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Dio non sa pensarsi senza di noi

Briciole dalla mensa - 5° Domenica di Pasqua (anno A) - 7 maggio 2023

 

LETTURE

At 6,1-7   Sal 32   1Pt 2,4-9   Gv 14,1-12

 

COMMENTO

 

Di fronte a un distacco si prova dolore per la persona che se ne va, ma anche smarrimento e ansia per il futuro proprio e della propria comunità che era legata con la vita a quella presenza che ora non c'è più. La partenza di Gesù è crisi per la comunità dei suoi discepoli. Nel discorso dell’ultima cena, Gesù fa riferimento al loro turbamento, che possiamo pensare non riguardasse soltanto lo sconvolgimento dei loro sentimenti, ma anche il blocco della loro volontà e della loro capacità di prendere decisioni, il venir meno della comprensione e del discernimento degli eventi, a causa di questo distacco.
Allora Gesù parla loro per trasformare il timore del nuovo e la paura dell'abbandono, che essi vivono, nel coraggio di donarsi, appoggiandosi sul Signore. Infatti, dicendo che va a preparare un posto per loro, Gesù interpreta ai suoi discepoli la sua partenza non come la fine della relazione con loro, ma la possibilità di iniziare una fase nuova e diversa di relazione. In effetti, la primissima comunità cristiana dei discepoli di Gesù ha scoperto la nuova relazione con il suo Signore, attraverso il dono dello Spirito Santo, uscendo e incontrando la gente lungo le strade, soprattutto nelle strade al di là dei confini. Anche oggi, le comunità cristiane possono essere vive e generative solo se continuano a farsi convertire dalla gente che incontrano ogni giorno, se sono capaci di cambiare idea anche quando queste conversioni sembrano portarle lontane dalle parole dei primi tempi: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

 

Con le sue parole, Gesù vuole rassicurare il nostro cuore, spesso preoccupato e impaurito dal futuro: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me». Dunque è una questione di fede. Certamente il futuro ci si presenta come un'incognita. Ma, in tale futuro, Gesù dice che c'è un luogo dove dimorare: «Vado a prepararvi un posto». Da qui la reazione umana di curiosità sul luogo, sulla dimora: «Non sappiamo dove vai».
Il Vangelo di Giovanni era iniziato con la domanda dei primi discepoli a Gesù: «Dove abiti?» Ma stando con Lui hanno poi capito che quel loro Maestro aveva anche un'altra dimora. Perché non sempre dove abita il cuore coincide con dove uno abita fisicamente: e il cuore è più importante. Certo Gesù abitava in mezzo ai suoi con il cuore: «Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi». Ma, stando con Lui, i discepoli intuivano che c'era un «altrove». Una dimora santa, di cui Gesù aveva nostalgia: come quella che preghiamo in certi salmi. Era la nostalgia dell'ultima dimora, abitare presso Dio, non un abitare noioso, come tante definizioni e immagini ecclesiastiche sembrano accreditare.
Ma la notizia buona che ora i discepoli ascoltano con emozione è che non solo noi abbiamo nostalgia di Dio della sua dimora, ma che Dio ha nostalgia di noi e ci vuole con sé nella sua dimora. Un Dio che non sa pensarsi senza di noi: «Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E così il «dove è Lui» diventa il «dove siamo noi».

 

Gesù dice anche che noi conosciamo la via. Conoscere la via è importante. Altrimenti i tentativi umani sono destinati a fallire. «Io sono la via, la verità e la vita». Alle parole di Gesù, i discepoli avevano pensato a un suo spostamento da un luogo ad un altro, ma ora capiscono che Gesù si propone non solo come via, ma anche come meta, come dimora. Allora non si tratta di uno spostamento di luogo, esteriore, si tratta di entrare sempre più in Lui o, meglio, lasciarsi abitare sempre più da Lui, perché Lui è la verità e la vita.
Però attenzione a non inserire il termine «verità» dentro le nostre solite categorie razionali. Forse meglio intendere «verità» come la rivelazione, come svelamento. È qualcosa che in noi avviene poco a poco: Gesù è lo svelamento del volto del Padre e del volto dell'uomo.
Anche riguardo alla «via» il discorso può diventare astratto, ma il brano degli Atti degli apostoli esemplifica che cosa significa lasciarsi abitare dalla vita di Gesù: significa accorgersi che se i poveri, come le vedove, sono trascurati nella comunità lì non c'è vita di Dio.

