Briciole dalla mensa - Natale del Signore - 25 dicembre 2021
LETTURE
Is 9,1-6 Sal 95 Tt 2,11-14 Lc 2,1-14
COMMENTO
Il Vangelo della Natività inizia e termina parlando della «terra»: all'inizio del brano essa è ridotta a misurare l'estensione del potere imperiale romano che ne decreta il censimento. Ma alla fine del racconto essa risulta grembo fecondo destinato ad accogliere la pace che viene da Dio a «tutti gli uomini che egli ama», frutto dell'Incarnazione del suo Figlio. Non è quindi il «decreto di Cesare Augusto» ad affermarsi, bensì quello che viene dal cielo, che non conta i sudditi, ma riconosce la massima dignità di ogni persona: ciascuno è oggetto della «benevolenza» (letteralmente) del Signore, cioè ogni uomo è scelto da Dio e diventa, per Lui, un fine assoluto del suo amore gratuito: questo è il significato che si ricava da altre ricorrenze dello stesso termine: cfr. Lc 3,22; 10,21.
Il racconto inizia con un riferimento geografico globale e progressivamente va concentrandosi in un punto precisissimo e… straordinario: si parte da «tutta la terra», poi ci si restringe sulla «Siria», ovvero il Medio Oriente, quindi la «Giudea», poi «la città di Davide chiamata Betlemme», poi ancora un alloggio che manca e, alla fine, la «mangiatoia». Quel luogo per animali diventa il cuore della terra, perché vi viene posto, con cura e con amore da Maria, colui che ha fatto la terra ed ora accetta di esserne generato, per rinnovarla. Quel piccolo, povero, insignificante punto è dove abita quella maestà di Dio che i cieli dei cieli non possono contenere: Dio non poteva fare un miracolo più grande come quello di rendersi così piccolo.
Ce lo diciamo spesso, ma niente meglio del Natale lo rivela al nostro cuore: non dobbiamo temere la nostra piccolezza, perché il Signore preferisce e sceglie le mangiatoie, i piccoli villaggi, le povere persone come Giuseppe con Maria che sta per partorire e sono costrette a un lungo e faticoso viaggio. E li preferisce rispetto a chi ha il potere, a chi sta al palazzo e muove interi popoli, a chi ha capacità e forza, a chi - in ambito ecclesiale - riconosce solo coloro che hanno carismi: modo vestito di religioso per dire che vale solo chi ha numeri. Possiamo fare tutti i presepi che vogliamo, fare i più bei discorsi augurali, andare a tutte le Messe, ma se non ci decidiamo ad accogliere la nostra piccolezza e vedervi all'opera la Grazia non arriverà mai il vero Natale.
Non si potrebbe poi celebrare il Natale, se non ci fossero gli angeli che vengono ad annunciare ciò che avviene, tanto è il nascondimento nella piccolezza del Figlio di Dio che è nato. E l'angelo si presenta ai pastori che «vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge»: essi stanno svegli, per compiere il loro lavoro, mentre il resto della gente dorme. I pastori non sembrano essere scelti se non per la loro vigilanza. Il Signore che si fa carne va riconosciuto e accolto da svegli, cioè con l'uso delle nostre facoltà umane. I pastori ascoltano, poi vanno, infine vedono: tutte azioni ignare a chi dorme. Li tiene svegli il loro lavoro impegnativo e umile. Che bello pensare che quando ci prendiamo cura di un anziano, quando curiamo un nostro piccolo, quando aiutiamo situazioni di difficoltà, siamo in grado di cogliere l'annuncio, attraverso la parola di Dio, che per noi e per tutti è nato «il Salvatore, che è Cristo Signore»!
Le condizioni precarie in cui nasce Gesù richiamano tante precarietà umane, oggi presenti più che mai. E questo stride con il tradizionale clima natalizio di festa, di gioia, di poesia, di sdolcinatura. Sappiamo, purtroppo, che la storia umana è tuttora nel dramma. E non solo a causa della pandemia, che anzi rischia di nascondere tante situazioni umane (di interi popoli) povere e sofferte: fino a quando, Signore, l'uomo, pur con le conquiste scientifiche che ha acquisito, continuerà a rendere peggiore il mondo, in quanto alla vita umana e in quanto alla condizione del creato?!
La celebrazione annuale del Natale sta a dire che "comunque" il Signore viene: non si è stancato dell'uomo, anche se l'uomo continua a stancare sempre più il suo Dio, perché si stanca di essere umano verso i fratelli e verso la natura.
«Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Se l'angelo avesse dato loro un segno divino nel tempio, i pastori non vi avrebbero potuto andare: erano impuri perché non potevano praticare con regolarità le devozioni, a causa del loro impegno lavorativo. Se invece il segno fosse stato una nuova e più elevata Legge religiosa, i pastori non l’avrebbero capita e vissuta. Il segno, invece, parla di ricoveri per animali, di mangiatoie, di fieno, parla della vita di ogni giorno per dei pastori. Dunque, per rivelare all'uomo la realtà più grande e diversa dalla sua esperienza, ovvero Dio e il suo amore salvifico, la parola di Dio usa le coordinate e il linguaggio più quotidiani e familiari.
Così anche noi, in questo Natale, dobbiamo mettere in moto la nostra fede (pur magari molto povera) non tanto per "immaginarci" oppure per "capire" l'Incarnazione, quanto nel scoprirla fatta essenzialmente della nostra quotidianità con le sue fatiche e le sue difficoltà, con le sue briciole di felicità e di piacere. Un Salvatore che si fa cogliere da degli ignari pastori e che, invece non viene riconosciuto dagli elevati e carismatici capi del popolo, ci incoraggia a cercarlo e riconoscerlo nelle pieghe più normali della nostra umanità, che Egli non ha disprezzato in alcun modo di abbracciare.
Buon Natale.
Alberto Vianello
Monastero di Marango
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