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Quale mondo sta per finire?

Briciole dalla mensa - 1° Domenica di Avvento (anno C) - 2 dicembre 2018

 

LETTURE

Ger 33,14-16   Sal 24   1Ts 3,12-4,2   Lc 21,25-28.34-36

 

COMMENTO

L'inizio dell'Avvento non guarda tanto al Natale di Gesù, il Figlio di Dio; ma guarda, piuttosto, al Natale di un'umanità finalmente nuova, che attendiamo per i tempi finali e definitivi. Il Vangelo è «Vangelo» (= «Buona Notizia») perché - se ci affidiamo ad esso - ci permette di guardare con fiducia alla nostra vita e al nostro futuro. Oggi ne abbiamo particolare bisogno, in un mondo segnato da tensioni belligeranti crescenti, da situazioni sociali al collasso, da condizioni economiche negative perché in mano agli interessi dei potenti, da concezioni della vita imperanti che rendono l'uomo prigioniero del suo egoismo, dall'abbandono di intere popolazioni alla fame e al degrado.
Il cristiano non può chiudersi in chiesa a tapparsi occhi e orecchie perché "questo mondo fa schifo", né può prepararsi una valigia per "l'altro mondo", pensando che l’attuale va presto in rovina. Quando un mondo è crollato (quello romano) e sembrava che trionfasse l'inciviltà, piccoli gruppi di cristiani hanno cominciato a vivere insieme da fratelli (anche nella diversità della loro origine), a porsi al servizio della natura lavorandola, a custodire la civiltà tramandandola, a praticare l'accoglienza per indicare che al centro c'è l'uomo, soprattutto povero: era l'inizio del movimento monastico in Occidente. Anche noi, oggi, dobbiamo smettere di inseguire un cristianesimo di massa (ormai assolutamente sterile) e dobbiamo cercare le forme per custodire l'umano in piccole comunità aperte al mondo.

 

A tutto ciò ci spinge il Vangelo, come quello della prima domenica di Avvento. Mentre i «popoli» e «gli uomini» saranno presi dall'angoscia, dallo smarrimento, dalla paura «per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra», i credenti sono invitati a «risollevarsi e alzare il capo», in segno di sollievo e di speranza, «perché la vostra liberazione è vicina»: è proprio la speranza nel Signore che distingue il credente, e non tanto l'osservanza di una legge morale.
Infatti, per la gente, il grande timore che stia crollando tutto nasce da una precisa motivazione: «Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte». Sono quelle realtà - sia religiose che profane - alle quali l'uomo dà un tale valore di assoluto da finire con l'assoggettarsi completamente ad esse. Di queste Paolo dice: «Sono cose destinate a scomparire con l'uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne» (Col 2,22-23). La venuta del Figlio dell'uomo alla fine dei tempi - ma già presente e operante con la sua incarnazione - getterà nello smarrimento chi venera tali potenze: oggi, esse sono il denaro, il successo, il benessere, il godimento immediato, la libertà da ogni legame che impegni con gli altri (anche di famiglia), la presunzione di se stessi...
Il confronto con il Cristo - che diventa uomo per vivere, invece, l'amore per gli altri, la fedeltà e l'impegno per loro, la povertà come condivisione, il porsi al servizio - farà inesorabilmente crollare questi falsi idoli. Chi oggi vive tale stile, proprio del Figlio di Dio fatto uomo, viene accusato, in modo sprezzante, di buonismo, di irresponsabilità, di idealismo, di utopia: impera il pensiero unico di occuparsi prima (e solo) di se stessi. Tale impero rovinerà su se stesso, perché il Signore l'ha vinto con il dono gratuito della sua vita. Allora, quando ci condannano come falliti perché pensiamo a un mondo di fraternità, non di muri di inimicizia, dobbiamo risollevarci e alzare il capo, perché la liberazione dell'uomo da questi falsi valori e da se stesso è vicina.

 

Ma al credente è chiesta un'attenta vigilanza: più su se stesso che sul mondo. È necessario, infatti, far regnare il Signore sulla nostra quotidianità e riconoscerne la venuta qui e oggi. Questo va realizzato cercando di non farsi prendere dalla mentalità inebriante e intossicante del mondo: «I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». So di persone che dedicano il tempo libero alla passione per la bici, e per questo «non hanno proprio tempo» per andare nemmeno trovare un familiare in grande difficoltà. E quanto è purtroppo diffuso questo!
La vigilanza che il Vangelo raccomanda, sostenuta dalla preghiera, è necessaria poi «perché abbiate la forza di fuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo». Con queste parole si vuole invitare al combattimento contro l'abitudine, che ha la subdola e tremenda forza di toglierci la sensibilità umana. Si tratta del falso e istintivo senso di pensare che se non succede nulla di rovinoso a me, allora non succede nemmeno agli altri. Dato che io ho quanto serve per vivere, sono convinto che lo abbiano anche tutti gli altri, perciò i poveri che bussano alla porta del nostro mondo ricco sono solo dei furbi approfittatori nullafacenti, e come tali vanno rifiutati. Ogni campagna di denuncia e di sensibilizzazione sul dramma di intere popolazioni e di intere regioni del mondo si infrange contro il muro di questa comoda ottusità. Il credente deve vigilare su se stesso, deve denunciare che non può dirsi cristiano chi predica tutto ciò, e deve aspettarsi che questo mondo crolli, perché l'amore di Gesù Cristo per i poveri realizza un mondo totalmente diverso e opposto: per sempre e ovunque.

 

Alberto Vianello

 

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