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Gesù, un «forestiero» che ci fa tornare a casa

Briciole dalla mensa - 3° Domenica di Pasqua (anno A) - 23 aprile 2023

 

LETTURE

At 2,14.22-33   Sal 15   1Pt 1,17-21   Lc 24,13-35

 

COMMENTO

 

Da Gerusalemme ad Emmaus: dalla speranza alla delusione: «Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele…». I due discepoli avevano investito tutto in quel «profeta potente in opere e in parole». Invece si ritorna a casa, alla vita di prima. Sembra di leggere la storia di tante vite, anche oggi: hai sognato, hai investito tanto, hai lottato. È chiuso: torniamo a casa, tiriamo i remi in barca. Disillusioni.
Che discorsi! Luca annota il molto parlare: «Conversavano…discutevano…questi discorsi ». I verbi greci parlano di monologhi, di superficiali ricerche e di parole gettate contro. Mi chiedo quante delle nostre parole sono così. E a ragione Gesù potrebbe chiamare anche noi, come quei discepoli, «stolti e lenti di cuore». La superficialità e la lentezza chiudono gli occhi: «I loro occhi erano impediti a riconoscerlo». Per grazia, Gesù risorto, «da forestiero» si affianca al nostro cammino. E questo mistero che ci sorprende: quando non vediamo, Lui c'è, come c'era lungo quella strada buia ed isolata. Quando poi lo riconosciamo e vorremmo trattenerlo, catturarlo nei nostri pensieri, nelle nostre definizioni, nelle nostre «stanze», scompare.

 

Ma allora ci chiediamo: quali sono i momenti della invisibilità di Cristo che corrispondono paradossalmente alla sua presenza in mezzo a noi? Luca risponde indicando innanzitutto il momento delle Sacre Scritture. Qui sta la differenza. Le parole di Cleopa e del suo compagno di viaggio erano parole che non concludevano, erano cronaca. Senza la parola di Dio si fa cronaca. Con la parola di Dio si compiono operazioni di saggezza, di senso: è come se sulle vicende della vita si proiettasse la sapienza della Croce: là dove sembrava annullata la speranza è germogliata una cosa nuova. Allora si può ricostruire la speranza ascoltando il Signore Gesù che ci parla nelle Scritture e che spezza il pane con noi e, spezzandolo, ci invita a fare altrettanto: a essere, comunque, nonostante le smentite, un pane buono e spezzato.

 

La spontanea reazione dei due discepoli, dopo aver riconosciuto Gesù risorto dai morti, è la decisione di ritornare immediatamente a Gerusalemme, alla comunità che avevano abbandonato. Frutto della risurrezione è la comunione fraterna, perché l'amore più forte della morte lo viviamo innanzitutto nelle nostre relazioni quotidiane. Il reale luogo della fraternità impedisce la riduzione della fede a una dottrina, a una conoscenza, a una morale, che non sanno portare le ferite dell'uomo così come le porta il Risorto. In Lui ciò che ci unisce è sempre infinitamente di più di quello che umanamente ci distingue e ci divide. Per questo ci attira alla fraternità.

 

I due di Emmaus prendono il Risorto per uno «forestiero». Socialmente è una persona che non aveva uno status, era senza diritti, protezioni e garanzie: un rifiutato, come avviene oggi. Essi riflettono su di Lui il loro disadattamento: si sono resi stranieri alla promessa. Cleopa fa un lungo resoconto scettico, che esprime tutta la loro delusione, il dubbio, il vuoto che li ha presi: «Ciò che riguarda Gesù… noi speravamo… con tutto ciò sono passati tre giorni…». Gesù sarà sempre uno straniero senza permesso di soggiornano nelle nostre chiese se vi si vive la delusione e l’incomprensione di chi lo attende a premiare i buoni e castigare i cattivi.
Infatti i Vangeli ci narrano che Gesù si manifesta ai suoi discepoli proprio quando non si comportano da credenti: quando sono a porte chiuse, quando ritornano delusi a casa come i due di Emmaus, quando ritornano rassegnati al precedente lavoro della pesca. Per mostrare che Lui viene per tutti: «cattivi e buoni». Il Risorto non viene a stabilire ambiti religiosi della sua presenza. In fin dei conti la risurrezione dei morti è la dimensione più "laica" che si possa pensare, per quanto solo Dio possa farla vivere. Infatti la risurrezione "realizza" l'uomo in pienezza. Attraverso di essa, Dio dà spazio divino all'uomo, come aveva fatto nella creazione. La risurrezione è un atto di culto, di venerazione che Dio compie nei confronti dell'uomo, donandogli la sua stessa vita e la sua stessa eternità.

