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Dignità dell’uomo 

Briciole dalla mensa - 31° Domenica T.O. (anno C) - 30 ottobre 2022

 

LETTURE

Sap 11,22-12,2   Sal 144   2Ts 1,11-2,2   Lc 19,1-10

 

COMMENTO

 

«Un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco». È bellissimo che il Vangelo metta prima di tutto l'essere persona di questo tale, poi il suo nome - che così afferma la dignità che deriva dalla sua identità personale - e solo dopo lo indichi come «capo dei pubblicani e ricco»: ovvero le due caratteristiche, che lo qualificano negativamente. Noi avremmo fatto l'incontrario. Invece il Vangelo non mette avanti le categorie delle persone, ma l'essere creatura di Dio. Tanto che tutto l'episodio è compreso dentro questo passaggio: all'inizio, «Zaccheo, lui anche (kai autòs) capo dei pubblicani» e, alla fine, Gesù dice: «Lui anche (kai autòs) figlio di Abramo». Gesù è venuto a restituire ad ognuno la sua dignità di persona nell’alleanza di Dio, come con il patriarca.
Da questo, il cristianesimo ha cambiato il mondo, dando vita a una nuova civiltà, fondata sul valore inalienabile di ogni persona, in relazione alle altre persone, a comporre un'unica famiglia umana. Una civiltà che sta purtroppo tramontando; e anche la Chiesa sta dando il suo contributo, visto che certi suoi membri sostengono personaggi e politiche che discriminano le persone, le dividono, le escludono, favoriscono i ricchi e i privilegiati, non si curano dei poveri e sostengono un'economia a misura degli interessi dei potenti.

 

Zaccheo «cercava di vedere chi era Gesù». Non conosciamo i motivi di questa sua ricerca. E non rispetterebbe il testo provare ad ipotizzarli: aveva un inizio di fede, era affascinato dalla sua persona…? Di certo sapeva che da Gesù non poteva aspettarsi degli sconti riguardo alla sua condizione. Infatti, prima dell'ingresso a Gerico, Gesù aveva messo duramente in guardia sul pericolo delle ricchezze: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» (Lc 18,24). Per Gesù, ogni forma di ricchezza (domenica scorsa abbiamo incontrato quella "religiosa" del fariseo) porta a confidare in se stessi, invece di aprirsi a Dio e agli altri. Perciò Zaccheo non poteva aspettarsi dal Signore una benedizione della sua condizione. Evidentemente, cercando Gesù, si espone ad una dinamica di radicale cambiamento che, da quell'incontro, avrebbe segnato la sua vita. Zaccheo non sapeva come, ma aveva intuito che quella sua salita sul sicomoro per vedere Gesù avrebbe rovesciato la sua esistenza.
Questo vale per tutti: se andiamo al Signore per cercare conferme su di noi e per stare acquietati, saremo profondamente delusi. Gesù stravolge la nostra vita: dai gesti più quotidiani alle scelte più caratterizzanti l'esistenza. Quando vediamo un fratello in difficoltà, vediamo Lui. Quando stiamo nella società, pensiamo al suo stile accogliente e inclusivo. Quando cerchiamo noi stessi, ci ritroviamo in Lui.

 

Con tutto ciò si vuole affermare che la relazione con Dio non dipende dall'uomo, ma da Lui. Zaccheo cercava di vedere Gesù, e Gesù, quando passa sotto il sicomoro, guarda Zaccheo. Questi ha corso avanti per incontrare Gesù, e Gesù dice che il Figlio di Dio è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. Il Signore ci precede: nel desiderio, nella ricerca, nell'incontro, nello stare con noi.
L'unico gesto veramente nostro è offrirgli ospitalità della nostra casa: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Il riconoscimento di questa richiesta del Signore è tutta la nostra fede. Oggi Lui vuole «rimanere, abitare» (letteralmente) a casa mia: vuole che la mia umanità diventi la sua umanità: in attesa che Lui poi trasfiguri la mia nella sua (cfr. Fil 3,21). Non solo: qui c'è tutto il progetto dell'opera di salvezza di Dio. Infatti, quel «devo, bisogna» è sempre usato, nei Vangeli, per la prospettiva della passione, morte e risurrezione di Gesù («bisogna che il Figlio dell'uomo…»).

 

Gesù si ritrova in tal modo nell'andare a casa di un peccatore (non per approvarlo ma per provargli la misericordia di Dio) che quella casa diventa la sua, quella a lungo cercata, fin dalla sua nascita. Infatti, Luca mette in bocca ai «tutti» (compresi evidentemente i suoi discepoli!) che mormorano, questa espressione: «È entrato ad alloggiare presso un peccatore!». Alla sua nascita, Maria lo aveva avvolto in fasce e lo aveva deposto in una mangiatoia, «perché per loro non c'era posto nell'alloggio» (Lc 2,7). Quando Gesù trova l’uomo, segnato dal peccato, lo accoglie e fa comunione con lui, lì trova la sua casa, la sua vita, il senso del suo essere Dio ed essere uomo.

