DELL’ASSOCIAZIONE PUBBLICA DI FEDELI
“PICCOLA FAMIGLIA DELLA RISURREZIONE”
(i singoli paragrafi si leggono mensilmente in comunità secondo i giorni indicati)
1/16 Al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, Dio onnipotente e misericordioso, alla beata Maria, Madre di Dio, sempre Vergine Immacolata e Assunta, ai santi Angeli, a sant’Abramo, padre dei credenti, a san Giovanni Battista, precursore del Signore, ai santi Apostoli, a sant’Ignazio martire, a san Benedetto, a san Francesco d’Assisi e a santa Teresa di Gesù Bambino, a san Marco e a san Lorenzo Giustiniani.
Coelesti lumine, quaesumus Domine, semper et ubique nos preveni, ut mysterium cuius nos participes esse voluisti, et puro cernamus intuitu et digno percipiamus affectu. Per Christum Dominum nostrum. Amen
(Postcom. nella festa dell’Epifania).
Col lume celeste, Signore, previenici sempre e dovunque, perché contempliamo con sguardo puro ed accogliamo con degno affetto, il mistero di cui Tu ci hai voluto partecipi. Per Cristo nostro Signore. Amen.
2/17 Il Mistero è l’Eucarestia del Cristo, nella quale è tutto: tutta la creazione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la grazia e la redenzione: tutto Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù, Dio e Uomo, nell’atto, operante in noi, della sua morte di croce, della sua risurrezione ed ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno.
3/18 La vita che non abbiamo scelto noi, ma per la quale da Misericordia siamo stati scelti, non può essere che questo: ogni giorno, per tutto il giorno, lasciarci prevenire dallo Spirito Santo a contemplare e ad accogliere in noi il mistero della messa, che opera in ciascuno la morte della creatura e la risurrezione e glorificazione del Verbo Incarnato, mistero per il quale il Padre, per Gesù, nello Spirito Santo, sempre crea, santifica, vivifica, benedice e concede a noi questo bene della comunione con Lui e della comunità tra noi suoi figli.
4/19 L’apertura al Dono è abbandono umile e totale: per la fede nel sangue di Cristo, per la speranza nel Padre ricco di misericordia, per la carità che è lo stesso Spirito Santo, l’Amore eterno, nel quale il Padre ci ha amati per primo e nel quale, soltanto, noi possiamo riamarlo con tutto il cuore e con tutta la vita, e possiamo amarci l’un l’altro e amare tutti gli uomini nell’unica Chiesa.
5/20 Questo abbandono nasce dal consenso alla chiamata divina dato col promettere a Dio stabilità, obbedienza e conversione dei costumi. È voto di stabilità: per fede e gratitudine verso l’unica grazia che a tutti e a ciascuno è data nella comunità, per la quale siamo stati afferrati da Cristo Gesù, e per la quale siamo potati e lavorati finché il corpo della nostra miseria sia fatto conforme al corpo della sua gloria.
6/21 E’ voto di obbedienza filiale, tutta sovrannaturale: che si fonda nella fede e si alimenta della certezza nell’infallibile risposta del Dio fedele alla pienezza della nostra docilità e all’umiltà della nostra preghiera per chi ci guida, nella devota sottomissione al mistero del Vescovo, del Papa e della Chiesa tutta.
7/22 E’ impegno incessante alla conversione dei nostri costumi: che speriamo dall’insegnamento interiore e dall’azione operata in noi dalla Parola di Dio e dall’Eucarestia accolte nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro.
8/23 Il silenzio: è l’unica lode vera e degna, esso stesso puro dono di Dio, il silenzio interiore, che è progressivo venir meno di ogni fantasia, di ogni programma, di ogni apprensione per il futuro, di ogni pensiero non richiesto dal dovere immediato, dono che va invocato, predisposto e custodito con la fedeltà al silenzio esteriore:
• sempre e rigorosamente da Compieta all’Eucarestia;
• ancora sempre nelle ore di preghiera comune e di lavoro (salvo il minimo di comunicazione richiesto dal lavoro, purché siano le più essenziali e delicate possibili, rispettose del proprio e dell’altrui raccoglimento);
• e in ogni ora, ambiente e circostanza, con la mansuetudine, la mortificazione della curiosità, la riduzione abituale delle cose che verrebbe spontaneo dire, la rinuncia a parlare di sé, la preferenza progressiva per le parole e i concetti più semplici, più sereni e più pacificanti.
9/24 La preghiera: in ogni forma e per ogni momento della giornata, può essere solo o preparazione o prolungamento dell’Eucarestia, quindi non nostra, ma di Gesù e della Chiesa in noi;
• nella celebrazione della Liturgia delle Ore, come una cosa sola con la Messa;
• in due ore di orazione, di cui una almeno come lectio divina, prevalentemente intorno al capitolo quotidiano della Scrittura, che è il vincolo costante di unità e di pace dell’intera comunità;
• nel rosario, recitato col desiderio di essere uniti dall’abbraccio della Mamma celeste a tutti i fratelli, specialmente ai più umili, ai più indotti, ai più bambini, e ai nostri Morti che già ci hanno preceduto in paradiso;
• nella confessione frequente ad un confessore abituale;
• nella giornata di silenzio e di preghiera due volte al mese;
• in almeno due periodi di sette giorni di ritiro e di preghiera ogni anno.