 

Ma quel Gesù trattato come uno «forestiero», perché apre un nuovo futuro, diventa anche un atto di accusa nei confronti del nostro mondo. Infatti la nostra società sta negando qualsiasi futuro, perché sta inquinando il mondo così da rovinarlo irreparabilmente. E sta vivendo solo di presente: immediato e superficiale. Come comprare una cosa on line e averla subito.
Il futuro comporta integrare nuove componenti, essere disponibili al cambiamento, mettere in discussione le proprie lobby di potere, entrare in dinamiche più complesse e meno governabili. Quel «forestiero» Gesù, che cerca futuro donando futuro, è meglio respingerlo, sul suo barcone, in Libia.

 

Alberto Vianello

 

 

Avrebbero potuto capire il mistero contenuto nella Scrittura? I Giudei, che la custodivano, ne furono incapaci, il loro pregiudizio impediva la comprensione del loro stesso patrimonio di fede, chiuso nel tempio terremotato all’ora nona e riparato in fretta.
E i due di Emmaus si presero il rimprovero: tardi di mente e di cuore. Ad essi (e a tanti dopo di loro) Gesù spiegò quel che di Lui e di quella sua Pasqua era scritto nella Legge e nei Profeti (Is 53,11: “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”…). Questo era da capire, che in Gesù si compiva il disegno del Padre: il reintegro dell’umanità nell’innocenza originaria (poiché nella creazione erano entrati il peccato e la morte) e la risurrezione come destino donato. I Vangeli ne riportano tre casi tra cui Lazzaro. Alla sorella Marta, Egli dichiarò (Gv 11,25): “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà…”. Questo avviene con la sua Pasqua e riguarda anche noi nonostante tutto, nonostante i cimiteri. Questo era il mistero, ora rivelato, della Scrittura per cui Paolo esultò: “Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15, 55).

 

Ma chi pensava alle profezie in quelle ore?! “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto!”, questo solo capiva Maria di Magdala.
Viene in mente il dialogo tra Abramo e il ricco epulone preoccupato per i fratelli. “… Se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi” (Lc 16,29-31). Vale anche per i discepoli. Sia prima che dopo la risurrezione, Gesù non aveva lasciato dubbi sul fatto che della Scrittura Egli era lo svolgimento e che in nulla (non uno iota) la contraddiceva. Perciò l’incredulità mista a stupore dei discepoli si sarebbe risolta considerando per bene quel che era scritto nei testi.

 

Quanto a noi può sorgere il dubbio di essere realmente oggetto di un’intenzione così antica, così fedele che va sotto il nome di Storia della salvezza.
C’è d’inciampo la moderna fatica di credere che da un paio di secoli pervade il pensiero occidentale rappresentando la religione come una menzogna, la Chiesa un potere che pretende di usurpare la libertà individuale, la famiglia non ne parliamo, Gesù come un mito, i cristiani ‘pecoroni nazareni’ e la fede come una banalità. L’ateismo genera individui fra loro sconnessi, per quanto followers. I like? La peggiore delle dipendenze.
La ‘morte di Dio’ affranca la coscienza dal senso del sacro: compare ‘il super uomo’, assoluto, sciolto dalla legge del bene e dal male. La filosofia di Nietzsche distruggendo la tradizione giudaico cristiana (non meno dell’illuminismo francese), ha aperto di fatto la strada al ‘messianismo’ ariano… ma non è il caso di stare qui.

 

Dove si crea un vuoto qualcosa si muove per occuparlo, è l’entropia. Divenuto norma a sé, l’ego è volontà di potenza: può ‘farsi’ come vuole e disvuole, maschio e/o femmina, sbugiardando anche la natura. Necessitato (d)all’affermazione di sé, conosce solo la competizione, la diffidenza, il conflitto. La pace è impossibile a questo mondo. In realtà in questo non c’è nulla di nuovo, ma è detto in parole nuove: porsi al di sopra del bene e del male è il peccato d’origine.
Tuttavia da questa modernità non si può prescindere, forse se ne può uscire con qualche utilità. Messo da parte il pregiudizio di ateismo, la fede non è più un automatismo, una suggestione ma una scelta, frutto di convinzione, di ricerca, studio, coerenza. Sarà anche per questo che Gesù richiama i suoi alla conoscenza della Scrittura: li va preparando, tra poco cesseranno le apparizioni, dovranno camminare con le loro gambe pur sostenuti dal Paraclito. Quattro cose resteranno: la Parola (il Verbo), il Pane spezzato, la Comunità suscitata dai testimoni, lo Spirito.
Valgono soprattutto per noi: i segni sono scemati e la fede poggerà sulla corrispondenza personale ai quattro punti.
“Non sono un fantasma” e si invitava a cena o si lasciava invitare. Mangiare insieme è un gesto di vita comune che spegne le incertezze. Si era fatto compagno di due che tornavano a casa tristi. Uno si chiamava Cleopa. Cosa impedisce che io dia il mio nome all’altro?

 

Valerio Febei e Rita

 

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