 

«Conoscere» Gesù implica riconoscere come nella sua umanità si svela il volto del Padre: «Chi ha visto me, ha visto il Padre». Gesù ci invita a contemplare la straordinaria bellezza della relazione tra il Padre e il Figlio. Ognuno dei due è accoglienza e abitazione dell'altro: «Io sono nel Padre e il Padre è in me». Il Figlio, poi, «dice» ciò che il Padre «fa». E questo è precisamente l'oggetto della fede a cui siamo chiamati. Siamo presi dentro tale relazione d'amore divino. Ma l'insistenza sulle opere - che sono quelle del Padre, e che il Figlio opera, e che poi anche il credente è chiamato a operare - fino a farne di più grande di queste, ci porta ad accogliere un compito bello e profetico nel mondo: vivere e annunciare l'opera di Dio.

 

Alberto Vianello

 

 

 

 

Le parole di Gesù al termine della cena, e dopo che Giuda è entrato nella notte, possono ancora rispondere alla domanda di identità che porta in sé chi sa di non bastare a sé stesso. Non mancano le perplessità di Tommaso e il pragmatismo di Filippo che danno realismo alla narrazione del teologo Giovanni.

 

“Ed io che sono?”, si chiede Leopardi nel Canto notturno. Il tema dell’essere si avverte più distintamente quando si è soli, nella stupefazione della sera, di fronte alla magia notturna dell'universo… “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?”, (Sal 8). In tal senso il tema dell'identità appare come un’esigenza filosofica o meglio spirituale piuttosto che psicologica, ricerca del ‘sé’. “Cos’è l’uomo?”. Il cristianesimo ha una definizione molto precisa ed alta trattandosi di conformazione a Cristo. L'identità vera, nascosta con Cristo in Dio, non corrisponde certamente all’ego che anzi ci è di scandalo, ci imprigiona al già detto delle esperienze passate e attuali.
L'assenza (metafisica) di essere in una qualunque forma è l'inferno nel quale i personaggi di Pirandello si contorcono come larve umane, maschere nude alla ricerca disperata di un’identità purchessia. E tuttavia sempre inautentica. Si tratta evidentemente di una rappresentazione iperbolica, esasperata dell’uomo moderno, ma mica tanto. La vita in superficie costringe a curare l’immagine, coprendo le parti socialmente meno performanti ed evidenziando le più amabili, si spera. Un prete che andava a pescare giovani (diceva: essi non vengono, andiamo noi dove sono loro) nelle discoteche si imbatté in una ragazza ricoperta di tatuaggi, di chiodi e catenelle. “Perché ti conci in questo modo?”. Lei gli rispose: “Almeno così qualcuno mi guarda, se no mi sembra che non esisto!”. Che pianto nel cuore! L’identità stabilita per convenzioni e anticonvenzioni, disperatamente. “Ed io che sono?”. Scorrono altre immagini della Scrittura, altre parole.

 

“Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio (Dt 10). Osea ebbe figli di prostituzione da Gomer e li chiamò “Non amata” e “Non mio popolo”. Ezechiele 16,8: “Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l'età dell'amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia”. Altre culture, altri popoli danno nomi derivati dalla natura, o nomi beneauguranti…
Con i Vangeli viene annunciato l’inaudito: la vocazione dell'uomo, il destino (cioè là dove egli 'sta') è assumere l'identità di Cristo. Al v. 20 di questo capitolo è scritto: “In quel giorno 
voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi”. A questo mira Giovanni che del resto più volte (sarebbero lunghe le citazioni) riporta l’affermazione di Gesù circa la sua coerenza col Padre, Lui che da sé non può far nulla. Lo stesso dice a Filippo che andava per le spicce: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. In sostanza noi tutti abbiamo un’identità psichica che non vuol dire molto non avendo in noi la vita dello Spirito. La acquistano nella misura della loro conformazione a Gesù. Nella stessa misura essi, gli uomini, diventano capaci di compiere le opere di Gesù. Così sta scritto. Credere vuol dire essere uno con Lui.
Il commento più famoso di questa identificazione è quello di Paolo che scrive In Gal 2,20: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

 

Valerio Febei e Rita

 

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