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Il mondo è un'epifania di Dio che ama

Briciole dalla mensa - S. Trinità (anno A) - 7 giugno 2020

 

LETTURE

Es 34,4-6.8-9   Dn 3,52-56   2Cor 13,11-13   Gv 3,16-18

 

COMMENTO

 

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito… Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui». Rivelazione "incredibile", perché è davvero impossibile capire un Dio così grande nell'amore. Per questo ci conquista: perché non ci convince, ma ci innamora. Non c'è altra parola così chiara, così decisiva.
È la prima volta che nel Vangelo di Giovanni ricorre il verbo «amare», «segno» e «gloria» di Dio. Lo si trova altre 37 volte, ma solo sei volte fino al cap. 13, quando Gesù lava i piedi ai discepoli: amore concreto, vissuto, drammatico e gratuito. Da quel gesto, 31 volte, fino alla fine del Vangelo, Gesù dirà il suo amore e lo consegnerà come dono e impegno ai suoi discepoli. Ma tutto ha origine da questo amore del Padre, che è il dono del Figlio.

 

«Dio ha tanto amato da…». Dio è sempre esagerato: non basta a se stesso, allora fa la creazione, e la fa così bella da incantare se stesso; decide di legarsi all'uomo per tutto il futuro, e per questo si sceglie un povero esule senza figli e futuro (Abramo); quando questi diventa un popolo, Dio se ne prende talmente cura che vede la sua miseria, ascolta il suo grido di sofferenza, conosce i suoi dolori e scende a liberarlo (cfr. Es 3,7-8); quando questo popolo gli è infedele, Egli lo vuole riconquistare al suo amore con la tenerezza, non con la condanna (cfr. Os 11,1-9)… Ma l'esagerazione più grande è proprio dare il Figlio.
È un amore dimostrato mostrando di rinunciare ad amare se stesso: così fa il Padre. Infatti il verbo «dare» significa «donare»: rinunciare a qualcosa di proprio, qualcosa che appartiene al proprio essere, per farne dono a qualcun altro. Dio si priva così di suo Figlio, per poterlo donare all'uomo. E il Figlio è definito «unigenito»: nel linguaggio della Bibbia, significa colui che è Figlio amato in modo unico e incomparabile, costui è l'oggetto del dono da parte del Padre.

 

Ma perché Dio ama così tanto il mondo? Io so darmi quest'unica risposta: se l'amore si misura sul bisogno dell'altro, della realtà amata, allora il mondo è proprio ciò che ha più bisogno di amore, a causa della sua situazione davvero disperata.
Basta che guardiamo ai nostri giorni: solo per fare un esempio, dopo millenni di storia, dopo tanti doni divini, l'umanità non ha ancora imparato la cosa più elementare, cioè ad accettarsi nella diversità. Ancora oggi - e oggi più che mai - la basilare distinzione umana del colore della pelle provoca divisione e discriminazione. Dio ha deciso di amare l'uomo: non nonostante la sua negatività, ma proprio perché è negativo. È quello che ha fatto Gesù che, pur amando tutti, ha però amato di più Giuda, perché era colui che ne aveva più bisogno.

 

Ma l'amore totale e gratuito di Dio per l'uomo non denuncia solo la criticità del suo vivere sociale, ma mette in discussione anche l'uomo religioso, quello che crede e confida nelle opere della propria fede. Infatti è significativo che il dono del Figlio da parte del Padre, cifra storica del suo amore, abbia uno scopo che, prima di tutto, viene detto in negativo: «Non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo». Sembra di sentire certe predicazioni, anche oggi. Perché si concepisce la vita di fede e la Chiesa come una roccaforte chiusa: dentro ci sono i bravi, quelli che sono religiosamente e canonicamente a posto, e, prima o poi, loro potranno assistere, tra quel poggiolo, allo spettacolo della condanna, da parte di Dio, di tutti gli altri, così impareranno a non ascoltarli e a frustrare i loro piccoli e devozionali sforzi missionari.
Invece, quando qualcuno predica o parla di condanna, non parla di Gesù Cristo: questo testo è inequivocabile, in Dio non c'è alcuna condanna. L'unica possibile è l'autoesclusione cosciente dell'uomo che si rifiuta di credere. Ma questa coscienza quando potrebbe realizzarsi, se Gesù addirittura dice al Padre di non condannare i suoi crocifissori «perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34)?!

 

Con tutto ciò, il mondo non va verso una condanna, ma, nella visione di fede, appare come un'epifania del Dio che ama. Il punto culminante di questo amore è il dono del Figlio unigenito. Così il Figlio occupa il posto del mediatore fra Dio e l'uomo, fra il suo amore e la realtà amata. Mentre l'opera dello Spirito traspare dai verbi usati, cioè è l'azione: «amare», per il Padre; «essere amato», per il Figlio; «credere e avere la vita eterna», per l'uomo.

 

Alberto Vianello

 

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