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Il passaporto per il Regno

Briciole dalla mensa - 6° Domenica T.O. (anno C) - 13 febbraio 2022

 

LETTURE

Ger 17,5-8   Sal 1   1Cor 15,12.16-20   Lc 6,17.20-26

 

COMMENTO

 

«Beato» non è la dichiarazione di felicità del povero in quanto tale (il povero di cosa può bearsi riguardo alla sua situazione?!), ma è annuncio che, nel Cristo che ha vissuto la povertà e la situazione di bisogno, queste realtà non hanno l'ultima parola, ma diventano apertura al Regno e sua esperienza. In fin dei conti, l'uomo più «beato» è quello più tragico: il ladrone crocifisso con Gesù; perché lo stare di Gesù con lui nella sua condanna, gli garantisce di essere, il giorno stesso, lui con Gesù nel paradiso (cfr. Lc 23,39-43).
«Guai» non è una maledizione, ma - sullo stile della predicazione profetica - è una denuncia di peccato e del conseguente giudizio che incombe, che però può essere ancora evitato con la conversione: questo è il vero scopo di tale apostrofe. In ogni modo, anche quando il «guai» diventa irreparabile, in chi lo pronuncia si trasforma non in una condanna ma in un lamento di compassione.
Con le beatitudini, il Vangelo di Matteo cerca di delineare quali sono le caratteristiche dell'originalità cristiana rispetto al giudaismo. Il Vangelo di Luca, invece, pone al vertice del discorso il comandamento dell'amore e le sue esigenze concrete: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano…» (6,27ss). A questo guardano le beatitudini: come una vita cristiana non fatta di ascesi, ma di un cuore aperto d'amore al dono, alla condivisione, alla comunione.

 

«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio»: Gesù si rivolge direttamente agli uomini che vivono tale situazione. È Lui che guarda e che legge la nostra povertà: dobbiamo guardare alla nostra povertà come lui la guarda. Perché il suo sguardo non è fatto, come il nostro, di non accettazione di se stessi, di disappunto, poi anche di gelosia e di rabbia per gli altri. Guardandoci, Gesù ci dice: «Conosco la tua difficoltà, perché è stata anche la mia; non mi scandalizzo della tua pochezza; ti sono perciò vicino, ti spingo a resistere, con tanta pazienza; ti amo, proprio perché sei povero, non nonostante la tua povertà; ti invito a sperare e attendere, perché io sono con te sempre…».
E Gesù promette che «vostro è il regno di Dio»: non che voi appartenete al Regno, ma che il Regno appartiene a voi, è fatto di voi. Gesù non ha mai spiegato propriamente che cosa sia il Regno. Ma lo ha mostrato con il suo difendere i poveri, con il curare gli infermi, con il farsi amico dei peccatori. Gesù ha cambiato in questo modo la nostra vita. E come cambierebbe la vita se tutti lo seguissero sulla via di tale amore! Quindi il Regno è la vita umana così come la vuole costruire Dio e come l’ha attuata Gesù. Dunque il Regno è una vita di fratelli e di sorelle, animata dall'amore del Padre per tutti, «cattivi e buoni»; un mondo governato dall'amore totale e gratuito, come l'amore per i nemici; dove ci si prende cura della vita umana liberando le persone e la società da ogni forma di schiavitù disumanizzante; dove la religione è a servizio delle persone, soprattutto quelle più marginalizzate e dimenticate.
Questo regno di Dio è già presente e sta già agendo, però solo come un «seme», che si sta seminando nel mondo. La nostra fede sta nel vedere l'invisibile: il regno di Dio che sta già lavorando segretamente nella vita come un pugno di «lievito», impastato nella farina: Dio farà sì che un giorno tutto sia trasformato. Gesù, soprattutto quando ha vissuto la sua povertà umana (pensiamo alla croce), non ha mai dubitato di questo finale buono.

 

«Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione»: qui il termine paràclesis ricorre secondo il suo uso nel linguaggio commerciale: è il pagamento per intero del prezzo di un determinato acquisto. Su questa terra, il dovuto è stato completamente pagato al ricco. È quello che Abramo dichiara al ricco condannato agli inferi, nella parabola del povero Lazzaro: «Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (Lc 16,25). Il ricco viene condannato non per i suoi beni, ma per il suo egoismo, che lo portava a non vedere nemmeno il povero Lazzaro gettato alla sua porta, il quale si sarebbe accontentato anche solo di qualche briciola. Essere ricco su questa terra non arricchisce per il Regno, che non si può comperare con i beni terreni. Le ricchezze servono per il Regno solo se diventano il mezzo con cui vivere la carità, così si arricchisce davanti a Dio (cfr. Lc 16,9-12); altrimenti Dio non deve più nulla al ricco.
La Bibbia non condanna mai la ricchezza, ma la sua sottrazione ai poveri e la non condivisione con i bisognosi. La ricchezza diventa un macigno sul collo, che porta ad un inevitabile condanna: Dio non deve più nulla, per quanto riguarda il Regno, a chi ha usato le ricchezze come «consolazione» solo per questa vita.

 

C'è anche una ricchezza spirituale che porta alla condanna: «Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi». È un vizio anche nella Chiesa: essere preoccupati del giudizio degli altri, elemosinare la loro approvazione. Si vuole evitare la sofferenza e il senso di fallimento che vengono dall'essere criticati, corretti, rimproverati. Sono relazioni solo di facciata. Mentre il Signore dice: «Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo» (Ap 3,19).

 

Alberto Vianello

 

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