10/25 Il lavoro: è obbedienza, prolungamento dell’Eucarestia e della Liturgia della Ore e oggetto normale della nostra offerta: quindi preordinato, custodito e compiuto con zelo religioso; strumento regolare della nostra mortificazione, del nostro amore per le anime e del nostro annuncio abituale, da preferirsi normalmente ad ogni altra penitenza od opera di bene. Salvo ragioni di salute, deve essere almeno di trentacinque ore alla settimana.
11/26 Lode interiore e amore, preghiera e lavoro, custodiscono i voti di castità e povertà, e sono da essi custoditi. I voti sono soltanto un’umile risposta, da approfondire incessantemente, ai due doni che solo il Cristo sposo può dare: il dono della verginità e il dono della povertà evangelica.
12/27 Il voto e la virtù della castità ci portano:
• a fare governare dall’obbedienza ogni nostro rapporto;
• a mantenere il cuore distaccato da ogni affetto, anche il più santo, dalla stessa comunità;
• ad accogliere con gioia e gratitudine un’obbedienza per terre lontane e genti straniere alla nostra cultura e mentalità;
• e a sperare di essere scelti per la solitudine totale dello spirito, come pegno benedetto di una fecondità sovrannaturale nei confronti di molte anime.
13/28 Il voto e la virtù della povertà ci impegnano:
• a non avere nessuna proprietà, e a rinunciare secondo le indicazioni dell’obbedienza a quelle che comunque sopravvenissero;
• a lavorare per vivere e a versare alla comunità ogni nostro provento, ricevendo da essa il vitto, il vestito, l’abitazione ed ogni oggetto d’uso;
• a consegnare totalmente l’impiego del tempo, che deve essere ritenuto non nostro, ma di Dio e della Chiesa;
• a desiderare ardentemente e a sperare, non solo per ognuno singolarmente, ma anche per la famiglia nel suo insieme e per sempre, il dono della povertà evangelica, che spoglia da ogni ricchezza materiale ed intellettuale, e accomuna ai minimi e ai poveri di Gesù.
14/29 Queste poche norme non sono la Regola: la nostra Regola va ricavata dall’assidua e amorosa meditazione dell’Evangelo (specialmente dei vangeli della Passione e della Resurrezione, che leggeremo e considereremo almeno una volta alla settimana).
15/30/31 La Regola va pure attinta dalla predilezione fiduciosa per quattro santi: sant’Ignazio martire, san Benedetto, san Francesco e santa Teresa di Gesù Bambino, dei quali rileggeremo gli scritti per trovare:
• nelle lettere di sant’Ignazio l’invito all’amore per il corpo di Cristo nella sua Chiesa: specialmente nei Sacerdoti, nel Vescovo e nella comunione tra i Vescovi e tra le Chiese;
• nella regola di san Benedetto il senso della comunità come famiglia sovrannaturale che nasce e si rigenera ogni giorno nella Liturgia, e dell’obbedienza filiale;
• negli scritti di san Francesco l’alimento a un desiderio sempre più forte di semplicità e di povertà evangelica;
• nell’autobiografia e nelle lettere di santa Teresina il modello e la forza per la ricerca esclusiva di Dio solo, Padre Figlio e Spirito Santo, e per l’abbandono infantile al suo Amore misericordioso.
Nota integrante della Regola per quel che riguarda i nostri quattro santi e il rapporto con i loro scritti.
– Le Lettere di sant’Ignazio ci invitano a spendere la vita (fino al martirio, se ce ne fosse fatta grazia) per glorificare il Cristo, che ha glorificato noi.
Gesù è il Cristo, unico ed indivisibile, carnale e spirituale, generato ed ingenerato; Dio venuto in carne, nella morte vita vera, da Maria Vergine e da Dio, prima passibile ed ora impassibile.
L’ amore per Lui è inseparabilmente anche amore per il suo Corpo, che è la Chiesa, cioè per tutto il popolo dei rigenerati nel sangue di Dio, e specialmente per i diaconi, per i presbiteri, per il Vescovo e per l’ armonica ricchezza delle Chiese e dei loro Vescovi.
– La Regola di san Benedetto ci dà il senso vero della comunità come scuola di servizio divino e come famiglia sovrannaturale, in cui nulla si antepone a Cristo e in Lui tutti ci si ama di casto amore: famiglia che nasce e si rigenera ogni giorno nella divina Liturgia e nell’obbedienza filiale e reciproca, nella lectio divina, nel lavoro fraternamente concorde e responsabile.
– Gli scritti di san Francesco ci educano alla passione ardente per l’Evangelo senza glossa e per il prezioso Corpo e Sangue, fuori del quale niente altro vediamo corporalmente del Figlio di Dio, in questo secolo.
L ‘Evangelo e il Corpo e il Sangue del Signore ci debbono portare a un desiderio sempre più forte ed efficace di povertà effettiva, personale e comunitaria, e di spogliazione e sottomissione a tutti per conformità d’amore al Crocifisso. Questo libererà il nostro cuore da ogni creatura, per poi tutte riceverle trasfigurate nella lode pura dell’ Altissimo Signore, lode vissuta e comunicata a tutti gli uomini, a tutti i popoli, specialmente ai popoli non cristiani.
– Gli scritti di santa Teresa di Gesù Bambino ci offrono il modello e ci ispirano la Forza per la ricerca assoluta di Dio solo, Padre, Figlio e Spirito Santo, e per l’ abbandono infantile sempre, anche nella prova e nella tenebra della stessa fede- al Suo amore misericordioso e preveniente.
Monastero di Marango
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