Briciole dalla mensa - 27° Domenica T.O. (anno B) - 6 ottobre 2024
LETTURE
Gen 2,18-24 Sal 127 Eb 2,9-11 Mc 10,2-16
COMMENTO
La prima Lettura inizia con una parola che colpisce e che entusiasma: «Non è bene che l'uomo sia solo», dice il Signore. È questo che interessa a Dio: che l'uomo veramente viva, e l'uomo comincia vivere solo quando entra in relazione con un altro.
I cap. 2-3 della Genesi sono una grande meditazione sapienziale sull'uomo, concepito come essere umano grazie alle sue tre relazioni fondamentali: con Dio, con il mondo e con il suo simile. Il primo quadro (cap. 2) rivela il progetto di Dio sull'umanità e sull'intera realtà, un progetto tutto costituito da armonia e da luce. Nel secondo quadro (cap. 3), invece, si denuncia la scelta di autonomia che l'uomo vuole realizzare facendo meno della proposta di Dio: i risultati li sperimentiamo particolarmente oggi, nelle guerre e nella rovina del creato.
Nel brano che leggiamo, preso da questo grande affresco, vediamo la "creazione" della donna. Vi si rivelano i valori fondanti: l'unicità della donna, la complementarietà dei due sessi e il rapporto d'amore. E tutto questo è celebrato con l’esclamazione di Adamo che esprime lo stupore dell'uomo innamorato, nel primo canto d'amore dell'umanità: «Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. Là si chiamerà isshah perché da ish è stata tolta» (in ebraico «uomo-donna» sono lo stesso vocabolo al maschile e al femminile).
Tra i due si stabilisce una comunione così profonda da renderli una sola esistenza in relazione con l'esterno («un'unica carne»). La vita è relazione e l'alterità uomo-donna è il cuore della vita. Sembra paradossale, ma quell'esclamazione iniziale rivela che la solitudine dell'uomo non era colmata nemmeno da Dio. È solo con la donna che l'uomo trova quella relazione che lo fa essere vivo, cioè in relazione, già al suo interno, per poi essere veramente nella carne, cioè in relazione con Dio, con gli altri e con il mondo.
È a questo compimento originario dell'uomo nella sua unione con la donna che Gesù fa riferimento riguardo alla discussa interpretazione divorzista che leggiamo nel Deuteronomio (24,1-4). La bellissima e delicata questione dell'amore fra un uomo e una donna che diviene legame, storia, viene brutalmente ridotta dai farisei a una banale questione di liceità: «È lecito?». È una dissacrante riduzione della relazione dell'uomo con Dio e con gli altri esseri. Se le leggi della Chiesa lo permettono allora sono a posto con Dio. Gesù, invece, pone tutto a livello del progetto originario di Dio di una reciprocità fra l’uomo e la donna che è immagine dell'eterno essere di Dio stesso, che è relazione e comunicazione di amore.
Importante è anche il modo con cui si ricorre e si interpreta la Scrittura. La menzione del libello del ripudio, nel Deuteronomio, è fatta en passant per difendere i diritti della donna licenziata dal marito, che continuava a far da padrone anche dopo il divorzio. I farisei l’avevano trasformata in un diritto: non si discute più se si può ripudiare la moglie, ma per quali motivi il marito lo poteva fare.
Gesù, invece, legge correttamente che quella disposizione mosaica aveva un carattere provvisorio, era una concessione e, positivamente, Egli propone l'ascolto della volontà di Dio, espressa nel testo della Genesi. In una parola, Gesù si oppone alla lettura solo "materiale" di un testo: è sempre necessaria un'opera di interpretazione della Bibbia. È un'azione necessaria per cogliere il cuore di Dio, la sua intenzione nel documento scritto. Così si discerne ciò che è fondamentale rispetto a ciò che è secondario.
Con il suo modo di leggere le Scritture, Gesù ci mostra così come sia necessario prendere sul serio Dio e risalire alla sua volontà originaria, al suo progetto sull'uomo e la donna, così da fondare poi la loro responsabilità personale. Bisogna tornare al grande progetto dell'inizio. Tornare alla grande emozione del «ti sposo per sempre», e all'emozione di una sfida: è incidere il «per sempre» verso la persona amata nella propria carne, nel proprio cuore. E non si immiserisce ad un precetto.
