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La lode del piccolo

Briciole dalla mensa - 14° Domenica T.O. (anno A) - 9 luglio 2023

 

LETTURE

Zc 9,9-10   Sal 144   Rm 8,9.11-13   Mt 11,25-30

 

COMMENTO

 

«Gesù rispondendo disse»: così inizia il testo letterale. Ma a che cosa risponde se prima non c'è alcuna domanda? È la situazione che si è creata che apre domande, alle quali non è facile dare una risposta: capita, soprattutto nelle crisi della vita. E Gesù si trova proprio una situazione inattesa e dolorosa della sua esistenza e del suo ministero.
Giovanni Battista è in carcere: in un momento cruciale della sua vita (la prospettiva del martirio), nel quale sorgono interrogativi di senso più profondi, Giovanni si chiede (e manda a chiedere a Gesù) se sia davvero il Messia atteso che lui aveva predicato (cfr. Mt 11,1-15). Perché Gesù si sta mostrando molto diverso dalle sue aspettative: non si presenta come un giudice ferreo e implacabile che è venuto a restaurare la fede autentica dei padri. Piuttosto, appare essere un pastore tenero e attento alle fragilità e alle fatiche del popolo: misericordioso e non giudice.
Poi Gesù ha denunciato incontentabilità della gente. Non le andava bene il Battista perché era un profeta austero, ma non le va bene neanche Gesù, che pure si presenta con uno stile opposto a quello di Giovanni. Ma per loro è «uno che mangia e beve con i peccatori» (cfr. Mt 11, 16-19). Infine Gesù ha espresso il suo lamento su quelle città nelle quali ha compiuto più segni della sua potenza di amore, che sono proprio quelle che si sono più rifiutate nella fede (cfr. Mt 11,20-24).
Un tale panorama non poteva che suscitare domande. Noi ci saremmo domandati se non avevamo sbagliato tutto, se non fossimo proprio noi sbagliati: forse ci si è ingannati sulla propria realtà e sulla propria vocazione! Oppure, secondo una deriva oggi molto presente nella società, avremmo scaricato tutte le responsabilità sugli altri: non sanno, non capiscono, sono lontani da Dio, sono peccatori, non interessa di convertirsi…

 

Invece Gesù, spontaneamente, per un bisogno che gli esce dal cuore, si rivolge al Padre: mette tutto davanti a Dio, in una preghiera che vuole, con ostinazione, confermare la sua decisione di adesione a Lui, proprio quando i fatti possono far pensare all'incontrario. Non solo, ma si mette a lodare il Padre. Non ringrazia, di più: il ringraziamento è sempre conseguenza di un beneficio personale ricevuto, invece la lode è la gratitudine rivolta a Dio semplicemente per il fatto che Dio esiste o perché opera grandi cose per gli altri. La lode è esultanza disinteressata. Il Vangelo non è accolto; solo pochi, i piccoli, coloro che non contano, che non hanno nessuno che sia per loro, hanno seguito Gesù. Se uno giudica secondo il criterio delle grandezze umane è un insuccesso. «Forse qualcuno dei capi gli ha creduto? Ma questa gente, che non conosce la legge, è maledetta» (Gv 7,48). Ma proprio questi, i maledetti, i senza legge sono il punto di vista di Dio.
Ebbene Gesù coglie la via provvidenziale del Padre non in coloro che sono innamorati di se stessi e delle loro opere, ma nella gente semplice e povera, gente comune che ha una disponibilità segreta, che viene fuori come un miracolo. Gesù loda il Padre perché ha rivelato l'intimità di Dio, il suo essere Amore, a quelli che nemmeno parlano (letteralmente). Non hanno nemmeno strumenti per parlare. Sono altri che parlano: nei mezzi di comunicazione che contano, nei pulpiti, nella loro distaccata sapienza. Ci sono persone che fanno fatica a mettere insieme le frasi per una preghiera, eppure comunicano una passione di fede, hanno tanta luminosità nei loro occhi, e tanta semplice, gustosa sapienza nella loro vita.

