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«È nato a voi»

Briciole dalla mensa - Natale del Signore (Messa della notte) - 25 dicembre 2022

 

LETTURE

Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

 

COMMENTO

 

Per quale motivo Dio, per salvarci, aveva la necessità di farsi uomo come noi? Riesco a darmene una ragione attraverso una piccola fiaba. È come un grande e ricco re, che voleva sposare una ragazza povera e di bassa condizione. Per non umiliarla in alcun modo, decise di spogliarsi di tutte le sue prerogative regali ed essere, così, povero come lei, diventando servo e coronando, in questo modo, il suo progetto d'amore.
«È nato a voi un Salvatore», annunciano gli angeli ai pastori. Certo, Dio viene a compiere ciò di cui il mondo ha più essenzialmente bisogno: la salvezza, cioè la vittoria del bene e la sconfitta del male. Per questo è «un Salvatore». Ma l'accento cade su quel «è nato a voi»: annuncia la comunione d'amore del Re che, appunto, si fa povero e servo come noi.
Un Dio che avesse fatto solo il Dio ci avrebbe incantato, e noi saremmo diventati un coro ossequiante.  La salvezza sarebbe arrivata come un "decreto governativo", e tutti allora ad onorare quel Dio tanto efficace quanto lontano. Mentre quel «a voi» è un dativo di favore che esprime tutto il "vantaggio" che ne viene: Egli non trattiene nulla per sé e si fa tutto per noi. E allora non c'è nulla di più pieno di quel «a voi» che è l'essere «uno di voi».
Giovanni dice, nella sua prima Lettera: «Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo. E noi abbiamo conosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,14.16). È un Salvatore che innamora, che fa credere all'amore, perché «è nato a noi», come uno di noi. Credere l'amore è il messaggio degli angeli ai pastori.

 

I dati storici ci dicono che Cesare Augusto non ha indetto mai un censimento unico per tutto l'impero. Ha fatto solo i censimenti di alcune province. In ogni modo, la documentazione ci testimonia che la registrazione delle persone avveniva nel luogo di domicilio, non di nascita. Quindi Giuseppe non doveva andare fino a Betlemme a farsi registrare. Evidentemente Luca piega gli avvenimenti storici ai suoi intenti teologici. Sullo sfondo dell'editto imperiale per «tutta la terra», l'annuncio degli angeli della nascita del «Salvatore» e del «Signore» acquista tutto il suo peso. La salvezza di Dio avviene nella storia. Viene così smantellata la "teologia politica" dell'imperatore, manifestata dalla venerazione religiosa che gli veniva attribuita.
In quali cose oggi si confida per la «salvezza»? Le armi per difendersi, le frontiere per tenere fuori poveri, i privilegi del nostro benessere ai quali non vogliamo rinunciare (pare che nessuno segua l'invito ad abbassare di qualche grado il riscaldamento in casa), una politica dei favori ai ricchi, l'andare all’outlet, il rifugio nel telefonino per evitare le relazioni con gli altri… Da questo Natale vogliamo tornare a "sognare" quel futuro che ha la certezza in Dio, Salvatore fatto uomo «a noi»: una città, un vivere fra le persone, che ponga al centro l'uomo, una società umana, fatta di relazioni buone, che si alimenta di cose semplici ma belle.

 

Dunque Luca "piega" la storia per porla al provvidenziale servizio della storia della salvezza: il censimento costringe Giuseppe e Maria a recarsi a Betlemme, la città di Davide, quindi del re, del Messia. È lì che vi nasce Gesù, generato dallo Spirito, ma del quale Giuseppe, discendente di Davide, assume la paternità legale. Dunque il bambino che nasce si inserisce pienamente nelle promesse della Parola e dell'attesa del popolo: è il Messia che deve venire per la salvezza.
Ma essere Messia ha anche un altro valore: è il rappresentante di tutto il popolo. È una figura corporativa: esprime l'unità di tutti coloro che appartengono a tale popolo. Tutti e insieme. È Lui che viene a costituire il vero e unico popolo del Signore, e, in Lui, tutti siamo popolo.

 

«La gloria del Signore li avvolse di luce». La gloria di Dio non avvolge la mangiatoia, ma l'angelo e il suo annuncio. Ciò che irradia luce non è la storia, ma la parola di Dio. Solo la Parola può rivelare ciò che Dio compie. Tale Parola raggiunge gli ignari pastori, così vengono avvolti da tale luce. Sono essi che la portano, sono essi i depositari della rivelazione, che permette di riconoscere in «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» il «Salvatore, che è il Cristo Signore». La salvezza inizia in tale ordinario e si compie in ciò che viene condannato (la croce): perché nessun uomo se ne senta escluso. Con il suo essere niente, essere un piccolo di uomo di una semplice e marginale famiglia di un povero ambiente, il Figlio di Dio che nasce rivoluziona i criteri umani di valore, perché ognuno possa sapere di valere, dentro le cose di ogni giorno, anche con la propria stanchezza, segni di quel segno: «Troverete un bambino adagiato in una mangiatoia».
Di recente ho letto una poesia che, se non ho capito male, non ha niente a che fare con la fede e con il Natale ma, per me, quest'anno essa dice veramente della nascita di Gesù, Figlio di Dio. «Eppure resta che qualcosa è accaduto forse un niente che è tutto» (E. Montale).