Lo stesso lo possiamo dire per la fedeltà: la fedeltà non formale, ridotta a non tradire il partner. La fedeltà che è investimento di fiducia nell'altro, il quale è il nostro vero capitale; fedeltà che è passione per la sua storia unica che ha incrociato la mia; fedeltà che è rispetto tenero del suo volto; fedeltà che è scommessa sulla persona amata, lasciando spazio alla sua creatività e libertà.
Il brano di Marco che la liturgia ci propone continua con l'episodio dei bambini che vanno da Gesù, ma i discepoli lo vogliono impedire. Mi sono chiesto quale sia il legame con l’insegnamento sul matrimonio. Forse i discepoli pensavano che tra Gesù e i bambini non ci potesse essere un rapporto, i bambini non potevano capire i discorsi - sì molto belli di Gesù - ma fuori della loro portata.
Invece Gesù accoglie i bambini, perché la relazione con loro avviene attraverso il corpo, le mani: portavano a Gesù i bambini perché li accarezzasse. Così Gesù colma la distanza: non solo attraverso i discorsi, ma anche attraverso un abbraccio. Toglie così la solitudine ad Adamo.
Alberto Vianello
C’erano vari motivi per sposarsi in chiesa: perché era consuetudine, perché sulle intenzioni personali prevaleva il giudizio sociale, ma anche perché c’era timor di Dio e l’idea che la vita di coppia in salute e in malattia, la famiglia e i figli trascendessero le possibilità degli individui e occorresse perciò una benedizione ed una grazia, perché il giorno del matrimonio era il giorno del vestito bianco e della festa tra i genitori e con gli amici, carico di ansia e di attesa… Ed infatti quale ricchezza di simboli nei riti di quel giorno in cui la gente è vestita a festa, la chiesa è rivestita di fiori ed anche il Cielo si piega sulla terra.
Il confine che protegge e delimita l’autonomia che ci fa individui, in quel punto cede e i due non solo più due ma una carne sola. “Tu, Marco, non sei più soltanto Marco e tu, Sofia, non sei più soltanto Sofia…”. Così Benedicevano i genitori.
Nulla di simile c’è nella convivenza dove il muro di separazione che è frammezzo, i confini dell’io di entrambi, come le membrane che rivestono le cellule, restano intere. È un’altra cosa. Non è previsto così il cammino dell’unità, del ritrovarsi l’uno nell’altro che pure è il destino sottostante.
In origine era così, in fondo è così, alla radice che chiunque può contattare, con coraggio ed onestà. Da allora, cioè da quella profondità, il desiderio dell’uomo è rivolto alla donna e viceversa, a diventare uno con la parte mancante, la metà della mela secondo Platone, tanto che la vita coniugale per il fatto stesso che tende all’uno è vita religiosa.
Poi c’è il mondo, la durezza del cuore, dice Gesù, le paure, il maschilismo, c’è la moneta cattiva che scaccia quella buona, ci sono gli equivoci sulla famiglia, le contraffazioni, le ipocrisie culturali e la sporcizia mediatica , l’insincerità nell’essere l’uno di fronte all’altra… Ma su tutto c’è la misericordia della Chiesa.
Non occorre essere conservatori per prendere le misure alle cose del mondo. Basta togliersi dalla testa il convincimento, del tutto ideologico che, la storia proceda lungo la linea del progresso. Non c’è nessun progresso civile nella tecnologia impiegata in queste guerre infernali, nessun progresso nell’approssimarsi della catastrofe. Negli anni settanta, all’indomani della contestazione giovanile e del concilio, guarda caso, la cultura civile era molto più avanti di oggi.
Il progresso è ‘redire in seipsum’, non ‘al passato’ ma rientrare in sé, diceva sant’Agostino. Tornare al principio, dice Gesù, cioè alla verità che ‘ci costituisce’ naturalmente. Già: è anche un tornare alla natura uomo donna, simili e corrispondenti, che non si modifica nonostante la ‘cultura’ (l’ideologia) ci provi. Riprendere quel cammino di unità, il cui costo è una grazia, origina il ritorno in sé di molte altre cose: il rapporto di valore fra gli oggetti, l’economia, le relazioni, i figli… e non sono davvero poca cosa.
Valerio Febei e Rita
Monastero di Marango
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