperne di più su questo regno di Dio e già immagina la liberazione dai Romani… Niente, nessuna soddisfazione. Neanche il tempo di rifocillarsi. Eh, gli zingari!  
Chi non ha invidia di loro che si prendono la precedenza e intanto si fanno ascoltare? Per caso non vale anche qui il detto “Il regno di Dio soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”? (Mt 11,12).

 

 Non c’è tempo. Andiamo in un posto tranquillo. Ma quelli, vedendo la direzione che le barche prendevano “capirono” e li precedettero. Anche qui! Immaginiamo gli apostoli che non hanno finito di raccontare e comunque sì, in effetti cominciano a sentire la stanchezza. Si può dire che sarebbero anche un po’ stufi? Ma Gesù ha compassione di quella gente, erano pecore senza pastore e si rimise ad insegnare loro molte cose, sicché nella sua parola, la stessa che noi ascoltiamo, egli continuasse ad essere il loro pastore.

 

Valerio Febei e Rita

 

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