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Il futuro è vestito di piccolezza

Briciole dalla mensa - 4° Domenica di Avvento (anno C) - 19 dicembre 2021

 

LETTURE

Mi 5,1-4   Sal 79   Eb 10,5-10   Lc 1,39-45

 

COMMENTO

 

«Tu, Betlemme, così piccola»: Dio ama e guarda la nostra piccolezza, mentre il grande «lo riconosce da lontano» (Sal 138,6). Michea scrive prima e dopo la presa di Samaria del 721, e vi vede la condanna storica di una religione diventata elitaria, dove c'è l'affermarsi di chi conta sulle proprie capacità, la propria intelligenza e quindi la possibilità di valere e di influire. Così il profeta spera, attende e annuncia un'epoca nella quale il Signore interverrà e non potrà far altro che compiere la sua opera in ciò che è piccolo, che non ha valore né capacità, ciò che rappresenta Betlemme, «il più piccolo fra i villaggi di Giuda». E questa è divenuta la grande profezia della venuta del Messia: Dio prenderà tanto sul serio Michea che farà nascere proprio a Betlemme «colui che si leverà e pascerà con la forza del Signore… Egli allora sarà grande». Da qui il dato più straordinario della nostra fede: Dio ama fare cose grandi in coloro che sono piccoli.
Oggi viviamo una certa Chiesa più materialista del materialismo: perché capace di misurare solo le capacità umane e a queste sole riconoscere del valore. Invece, la Scrittura ci guida alla fede in Dio che opera sempre là dove l'esperienza umana è piccola, senza possibilità di contare su di sé, sulle proprie capacità. Quindi il futuro delle esperienze di Chiesa non è dato da chi è forte e intelligente, ma da chi è piccolo e, proprio per questo, è aperto alla Grazia.
«Voi vi sentite piccoli e lo siete. Tanto più piccoli quanto più graziati. Quanto maggiore è la Grazia del Signore che vi raggiunge, che vi avvolge, tanto più profonda e più totale è la vostra piccolezza. Ma è lì che Dio agisce» (patriarca Marco Ce, omelia alle professioni monastiche del 1996). Da un'altra persona piccola, Maria, di un posto ancora più piccolo, Nazaret, verrà proclamato ciò che Dio opera nella nascita del suo Figlio: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato i poveri». Il futuro è vestito di piccolezza.

 

Maria, dopo l'annunciazione, va da Elisabetta. Non va tanto per aiutarla, perché se ne torna proprio nel momento di maggior bisogno, quello del parto. Forse va a vivere (più che semplicemente a vedere) il segno della potenza di Dio datole dall'angelo: il concepimento dell'anziana parente Elisabetta. Forse (azzardo una mia interpretazione) va anche a "mettere in collegamento" le due azioni miracolose di Dio: far concepire dall'anziana Elisabetta il precursore del Messia e generare nella vergine Maria il Figlio di Dio. È vero che Dio opera sempre con lo stesso stile: gratuitamente e per amore. Ma la sua opera si fa storia, quindi agisce nello spazio e nel tempo: si coniuga in atti, momenti, svolgimenti e progressi. Giovanni Battista è l'ultima e decisiva preparazione, Gesù ne è l'inaudito compimento, ma stanno in strettissima connessione. Tanto che il primissimo atto pubblico di Gesù sarà ricevere il battesimo da Giovanni e l'ultimo del Battista sarà inviare i suoi discepoli da Gesù e precederlo sulla strada del martirio. Ma è Maria, appunto, che per prima li collega fisicamente: tramite le madri, Giovanni e Gesù si incontrano nella figura e nella missione di ciascuno dei due. E questo è il contenuto dell'episodio.

 

Infatti, appena Elisabetta sente il saluto di Maria, «il bambino sussultò nel suo grembo». A partire già da questo momento, Giovanni inaugura la sua funzione di precursore, facendo conoscere a Elisabetta, alla luce dello Spirito Santo, il Signore nel ventre di Maria. È l'esultanza di fede dell'uomo dinanzi alla presenza di Dio. Da quell'esperienza nel ventre di sua madre, Giovanni vivrà tutta la sua vita nella marginalità umana e religiosa del deserto per dire della centralità solo di Dio. La sua danza di gioia prima ancora di nascere, diventerà esigente e urgente invito alla responsabilità per tutti: Dio viene, ma dobbiamo accoglierlo, dobbiamo fare dell'umanità il luogo di presenza e di opera del Signore, del suo amore.
Qui possiamo agganciarci al stupendo testo della seconda Lettura: Dio soltanto crede veramente nell'uomo, "a scapito" del religioso. «Non hai voluto sacrificio e offerta, un corpo (cioè un'umanità) mi hai preparato». Per la Lettera agli ebrei, Cristo ha applicato a se stesso questo testo. «Olocausti e sacrifici per il peccato» sono stati sostituiti (sono decaduti come atto religioso) dal fare la «volontà di Dio» con la propria vita umana. E la volontà di Dio è solo salvezza. Cristo ha fatto della sua umanità il luogo dove si compie la volontà di salvezza del Padre. La salvezza non è un colpo di bacchetta magica, non è nemmeno un imperscrutabile decreto dei cieli: è umanità, intessuta da Dio, che si fa luogo ove Dio stesso opera per il bene dell'uomo. Così ogni atto di bene è salvezza in atto, è futuro di nuovo umanità, che si concretizza già ora. A questo siamo chiamati a credere, vivendo la nostra piccolezza.

 

Alberto Vianello

 

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