Buon Natale.

 

Alberto Vianello

 

 

 


Ci siamo. I profeti avevano previsto un compimento futuro, intuendo l’insufficienza del sistema ‘Legge’. C’era un di più da venire, un di più di salvezza, di grazia, di pace di cui gli uomini non erano, non sono capaci (‘mai come oggi’, dice papa Francesco). Un di più di bene che non trova parole per essere detto. Ed è strano che spesso ci si rinunci prima di provarci.
Si tratta di chiedere, di attendere. Siamo malati di sufficienza e diamo per negato ciò che non sappiamo rappresentarci. ‘È un falso problema’. Disse a sé stessa la volpe: l’uva non è ancora matura. Giovanni il precursore ci ha spronati. ‘Razza di vipere, cambiate la testa, comportatevi da convertiti!’. La chiave è l’umiltà. Siamo disposti, da radical chic, a ragionarci su, a spiegarcene la necessità, a dirne bene, ‘si tratta di buone maniere’… ma sull’umiliazione no, che c’entra? Come si permette quello?

 

Un tal prete così ci incomodava: “Se vedi il tuo fratello far cosa che non dovrebbe, chiedi perdono tu al posto suo”. Di altri santi si racconta che quando venivano incolpati senza ragione non si giustificavano affatto lasciando ricadere su di sé le colpe altrui. ‘Eh, ma quelli sono santi!’. Ma sono belli lo stesso! Gesù lo dirà chiaramente: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25).
Dico a me stesso: caro mio, per accogliere con fede il mistero dell’Incarnazione (a Messa la Chiesa suggerisce di chinare la testa, non a caso) ci vuole la piccolezza. Per ‘sentire’ gioia per il Natale di quel bimbo, il guadagno di amore che da Lui proviene, occorre che tu ti faccia piccolo, volare basso. Allo stesso modo, per ‘sentire’ che quel pane è il suo corpo dato a te, per te occorre che ti faccia umile. Avere il ‘sentore’ di Dio è una grazia, certo, ma devi aggiornare il decoder (a proposito, la finiranno?), alzarti la mattina per entrare in una nuova realtà. Quel prete diceva: “Oggi Gesù io e te sempre insieme”.

 

È sempre un cammino di iniziazione, una prassi. “Un cuore affranto ed umiliato, un cuore buono e semplice, tu, o Dio, non disprezzi” (Sal 50). Del resto Lui, Gesù, non si è fatto piccolo? Non si è umiliato per entrare in quel pane? Paolo esulta dicendo: “Egli (da Dio che era)…svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo… umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte”, e che morte! (Fil 2,6ss).
Non c’è verso: il problema della fede anche oggi (no, oggi di più per via delle tante filosofie che inseguono l’individualismo epicureo in salsa nichilista) è l’umiltà. Siamo nulla ma non vogliamo starci. Eppure non c’è grandezza che non nasca da lì. “Fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. E dacché con Giovanni si gioca a carte scoperte “il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,11ss). Quale violenza?
C’è un altro modo per amare la moglie, i figli e i vicini e i lontani, gli importuni? C’è un altro modo per lasciarsi amare? ‘Ma io, loro non…’. Appunto: santa umiliazione. Spes contra spem: santa violenza. Piegare il capo, l’orgoglio, l’impazienza: santa violenza. Che poi, non è che a presumere di sé si riesca meglio!

 

Infine, la condizione dei pastori di allora, ma oggi dei poveri, dei senza casa, dei migranti… non è frutto di un’altra violenza? Impuri, contaminanti, sfigati, umiliati a forza, soprattutto a loro si rivolge l’annuncio: il segno è un bambino, il principe di una pace che non avrà fine (…) “sul suo regno, che egli viene a consolidare con il diritto e la giustizia”.
Tanto più oggi quel Bambino va creduto, atteso, desiderato, riamato, Lui soltanto, Lui per primo. Del resto il mondo è nelle mani di arroganti, di pazzi e di criminali: può mai venirne altro che guerra?

Buon Natale, Signore che vieni, sola e vera speranza del mondo.

 

Valerio Febei e Rita

 

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