Maysa e i bimbi di Gaza: così l’arte diventa terapia
Antonella Mariani
giovedì 5 giugno 2025
La telecamera del telefonino si sposta dal bel viso di Maysa, incorniciato da un velo chiaro, allo spazio intorno a lei. C’è una sola piccola stanza rimasta in piedi, ricolma di masserizie. Accanto, macerie e brandelli di muro. E, in mezzo al grigio della desolazione, appesi a quei brandelli, tanti disegni. E impronte di mani infantili verniciate di rosa e azzurro: sono le manine dei bambini di Gaza, che Maysa Yousef accoglie tutte le settimane tra le rovine di quello che prima della guerra era il suo atelier. Lei è una artista affermata, i suoi lavori sono in vendita online nelle case d’asta più rinomate, è conosciuta per i suoi dipinti e i collage con materiali diversi classificati come “realismo magico”. Ma adesso… «Ho perso la mia casa tre volte, altrettante sono fuggita con i miei tre figli e mio marito – dice ad Avvenire in un collegamento video su Whatsapp -. Nei bombardamenti e nelle fughe ho perso tutti i miei lavori, le certificazioni e le attestazioni ottenute negli anni».
Ma non è quello che conta. Conta sopravvivere. «All’inizio ho iniziato con 8 bambini, quando ero sfollata al nord. Ora sono tornata nel mio quartiere, Deir El-Balah, al centro della Striscia. I bambini sono 35. Arrivano qui ogni settimana e li faccio cimentare con colori e collage».
L'artista Maysa Yousef nel suo atelier bombardato a Gaza con i bambini che seguono i suoi laboratori - M.Y.
I bambini di Gaza disegnano farfalle, tante farfalle colorate. Ma chi li disegna non vola da nessuna parte: tutte le scuole di Gaza sono distrutte o convertite in rifugi, non ci sono posti sicuri dove giocare o stare insieme ai coetanei. Nemmeno la casa di Maysa è sicura, ma «i bambini hanno bisogno di venire qui. Disegnano e parlano di ciò che provano, delle loro paure, dei loro desideri». Grazie alla sua fama, sono stati attivati diversi gemellaggi tra i piccoli allievi e i coetanei di altri Paesi: con un gruppo a Londra i bambini si scambiano disegni di abbracci, con un altro in Italia lettere e pensierini.
Con la Comunità monastica di Marango di Caorle, in Veneto, è nata una bella amicizia ed è stata allestita la mostra itinerante “Lettere al cielo”, la quale sarà riproposta il 21 giugno a Mestre in occasione del festival in Movimento, organizzato da Refugees Welcome. La Comunità Monastica assieme ad Assopace Palestina Veneto è riuscita a far partire una fornitura di materiali artistici per il disegno fortunosamente arrivati a destinazione con l’aiuto del libraio stampatore di Gaza, Ramadan Elnajeli.
Un ritratto dell'artista di Gaza Maysa Yousef - Facebook di Maysa Yousef
«I miei bambini hanno tanti amici nel mondo, e questo dà loro speranza. Sentono di non essere soli», continua Maysa: lei parla in fretta, in un inglese perfetto, come se avesse premura di dire, di fare conoscere tutto l’orrore che vivono nella guerra scatenata da Israele per annientare i terroristi di Hamas. Anche lei ha bisogno di scacciare la paura, l’angoscia di non sapere se domani si sveglierà ancora accanto a suo marito e ai suoi figli, se avranno ancora un giorno intero. «Stiamo resistendo, abbiamo una speranza», ripete, mentre mostra attraverso la videocamera del suo cellulare la distruzione attorno a sé e, come fiori nel deserto, i disegni colorati dei suoi piccoli allievi. «Prima del 7 ottobre 2023 avevamo una bella vita. La rivogliamo al più presto. I miei bambini stanno perdendo tempo prezioso della loro infanzia. I nostri corpi sono deboli, abbiamo bisogno di cibo, di vitamine, di proteine, di aria pura, di spazi aperti. Ognuno di questi bambini ha perso qualcuno: parenti, amici, maestre, sono sempre tristi e pensano di poter essere i prossimi». Arrivano a casa sua agitati, reduci da notti di incubi, e Maysa dice che non ha più parole per calmarli. «Quando disegnano, solo allora li vedo distendersi. Loro sono i miei eroi: così piccoli, così resilienti». Anche il figlio maggiore di Maysa, Salem, ha gli incubi, piange e si rifiuta di uscire, urla che nessuno lo aiuterà, nessuno lo salverà. «Non siamo numeri, non siamo anonimi, siamo esseri umani, con una storia umana. Meritiamo più di questo», continua. Ma nonostante tutto, alla fine del colloquio con Avvenire sorride. E il suo sorriso è la speranza del mondo.
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