 

Tutto dipende dal punto di osservazione: che non è quello dei nostri facili pessimismi o quello della corona dei nostri lamenti. Bisogna andare per le strade della vita, per entrare nel cuore della gente: e si troveranno motivi per lodare il Padre, come ha fatto Gesù. Lui lo ha riconosciuto proprio fra questa gente comune, non nella figura di un Dio che schiaccia dall'alto della sua onnipotenza.
Ma il punto di osservazione che Gesù ha assunto è anche quello del riconoscimento della sua piccolezza, mitezza e umiltà: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore». Gesù non ha aggiunto peso a peso, leggi a leggi. Il suo giogo è leggero: ci ha liberati dai pesi insopportabili. «Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). La leggerezza che Gesù porta è quella di non sentirsi mai falliti né mai abbandonati. È la leggerezza di scoprire un Dio che si è fatto piccolo e umile, che ha scelto l'umanità fragile per mostrare la sua grandezza di Padre. Un Dio che è tanto grande proprio perché è con i piccoli.

 

Alberto Vianello

 

 

 

 

“L'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti…". Forse per avere i piedi belli come quelli del messaggero di lieti annunci (cfr. Is 52,7) Zaccaria parla di pace? Cerca dei like? Dov’è la pace? Invece Geremia (14,18): “Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano e non sanno cosa fare…”. La Chiesa prega, Francesco invoca, Zuppi fa la spola. “Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion?”. Tutto scritto. La profezia un senso ce l’ha se trapassa la contraddizione. Sembra dire che la realtà è fatta non da ciò che gli occhi vedono, i fenomeni che la cronaca riporta, ma dalla profezia creduta, vale a dire che la fede degli uomini ‘fa’ la realtà, modifica gli eventi, causa la pace. Vuol dire che la fede ha un potere attivo e agli uomini è consegnato il potere di rinnovare il mondo. Ed essi, non sapendolo, non lo usano. “Ma Gesù, udito quel che si diceva, disse al capo della sinagoga: «Non temere; soltanto continua ad aver fede!»” (Mc 5,36). “In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi…” (Gv 14,12).

 

Mi ha colpito Umberto Galimberti, peraltro acuto analista del costume, che riprendendo l’affermazione di Nietzche sulla morte di Dio, riferisce la questione non alla diatriba fra credenti ed atei se Dio esista o meno, ma ‘al fatto’ che Dio ‘non fa più mondo’, non ne è più l’anima. Chi ‘fa mondo’ è l’economia, la tecnica, il liberismo, l’individualismo... Galimberti osserva ‘il dato’ e conclude: il termine ‘Dio’ non ha più valore simbolico.
Tocca a noi, cosa risponderemo? È morto Dio o sono smorti i cristiani? Dov’è l’inpasse?
Nel vangelo Gesù loda il Padre “perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Insomma la conoscenza di Dio, la fede, non sono cose che si raggiungono con l’intelligenza, con la testa, che anzi sono strumenti di un sapere che protrae il dubbio, pone condizioni, sposta la decisione, non ci mette la vita. L’assenso è quel sì che diamo in cuor nostro a chi sentiamo che ci parla con amore. “Io parlo solo con chi so che mi vuol bene”, parola di un’adolescente. Chi non è capace di fidarsi non chiede fiducia e non si consegna. La sua vita di relazione è sempre guardinga, ingenerosa, distaccata. Vero è che i semplici sono attenti alla persona che parla loro, al tono della voce oltre che alle parole e la riconoscono come per intuito. “Le 
mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). E si sbagliano meno.

 

Gesù rende grazie al Padre di questa qualità del cuore dei piccoli, per cui può parlare liberamente a coloro che sentono il peso della vita, e capita a tutti, affaticati, oppressi ai quali dà se stesso in conoscenza, che è ristoro, ricarica, passaggio oltre il limite, rivelazione del Padre, della vita nella sua interezza. Gli oppressi sono coloro che loro malgrado fanno esperienza di ingiustizia secondo cui il mondo si organizza. E sono i primi a desiderare ‘cieli nuovi e nuova terra’, ma senza violenza “perché i giusti non stendano le mani a compiere il male” (Sal 124,3). È con essi, i semplici, gli oppressi, i piccoli, e fatto centro su loro, che Dio può ‘fare mondo’, dal momento che sanno cos’è la giustizia, ne sono profeti, riconoscono fra mille la voce del Pastore.  
Per questo, per noi adesso, già allora Gesù si chiedeva: “
Ma quando il Figlio dell'uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?” (Lc 18,6).

 

Valerio Febei e Rita

 

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