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Cuore leggero e vita laboriosa

Briciole dalla mensa - 33° Domenica T.O. (anno C) - 16 novembre 2025

 

LETTURE

Ml 3,19-20   Sal 97   2Ts 3,7-12   Lc 21,5-19

 

COMMENTO

 

In questa domenica vorrei sostare soprattutto sul brano del vangelo di Luca. “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta»”. Gesù sta nel tempio, nel cuore della vita religiosa del popolo. Alcuni gli fanno notare la bellezza dell’edificio, manifestando un sentimento di ammirazione per la maestà della costruzione, mentre sembrano meno interessati al tempio come luogo di preghiera e di incontro con il divino.
La visione di Gesù è in totale contrasto con quella dei suoi interlocutori: «Non resterà pietra su pietra». Noi ammiriamo i nostri palazzi, le nostre chiese, le nostre cattedrali. Ѐ vero. Ne siamo orgogliosi, perché sono la nostra storia, esprimono la nostra intelligenza, dicono del nostro genio, della nostra cultura. Anche le nostre piccoli chiese di campagna, curate e mantenute con tanto amore, sono da ammirare, anche perché spesso sono il frutto di tanti sacrifici della gente del popolo. Eppure, di tutto questo, non resterà pietra su pietra. Dobbiamo imparare ad avere uno sguardo più penetrante, sviluppando attenzione e discernimento, non solo su realtà contingenti ed effimere, ma anche su ciò che è universale e duraturo.

 

“Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Gli interlocutori di Gesù gli pongono due domande: una sul «quando», e l’altra sul «segno» premonitore della fine. La richiesta di un segno rivela spesso in Israele una mancanza di fiducia in Dio. Ѐ la pretesa di «vedere» per «credere». Gesù non si oppone in modo diretto alla loro duplice richiesta, ma nemmeno l’approva. Li avverte che tutto ciò che deve accadere non deve essere un’occasione per fare speculazioni di tipo apocalittico: non bisogna lasciarsi ingannare, perché quelli che talvolta sono letti come segni premonitori di una catastrofe universale, sono solo eventi storici localizzati in una determinata regione.
Di fronte ad eventi catastrofici, come “guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie e pestilenze” – come esemplifica la pagina del vangelo – diciamo: «Ѐ la fine del mondo!». Lo diciamo riferendoci a qualcosa a cui non possiamo porre rimedio, qualcosa che rischia di diventare davvero l’ultima parola, dopo la quale non sappiamo più cosa dire né cosa fare. Quando succedono queste cose nella vita individuale o collettiva, diciamo: «Ѐ finita, è la fine». Gesù ci risponde: «Badate di non lasciarvi ingannare». Dobbiamo stare attenti a non lasciarci ingannare dai falsi profeti, da coloro che si presentano con la presunzione di offrire una verità definitiva, finora tenuta nascosta, una salvezza “a basso prezzo”, come direbbe Bonhöeffer; dobbiamo stare attenti dai molti che, ad ogni rumor di guerra, in ogni esperienza tragica e colma di sofferenza, di cui è piena la terra, annunciano solennemente la fine imminente del mondo. Tutto quello che accade, se non viene letto con intelligenza e discernimento, con spirito di fede, ha come unico risultato quello di renderci prigionieri della paura, dell’immobilismo e della chiusura nel privato, mentre il mondo continua il suo corso. La paura ci ruba il futuro.

 

«Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni». Ci sono delle cose più gravi che devono occupare la nostra attenzione, e sono le persecuzioni subite dai cristiani, in tante parti del mondo. E non solo dai cristiani. Migliaia di uomini e donne, ogni giorno, danno la vita a motivo di Gesù e del suo Vangelo. O muoiono per difendere i poveri dall’oppressione e dall’ingiustizia, il che è lo stesso: mescolano il loro sangue a quello di Cristo. In Paesi come la Corea del Nord, la Somalia, la Libia, l’Eritrea, lo Yemen, la fede cristiana è vissuta nel segreto e, se scoperti, i cristiani rischiano la morte. La Nigeria detiene il primato di cristiani uccisi a causa della violenza jihadista. Anche in Pakistan e Afghanistan la vita dei cristiani non è sicura. In India, come in Eritrea, Cuba e Nicaragua centinaia di cristiani vengono incarcerati a motivo della loro fede. Secondo il rapporto del “World Watch List 2024”, oltre 365 milioni di cristiani affrontano alti livelli di persecuzione e discriminazione a causa della loro fede, soprattutto in Africa e in Asia. E infinite sono le cronache che parlano di quanti, appartenenti a fedi diverse, o a nessuna fede religiosa, espongono la loro vita alla morte per amore dei loro fratelli.

 

Gesù ci avverte che anche la persecuzione subita dai cristiani non è però un segno della «fine» imminente, ma fa parte dell’essere alla sua sequela. Sì, per l’evangelista la persecuzione ha una sola origine, più che onorevole: l’attaccamento al nome di Gesù. Ed è ancora Gesù ad assicurare i discepoli, quando saranno condotti davanti ai tribunali: «Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere». Di fronte alla prospettiva della persecuzione, la miglior preparazione è non prepararsi, non preoccuparsi in anticipo, per lasciar spazio all’intervento del Risorto che agisce tramite il suo Santo Spirito. Nessuno potrà resistere: la diffusione della Parola è inarrestabile e supera ogni ostacolo.

 

Questa fedeltà al Vangelo provocherà divisioni anche all’interno delle famiglie: il testo parla di «odio», di «tradimento», di «essere condotti a morte». No, nemmeno questa è la «fine», perché anche nelle situazioni estreme, Gesù assicura di essere vicino ai suoi, come dice il salmo 23,4: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me»; o anche il salmo 91,15: «Mi invocherà e io gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui».

«Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto»: è la fiducia che il discepolo pone nel suo Signore e nella sua parola; è la perseveranza – anche nei tempi difficili - che nasce dall’amore di chi si sente amato per primo. Fino a quando non sarà compiuto l’annuncio del Regno, non sarà la fine. Questa «fine» non è l’ultimo, terribile e definitivo evento catastrofico che si abbatterà sulla terra, ma porta il nome di Gesù, il crocifisso risorto. Ѐ lui «il fine» della storia. Noi, quando viviamo un evento di straordinaria bellezza, o incontriamo qualcuno che ci ha comunicato qualcosa di molto forte, diciamo: «Ѐ la fine del mondo!». Veramente, solo Gesù è la fine del mondo! E i «segni» della sua venuta li conosciamo già: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i poveri sono rallegrati e i peccatori riconciliati. Questa è la scena della fine che i discepoli devono annunciare e rappresentare.

 

E cosa vuol dire: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita»? Vuol dire vivere questo tempo in sobrietà e giustizia, con un cuore leggero e con una vita laboriosa. Vuol dire essere fedeli alla Parola. Essa è povera, quasi un nulla a confronto con il potere enorme dell’immenso cosmo materiale, ma è la realtà vera ed affidabile: il terreno solido sul quale possiamo appoggiarci e che regge anche nell’oscurarsi del sole e nel crollo del firmamento. Tutto passa, ma la parola di Gesù sta, come un vero «firmamento» sotto il quale l’uomo può illuminare il proprio futuro e vivere responsabilmente davanti al Giudice dei vivi e dei morti.
Allora, viviamo il presente, senza inutili agitazioni «guadagnandoci il pane lavorando con tranquillità» (2Ts 3,12). «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20).

 

Giorgio Scatto

giorgio.scatto@gmail.com

 

Chi pensa che la vita sia un tempo di svaghi è servito. Ecco cosa incombe sulla condizione umana. Forse la causa di un’opposizione sorda a Dio e a chi lo rappresenta, le religioni, è l’idea in noi celata del giudizio, della fine e del peccato che vi è connesso.
Vogliamo vivere in eterno scambiando per eterno questo tempo finito. Così preferiamo allontanare i guai, gli ostacoli e osservare compiaciuti gli ornamenti, le belle costruzioni, le stesse bellissime chiese…

 

Non funziona. La religione lavora su questo dato incontrovertibile: la scena di questo mondo passa. La candela si consuma. “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, passano presto e noi ci dileguiamo”. Sal 89. Basiamo tutto sulle realizzazioni che siamo capaci di metter su sotto questo sole. Che si spegnerà. Il tempo ‘ordinario’ della liturgia sta per concludersi ed è reso segno della fine di tutto, che è intrinseca alla realtà. La moderna astronomia ci mostra che le stelle non sono fisse come si credeva. I cieli si muovono e sono sconvolgimenti, la terra anche si muove e sono cataclismi, nel frattempo i popoli si fanno la guerra.
L’idea della fine è come una legge nascosta della storia, sta nelle cose. E pare che non ci insegni nulla. “Cercate le cose di lassù”, dice san Paolo. Nella pressura dei tempi sorgeranno imbonitori e sedicenti profeti, millenaristi, apocalittici, maghi e visionari che cercheranno di pescare seguaci nell’ansia diffusa… Ah, ci sono già! Ce ne sono stati anche in passato, in circostanze analoghe. Beh, non c’è limite al peggio.

 

“Non li seguite, non prestate loro ascolto”. Gesù ci prepara agli ultimi tempi. Restate fedeli, sarete discriminati, perfino odiati perché il vostro comportamento vi distinguerà… Ci distinguerà? 
Non vi lasciate omologare. È già successo. Succederà: la persecuzione dei credenti in Cristo, l’apocalisse sono venute più volte. La fine di Roma, ormai cristiana, non fu ‘la fine del mondo?’, le invasioni dei barbari, i popoli germanici, non fu l’apocalisse? Le distruzioni, le carestie, le pestilenze… Le guerre continue in Europa: ce ne eravamo dimenticati. Mai ottanta anni consecutivi di pace.
E con l’arrivo degli europei avvenne lo sfacelo dei popoli del nord, del centro e del sud America: non fu la fine del mondo? Per gli indios sì, questione di prospettiva.
È così: la storia dei popoli e della terra ha in sé iscritta la legge della fine ed ogni tanto, ora qua e ora là, riemerge a ricordarci come stanno le cose. Resistiamo, rimovendo, dimenticando, ma ‘il sonno della ragione genera mostri’. Senza contare che anche della fine individualmente si fa esperienza. Sembra un discorso costrittivo, minaccioso. Ma c’è un altro ‘vangelo’? Qualche filosofo ha pensato di risolvere il dilemma annunciando almeno la sopravvivenza della specie umana, contento lui. Oggi non si potrebbe più dire: le stelle possono sempre cadere e quaggiù ci siamo organizzati con super botti atomici, per fare le cose in fretta. Pare che solo gli scarafaggi siano in grado di resistervi.

 

Anche se non c’è un’altra narrazione della realtà del mondo, non per questo la nostra condizione è priva di senso e, in fondo, di gioia. Occorre riprendere le parole di Paolo, per esempio, sulla resurrezione di Cristo quale primizia di coloro che muoiono. Questo fatto si impone per sé stesso, ma senza violare la nostra libertà. “Ma chi persisterà nella fede e nella sequela sarà salvato”. Quanto ai falsi profeti, ai maghi si riconoscono dai loro frutti.
L’amore ci dà assicurazione su Cristo. Che poi solo l’amore ha senso in tutta questa vicenda.

 

Valerio Febei e Rita

 

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