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No all'esclusione

Briciole dalla mensa - 6° Domenica T.O. (anno B) - 11 febbraio 2018

 

LETTURE

Lv 13,1-2.45-46   Sal 31   1Cor 10,31-11,1   Mc 1,40-45

 

COMMENTO

 

Gesù guarisce un lebbroso. Non è solo un miracolo di liberazione da una malattia. Lo si può notare subito guardando il testo: infatti non si usa mai il verbo «guarire», mentre l'azione sanatrice di Gesù è descritta con il verbo «purificare». La guarigione del lebbroso è, innanzitutto, la liberazione dalla sua emarginazione sociale e religiosa.
Questo perché la lebbra non era solo una malattia grave e ripugnante: il lebbroso era considerato come uno colpito dalla maledizione divina per qualche grave peccato, e totalmente escluso dalla vita del popolo. Così la prima Lettura ci riporta le prescrizioni della Legge per il lebbroso: doveva assumere l'atteggiamento di chi è nella vergogna a causa della sua colpa (vesti strappate e capo scoperto) ed essere perennemente emarginato dalla vita della comunità del Signore («abiterà fuori dell'accampamento»). In più doveva autoescludersi gridando la sua condizione perché nessuno si avvicinasse: «Impuro! Impuro!». Ovvero doveva mettersi la targa di colui che non possiede la vita: la sua condizione non esprime umanità. E non tanto perché è malato, ma perché è come «uno a cui il padre ha sputato in viso» (Nm 12,14): disprezzo totale e annientamento della dignità di una persona.
Quanti "lebbrosi" vivono oggi nel mondo! Perché sono molte le persone che la nostra società emargina: sono tutti i poveri e gli esclusi dai beni. «Grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Abbiamo dato inizio alla cultura dello "scarto", che, addirittura, viene promosso. Gli esclusi non sono "sfruttati" ma rifiuti, "avanzi" (Papa Francesco, Evangelii Gaudium 53).

 

Di fronte a questo povero uomo, il comportamento di Gesù appare subito sorprendente: «Venne da Lui un lebbroso». Gesù si lascia avvicinare ad un uomo così emarginato. Anzi, sarà proprio Lui a escludere ogni distanza dall'escluso: «Tese la mano, lo toccò». Perché questo malato ha osato violare così la Legge? Evidentemente perché non vedeva in Gesù un rabbi paladino di una religione capace solo di colpire le persone con i divieti e le esclusioni.
C'è da chiedersi se anche oggi una certa espressione di Chiesa non renda alcune categorie di persone come tanti "lebbrosi", con i suoi "no" a situazioni di vita formalmente non corrispondenti alla Legge.
L'attenzione e la cura che Gesù esprimeva per ogni persona deve aver convinto questo lebbroso che, nella vita di Gesù, c'era posto anche per lui, che tutti escludevano e cacciavano lontano: una forza di amore che lo attraeva e lo portava a infrangere la Legge.

 

Quest'uomo punta tutto sull'intenzione di Gesù: «Se vuoi, puoi purificarmi». Che cosa vuole Dio dalla mia malattia? Vuole che con essa paghi chissà quale colpa? Vuole che vi veda un imperscrutabile volontà del Cielo, da subire rassegnato e vinto? Quest'uomo, così condannato dalla religione, esprime, invece, una fede limpidissima: rinvia Gesù al senso e al modo della sua presenza fra gli uomini, alla volontà del Padre che il Figlio è venuto a compiere, volontà di bene e di vita per gli uomini, soprattutto per i più provati.

 

Gesù «ne ebbe compassione»: è un verbo vertice del sentire interiore del Figlio di Dio. Esprime, infatti, l'amore materno nel suo coinvolgimento più forte e nella sua cura più tenera. E tale amore viene mostrato da Gesù nel rifiuto radicale dell'indifferenza davanti a tanta sofferenza di emarginazione e di dolore.
Chissà da quanto tempo una persona non toccava quel lebbroso, a causa della sua malattia! Davvero deve aver sperimentato la beatitudine più grande nel sentire la mano di Gesù che toccava la sua povera carne piagata: un sollievo più forte della stessa guarigione che stava per ricevere. Con il tocco della sua mano, Gesù infrange il muro della sua separazione e solitudine: lo fa tornare ad essere una persona umana, e non un cane randagio, come la stessa religione lo aveva condannato.
Toccare un lebbroso voleva dire diventare un impuro come lui; eppure Gesù non teme la Legge, pur di togliere dall'esclusione una carne umana tanto sofferta. Però è straordinario che il racconto evangelico non dica nulla su questa conseguenza, pur essendo inevitabile che i lettori la notino, e ne sottolineino il valore: per amore, Gesù non teme di diventare escluso. Marco è, invece, tutto attento alla conseguenza per il lebbroso: la sua esperienza benefica del tocco di mano di Gesù e la sua successiva purificazione. Al centro della scena, per ora, c’è lui: la sua carne diventa Evangelo, che narra la tenerezza e la cura materne di Gesù per le sue piaghe.

 

Gesù, poi, si preoccupa della reintegrazione sociale e religiosa del lebbroso purificato, motivo per il quale l’aveva guarito. Per questo lo manda subito a compiere ciò che prescrive la Legge per la certificazione della sua guarigione. Ma aggiunge: «Come testimonianza per loro». I custodi della Legge dovrebbero riconoscere per primi che Gesù è venuto a compiere la Legge, perché è venuto a prendersi cura dell'uomo: cura che la Legge stessa è chiamata riconoscere. Invece saranno proprio gli uomini della Legge a condannare Gesù, perché la Legge non è più al servizio dell'uomo aperto verso Dio (come il Signore stesso l'aveva data), ma a servizio del loro potere e del loro guadagno.

 

A questo punto il racconto s'incentra di più su Gesù. Ora è Lui che si trova ad assumere la situazione di marginalità; perché la sua fama si diffonde e non può più stare in luoghi abitati, «ma rimaneva fuori in luoghi deserti». La condanna del lebbroso ricade su di Lui: è così che Gesù toglie i mali dall'uomo, assumendoli su di sé, come rivelavano già le Scritture antiche (cfr. Mt 8,17). Le guarigioni non sono un tocco magico, ma un reale coinvolgimento del Signore con la povertà dell'uomo, fino a toglierla all'uomo e a viverla Lui.
Ma questo Gesù così messo i margini è una figura che continua ad attirare sempre più: «Venivano a lui da ogni parte». Sono i piccoli, i poveri, i bisognosi che lo cercano. Chi ha vesti di lusso se ne rimane comodo nei palazzi (cfr. Lc 7,25). Ma andare da Gesù comporta condividere la sua stessa condizione di marginalità.
Oggi i discepoli del Signore devono opporsi e lottare contro l'emarginazione delle persone (soprattutto a causa della razza). E devono prendere coscienza che questo comporta una loro inevitabile emarginazione. Perché la deriva attuale è quella del rifiuto di ogni compromissione con gli altri e dell'esclusione di chi è considerato diverso. Ma solo lì, nei luoghi marginali del rifiuto, potremo trovare Gesù, Lui, il primo rifiutato perché si prende cura dei rifiutati.

 

Alberto Vianello

 

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