Briciole dalla mensa - 4° Domenica di Quaresima (anno C) - 30 marzo 2025
LETTURE
Gs 5,9-12 Sal 33 2Cor 5,17-21 Lc 15,1-3.11-32
COMMENTO
Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Gesù ha una forza di attrazione assai straordinaria, tanto che tutti i peggiori, i condannati, gli esclusi, gli scartati (dalla società e dalla religione) si avvicinavano per ascoltarlo.
Se Gesù fosse oggi in mezzo a noi, provocherebbe uno spettacolo a dir poco disarmante: circondato da tutti i più compromessi, i più difficili, i più segnati, i più negativi. Quali parole direbbe loro per attirarli a sé?! Certamente a dire che loro, che sono emarginati ed esclusi, sono i primi ad essere chiamati (cattivi e buoni, Mt 22,10) al banchetto di nozze nel regno di Dio, cioè alla gioia della partecipazione a un mondo diverso, veramente umano perché abbracciato dalla misericordia del Padre nell'opera di suo Figlio.
E gli uomini perbene rimangono ancora più scandalizzati perché accoglie i peccatori e mangia con loro. Una comunione tanto più compromettente in quanto sarà reale e drammatica. Infatti Luca racconterà che Gesù viene crocifisso insieme ad altri due malfattori: Lui è come loro, è uno di loro. E proprio il riconoscimento di questa condivisione con i cattivi porta uno di quei due ad aprirsi alla fede, perché si apre alla fiducia in Lui: Gesù, ricordati di me, quando verrai e nel tuo Regno (Lc 23,42). Nel Vangelo di Luca, nessuno lo chiama per nome, escluso questo delinquente condannato come Lui. È un'apertura di relazione immediata e folgorante, e che, unica, gli varrà la beatitudine: Oggi con me sarai in paradiso. Il paradiso è quell'essere con me: è la relazione con Gesù, dopo che Lui è stato con noi nella nostra condanna, tutti i condannati saranno con Lui nella salvezza.
Invece, per i ricchi, i forti, i santi, quelli che sono per bene e mormorano, Gesù racconta la cosiddetta parabola del "figliol prodigo". Ma, più propriamente, Angelo Casati la chiama la parabola del "padre prodigo", perché capace di un amore che si perde, si butta via. È un padre che “rinuncia” ad essere padre, al fine che i figli possano essere davvero figli, quindi liberi, non servi.
Il padre della parabola accetta la pretesa del figlio piccolo, e divide fra i due le sue sostanze, ma che rappresentano la sua vita (letteralmente). Dare ai figli l'eredità mentre si è ancora in vita, permettere che un figlio se ne vada lontano, senza mettere in guardia dai rischi, lasciare che dilapidi la vita del padre, sembrano comportamenti propri di un atteggiamento di debolezza. Invece essi rivelano la bontà del padre e la passione di Dio per l'uomo.
Il figliol prodigo torna al padre quando si trova nell'estremo bisogno: ha fame, non ha da mangiare, mentre in casa di suo padre i salariati hanno pane in abbondanza. È mosso ancora solo da un interesse egoistico, e, per questo, vuole domandare al padre di trattarlo come un suo salariato: non è umiltà e conversione, è ancora preoccupazione per sé e ripiegamento nel proprio bisogno. E il padre lo coglie proprio così!
È mosso da compassione: sono le viscere materne e paterne che si muovono d'amore per la propria creatura; è il verbo classico e più centrato per dire della misericordia di Dio per l'uomo. Gli si getta al collo, impedendogli così di prostrarsi come un servo; lo bacia, come segno di riconciliazione e comunione. E quando il figlio esprime la sua indegnità (interessata), lo blocca, prima che chieda di fare il servo (per avere il pane). Invece il padre lo fa vestire con la dignità di figlio, che lui aveva sperperato e fa preparare un banchetto come a nozze. Perché era un figlio perduto, ma il padre lo ha ritrovato: lo ha fatto veramente figlio, ridandogli quella dignità che aveva sprecato e che il padre aveva custodito per lui.
Il figlio maggiore, dinanzi a questo comportamento, è profondamente indignato, tanto da rifiutarsi non solo al fratello, ma anche al padre. In realtà, ciò che il fratello voleva chiedere per avere il pane, cioè essere trattato come un servo, il maggiore lo viveva da sempre: io ti ho sempre servito.