 

La misericordia non è senza giustizia. Zaccheo dice: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Quel ricco (fraudolento), impossibilitato a salvarsi, si trova cercato e salvato dalla gratuità del Signore: proprio lui, che aveva vissuto accumulando denaro con la violenza, la frode, l'ingiustizia. Gesù non gli ha chiesto nulla: né prima né dopo. Ha distrutto il suo mondo egoista semplicemente trattandolo come se non fosse un violento arraffatore di beni altrui, ma un uomo tanto smarrito da voler incontrare un Rabbi che mostrava la gratuità di Dio, e quindi il suo "favore" per i peccatori.

 

Alberto Vianello

 

 

Tanto più si conosce qualcosa quanto più si fa tutt’uno con la cosa stessa. Conoscere infatti significa ridurre la distanza tra il soggetto e l’oggetto. Ciò è tanto più vero in un contesto biblico, dove conoscere indica una relazione intima, anima e corpo com’è tra coniugi. Così vuole funzionare la Parola, che non è scontato: tra noi moderni vige il metodo scientifico che distingue il conoscente dal conosciuto.

Il brano di Zaccheo, per esempio, vale come racconto di un fatto che ha entusiasmato i presenti e il redattore, ma può lasciarci spettatori compiaciuti e nulla più.
Il discorso cambia se sento di essere io Zaccheo, se sono io che, dimentico del mio fardello degradante, mi lascio andare alla curiosità e al desiderio di vedere alcunché di bene e di bello che viene su circondato dalla folla vociante, se sono io che corro avanti, invento un albero su cui salire e aspetto in posizione alta che passi quest’uomo prodigioso, che guarisce i malati, rincuora i poveri, benedice le anime afflitte, perdona i peccati. Quel che la mia condizione fisica e lo status di dannato sociale mi impediscono, con un po’ di iniziativa me lo sono aggiudicato. 

È un merito per me, lettore moderno, quello di immedesimarmi nel personaggio di Zaccheo e sentire le parole di Gesù che leggendo in me quel che non saprei sperare si rivolge proprio a me dicendo: “Che fai lassù? Scendi, vengo a casa tua”. Io non scendo, precipito giù, fisso gli occhi su di Lui che mi fissa e corro ancora, corro a casa per dare ordini e preparare l’accoglienza, inciampo sui ciottoli, non vado meglio con le parole che, nell’emozione si arrotolano una sull’altra e, senza sapere perché, sono già beato. Rinasco davvero e non so come, so che la mia condizione non mi è più di peso, nulla è cambiato, i segni verranno dopo, ma tutto è già cambiato: colui che ha nella parola e nel gesto una virtù risanatrice e benefica è ospite a casa mia, non ci posso credere!

Sì. Lo so che poi alcuni, i soliti farisei, sedicenti uomini perbene, capi del tempio, per invidia verso quell’uomo buono, a causa mia cominciano a insultarlo. “E’ andato a casa di uno scomunicato, vergogna!”. Eh no, gli dico. Sarà anche vero che faccio un lavoro socialmente riprovevole, ma ora ecco: una metà dei miei ben la do ai poveri e restituisco quattro volte tanto a qualcuno che ho frodato. (Perché 4? I Romani davano facoltà al gestore delle imposte, in genere un ricco commerciante – una volta che questi aveva versato in anticipo il totale stabilito dal governatore – di pretendere dai singoli contribuenti fino a quattro volte l’imposta dovuta. Un latrocinio).
Insomma correggo la situazione e il mio diventa un lavoro vero e proprio, poiché quel che è di Cesare gli va comunque dato, lo stato deve funzionare e le tasse vanno pagate.

 

Per chiudere: farsi contemporanei del Vangelo. La differenza è data dal grado di immedesimazione che scegliamo di avere. Io decido se questo è il racconto di un episodio a cui assisto o se entro in scena come Zaccheo, ne vesto i panni, ne assumo l’identità. Io sono Zaccheo appunto, con un segreto, intimo desiderio di vedere Gesù, io che con tutto il male che ho dentro mi prendo questo spasimo di gioia dimenticando i miei guai. È l’unico modo per incrociare il suo sguardo e sapermi guardato, riconosciuto più di quanto io mai immagini di riconoscermi e sentirmi dire: “La gioia che cerchi non è un momento fugace: è per sempre, se vuoi”. Come, Signore? “Conserva in te la mia parola, io sono là”.
Tra me e il Signore c’è solo il mezzo della mia mente. Essa di per sé è come una scimmia, dispersiva e riottosa ai comandi, se cedo per me è finita: scava dei solchi nei quali si allineano i pensieri tossici, viziati.
Guarire la mente è tutto. Avere la mente in Dio era, è la funzione delle ‘giaculatorie’. Un tale alzandosi la mattina diceva: “Signore, oggi io e te sempre insieme!”. Così Gesù si fa presente a noi e noi a Lui e questa è la prima guarigione. Poi viene la conversione e la rinascita.

 

Valerio Febei e Rita

 

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