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Uscite e vegliate!

Briciole dalla mensa - Natale del Signore - 25 dicembre 2017

 

LETTURE

Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

 

COMMENTO

Il racconto del Natale inizia con la collocazione storica del censimento di «tutta la terra», voluto dall'imperatore romano, e termina con la lode angelica che annuncia la pace «sulla terra». Trovo molto provocatorio il confronto tra Cesare Augusto, che esercita e misura il suo potere contando tutti i suoi sudditi con il censimento, e Dio che, invece, si fa piccolo e uomo solo senza alcun potere, per dare a tutti il potere di essere liberi.
È in questo modo che Dio interviene nella storia: non la lascia in mano ai protagonismi umani, ma vi si fa presente per far lievitare il bene dal basso. L'impero romano, pur essendo stato una grande civiltà, ha anche dato vita a uno dei sistemi più coercitivi e oppressivi della storia. E Dio interviene quando l'uomo soffre a causa di altri uomini: non fa il rivoluzionario, ma prende la parte di chi è oppresso. Questa è una costante di tutto il racconto biblico. E Dio ha deciso che il suo Figlio diventasse un uomo proprio in un contesto storico che confermasse la sua scelta di campo per i poveri. Perciò, anche oggi, non arriva Natale perché arriva il 25 dicembre, ma perché la storia arriva ad aver bisogno, come non mai, che Dio vi si faccia presente, per vivere la totale condivisione con gli oppressi di ogni tempo: oggi sono i popoli vittime della guerra o impoveriti da un sistema economico iniquo, sono gli immigrati alla ricerca disperata di un futuro, sono coloro che subiscono violenze di ogni tipo...

 

Grazie allo spostamento della sacra Famiglia a Betlemme per il censimento, provvidenzialmente Gesù viene alla luce «nella città di Davide»: lì doveva nascere il Messia, secondo le Scritture. Tutto è compimento di esse. Come si fa a credere che il Bambino, di cui celebriamo la nascita a Natale sia veramente «il Salvatore, che è Cristo Signore»? Semplicemente leggendo e affidandoci alla parola di Dio. Essa è esperienza addirittura «più solida» della visione, da parte dei tre discepoli, di Gesù trasfigurato (cfr. 2Pt 16-19). Possiamo contemplare il presepe come realtà viva e manifestazione del mistero più grande del mondo - la nascita umana del figlio di Dio - solo attraverso l'assiduità alla Parola.
Sempre pronto all'immediatezza delle news, l'uomo di oggi fa fatica ad applicarsi alla ricerca del tesoro nascosto nel campo della propria vita: tesoro che è la comunione di carne e di sangue che Gesù Cristo, il Verbo diventato uomo, realizza con ciascuna persona.

 

«Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo volse in fasce e lo pose in una mangiatoia». Sono gesti semplici, ma così carichi di umanità da essere capaci di indicare il comportamento stesso di Dio: come l'accoglienza, da parte di un padre, del figlio perduto (cfr. Lc 15,20); come il condividere il pane; come custodire e guidare le pecore... Infatti, la Scrittura ci dice che Dio è come una madre che si prende cura del suo piccolo (cfr. Is 49,15; Os 11,1-4). Accudito da Maria, il bambino Gesù non deve aver sentito alcuna differenza dalle cure materne del Padre, che il Figlio viveva dall'eternità. Perciò non possiamo cogliere nel presepe la presenza del divino se non riempiamo le cronache dei gesti più belli del vivere umano, come quelli della maternità, dell'accoglienza, del prendersi cura; ponendo fine ai gesti di disinteresse, di rifiuto, di oppressione, di violenza.

 

L'annuncio che è nato il Salvatore e che è adagiato su una mangiatoia per animali viene portato dall'angelo a dei pastori: «pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge». Essi sono fuori delle loro case e sono svegli. Un lavoro per povera gente e un giudizio di impurità religiosa marcavano la loro condizione sociale. Ma lo sguardo dei pastori che vegliavano di notte il gregge poteva spaziare sulla terra e verso il cielo e, essendo svegli, essi erano in grado di cogliere la realtà. In questo modo si sono trovati nella condizione di accogliere la rivelazione più grande della storia: Dio è venuto sulla terra, si è fatto terra. Lo sguardo della povera gente sa vedere lontano perché ha ben poco vicino a sé; e la veglia faticosa libera dal sonno dell'immediato godimento e apre a ciò che veramente vale per la vita.
Mettendo al primo posto soprattutto il benessere e la comodità, spesso la gente, oggi, tende a richiudersi nella casa, luogo che diventa barriera di difesa dalla scomodità che l'altro ci porta. E i sensi sono spesso addormentati dalla preoccupazione solo di un piacere superficiale e disimpegnato. E' difficile, in queste condizioni, poter accorgersi di un annuncio celeste che ci mostra un Dio-con-noi!

 

Ai pastori, appunto, si presenta un angelo, la gloria del Signore li avvolge di luce, vedono una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio. Il segno è di una normalità sconvolgente: «un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia». Eppure, in quel bambino, c'è tutta la grandezza di Dio che è all'opera per la salvezza dell'uomo. Dio non ha fatto tanto per i cieli quanto ha operato e opera, invece, per la piccola e insignificante realtà dell'uomo. Per questo gli angeli sono convocati a lodare: non hanno mai visto in cielo una realtà così grande, che Dio si faccia una tale comunione d'amore da diventare uomo.
A Natale vediamo un bambino che è nato, ma vi contempliamo tutto Dio che ci è dato. Non dobbiamo temere, perché un bambino non fa paura. Dobbiamo, invece, aver fiducia, perché Dio è «per noi» un Salvatore: a nostro vantaggio, per il nostro bene. Per me, per gli altri, per tutti.

 

Alberto Vianello

 

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