Anche verso questo figlio maggiore il padre assume un atteggiamento sconveniente: non lo costringe ad entrare, ma gli va incontro, lo prega, non lo rimprovera, davanti a tanta durezza (tuo figlio) rimane nella dolcezza dell'amore. Il padre non fa nulla e accoglie anche l'espressione del suo rifiuto del fratello e del suo risentimento verso il padre. Semplicemente ricorda che lui è un figlio, quindi c'è una piena condivisione, e che colui che ha sperperato tutto è suo fratello. Questo atteggiamento esprime la fiducia che il padre ha nei confronti del figlio. Da qui egli potrà rinascere davvero come figlio, come il minore ha sperimentato il suo essere figlio (anche se prodigo) nell'abbraccio del padre.
Tutto questo sta a dirci che la riconciliazione nelle relazioni può avvenire grazie ad un atteggiamento che esprima la fragilità come quello del padre. È ciò che avviene nella croce di Cristo. Qui c'è tutto lo scandalo della rivelazione cristiana: la riconciliazione non avviene attraverso pratiche religiose dell'uomo, ma attraverso l'impotenza che Dio riveste nella croce del proprio Figlio. Perché, a partire dai più lontani, dai più dilapidati, ci sia accoglienza piena, abbraccio di misericordia.
Alberto Vianello
La liturgia non cessa di invitarci alla penitenza, alla conversione e al digiuno ‘religioso’ con una insistenza che l’uomo ‘moderno’ poco comprende. Ammesso che rifaccia i conti, ripensa le sue malefatte: questa l’ho detta., quest’altra pure… che cosa devo confessare ancora? Di cosa pentirmi? In tal senso la ricerca del peccato somiglia ad una pratica legale, farisaica. Può finire così, che “egli si illude con sé stesso nel ricercare la sua colpa e detestarla” (Sal 35).
Cos’altro è il peccato, in questo mondo poi che non ragiona in termini di peccato “contro il Cielo” e contro il prossimo, semmai di comportamenti sconvenienti deterministicamente spiegabili?
I più scrupolosi confessano lo stesso peccato o lo stesso difetto per anni! E ne sono afflitti per anni. Un prete ammoniva: “Convertitevi dal peccato a cui siete affezionati!”. Già meglio.
Non è questo un peccato? Sarebbe come dire che il figlio uscito di casa offendendo il padre poi, invidiando i porci per via delle carrube, rinsavisce, torna e viene accolto ma resta nel senso di colpa e svilisce l’abbraccio del padre. Non è così per sua fortuna.
Il peccato è un fatto, certamente, ma anche un modo di essere, tutt’uno ormai con la coscienza opacizzata e indolente.“Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo” (Sal 18). Vero. Per la perfezione c’è ancora tempo. Non si può dubitare della comprensione paterna di Dio, ma ciò non ci dà la pace, frutto della vittoria su noi stessi. Non c’è verso, “il nostro cuore è inquieto finché non riposa ‘tutto’ in Dio”.
Molte di queste negligenze si manifestano nel rapporto col cibo, con ricadute sulla salute fisica. Tout se tient. Quante ansie sazia un piatto di lenticchie, due anche di più! Il controllo del cibo (il digiuno) come il distacco dalle dipendenze a sentir loro ‘innocenti’, torna ad acuire l’intelligenza di quel che manca nella relazione con Dio, giacché questa relazione è a capo di tutte le relazioni’. Due ragazzi si amavano, la pulizia del cuore era sufficiente al compenetrarsi l’anima con lo sguardo. Poi venne un po’ di ‘infingardaggine’ e un po’ di stanchezza, sai com’è se non si è vigili. Un altro po’ ed essi non trovarono più il gusto di amarsi. Opacità. Al momento in cui lei se ne andò lui, addolorato, ebbe un sussulto di consapevolezza e disse: “Ma che peccati ho fatto?”. Intuì il nesso tra la trasparenza a Dio e la trasparenza a lei. Entrambe mancate. Che nostalgia parte da lì! Si capisce allora che la Quaresima può essere il tempo del dispiacere e della rinascita, del ritorno a Dio con tutta l’anima.
Altro è il caso del fratello maggiore, indignato per la differenza di trattamento, un vitellone per quel ‘figlio’ disgraziato contro un abbacchio neppure goduto per lui rimasto in casa, ma più da dipendente che altro. Ha fatto l’esame, è stato educato, ma il cuore del padre gli è rimasto estraneo. Questione di nostalgie e desideri. Certe volte il peccato è un’opportunità.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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