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Buono è ogni tempo

Briciole dalla mensa - 1° Domenica di Avvento (anno B) - 29 novembre 2020

 

LETTURE

Is 63,16-17.19;63,1-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

 

COMMENTO

 

Con l'inizio del nuovo anno liturgico, si guarda avanti, cioè al fine della vita in Dio, ricominciando a percorrere ciò che indirizza a tale fine: i misteri dell'Incarnazione e della Pasqua di Cristo. L'anno appena terminato ci consegna il testimone di ciò che ci attende come fine: «Dio sia tutto in tutti» (seconda Lettura della festa di Cristo re). E apriamo il nuovo con un'espressione ancora più significativa di questa totalità divina: il suo essere Padre.
La troviamo all'inizio e alla fine della prima Lettura: «Tu, Signore, sei nostro Padre». Isaia fa così appello a Dio in una situazione di profonda caduta del popolo, soprattutto in termini di fede: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire nel nostro cuore, così che non ti tema?». Allontanarsi da Dio porta l'uomo all'indurimento del proprio cuore: solo vicino a Dio, solo presso la sua paternità il cuore e si intenerisce fino a sciogliersi.
Mi preoccupa e mi assilla l'impressione che oggi, nella nostra società, si sia sviluppata una profonda e nefasta chiusura dei cuori, che porta all'indifferenza e anche all'ostilità verso gli altri. Perciò deve farsi assillante e accorato l’appello a Dio: «Non lasciarci indurire…!». Coloro che hanno fede imparano dalla paternità di Dio ad essere fratelli, mentre chi non l’ha, ma riconosce che siamo tutti fratelli, pratica la figliolanza: credenti e non credenti convergono verso il fine della storia, l’essere un'unica famiglia.

 

L'angoscia del profeta per la sorte del popolo è profonda: «Siamo gente su cui il tuo nome non è stato mai invocato». C'è una tale lontananza da Dio, che addirittura il passato di fedeltà viene cancellato. Da questa disperazione nasce il grido: «Se tu squarciasse i cieli e scendessi!». Quando l'uomo osa la sua preghiera, Dio lo ascolta sempre, l'unica condizione è l'umiltà: nella preghiera ci vuole la confidenza di chiedere le cose più grandi, come fa un bambino con i suoi genitori; e ci vuole la coscienza che niente è dovuto, ma tutto è donato gratis. Tanto che, in questo caso, Dio arriva addirittura a prendere alla lettera questa supplica di Isaia: aprirà i cieli e scenderà fra gli uomini; non solo a Natale, ma, dalla Resurrezione, «tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Dio ascolta sempre l'uomo, ma il problema è che l'uomo, invece, non ascolta Dio e la sua Parola, e così non impara la storia della salvezza: «Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui». È forse l'unica cosa che ho maturato nella fede e che posso dichiarare al mondo: Dio ha fatto veramente tanto per la mia vita. Se guardo la condizione di tante altre persone, devo dire che forse il Signore ha fatto anche troppo per me: mi ha parecchio viziato, perché non mi ha mai lasciato solo nelle asperità della vita.

 

Ma Dio non vuole dall'uomo gratitudine: suscita, invece, fiducia. Non si aspetta fedeli ossequiosi nelle loro pratiche religiose che cercano la sua approvazione. Pratiche che finiscono per essere impresentabili, invece che gradite: «Come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia». La fede vera consiste unicamente nel attaccarsi a Dio: «Nessuno si risvegliava per stringersi a Te». Perché l'uomo è opera di Dio, come l'argilla nelle mani del vasaio: per questo bisogna affidarsi completamente di Lui.

 

L'insistenza sulla vigilanza caratterizza i discorsi di Gesù sui tempi finali e definitivi. «Vegliate… perché non sapete»: questa espressione ricorre tre volte nel breve Vangelo di questa domenica. L'ignorare «il momento» non giustifica la non accortezza. Anzi: la prontezza è data proprio dal fatto di non conoscere il tempo del ritorno del padrone, e perciò ogni tempo è buono e deve trovare preparati.
Se ogni tempo è buono, bisogna allora riconoscere la bontà di ogni tempo. Dunque, non si tratta di essere come dei fanatici apocalittici, che leggono i disastri della storia come segni di una rovina imminente. Invece, bisogna essere come attenti abitanti della casa del Padre, che non attendono eventi che li fagocitano, ma che vivono l'incompiutezza come occasione per un proprio «stare»: senza fughe indietro (nostalgie) né in avanti (sogni). Si può sperare e attendere un mondo migliore solo stando concretamente e responsabilmente in questo mondo, con tutti i suoi peggiorativi umani. I piedi saldi per terra, cioè nella storia, e gli occhi aperti e vigilanti verso l'avanti, cioè il compimento in Dio; e soprattutto avere un cuore che si accorge del Signore che viene, perché sa accorgersi del fratello che sta accanto.
In ogni modo, la venuta del Signore avviene in una delle ore della notte. Non viene a togliere la notte, ma di notte. Non attendiamo una sorta di mago che miracolosamente mette a posto il mondo. Attendiamo, invece, colui che abita la notte, che è il momento quotidiano della massima debolezza della nostra umanità, in quanto proprio in essa ci sentiamo visitati e accolti, se siamo stati accoglienti.

 

Alberto Vianello

 

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