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Dio non ci chiede l'eccezionale

Briciole dalla mensa - 19° Domenica T.O. (anno A) - 13 agosto 2023

 

LETTURE

1Re 19,9.11-13   Sal 84   Rm 9,1-5   Mt 14,22-33

 

COMMENTO

Gesù «costringe» i discepoli a partire sulla barca: inizia così il Vangelo di questa domenica. Sembra quasi che ci fosse, da parte loro, come una resistenza, e Gesù li obblighi con forza ad allontanarsi. Gesù aveva appena compiuto la prima moltiplicazione dei pani: c'è da pensare che si fosse creato un clima di esaltazione fra la gente che era presente. E, come reazione, Lui impone ai suoi di partire, congeda la folla e si ritira da solo sul monte a pregare. È la decisa presa di distanza da qualsiasi ricerca di successo, di ovazione, di celebrazione. È lo stile caratteristico di Gesù. Fin dall'inizio del suo ministero (cfr. Mc 1,32-39), Egli si allontana dalla gente - che prima aveva accolto nel suo bisogno di guarigione e di parola - perché totalmente alieno al successo, al guadagno, al risultato, al riconoscimento. Gesù non ha fretta quando c'è la necessità di capire, di soccorrere; invece ha sempre fretta quando si crea una situazione di un'esaltazione, di un trionfo. Da tale ovazione porta via i suoi discepoli.

 

Questo per insegnare alla Chiesa che il suo vero posto non sta nell'autoesaltazione, ma sta - come per i discepoli - sulla barca, con tutta l'incertezza della traversata. Il Signore Gesù è con loro, tanto che poi li raggiunge camminando sulle acque, ma questo non li esime dalle prove, dalle contrarietà e dalle sofferenze comunitarie: altro che i successi! L'acqua, per gli ebrei, è sempre una situazione di incertezza e di debolezza: ma è molto meno "pericolosa" nella solida terra dove la gente ti ammira, ti loda, ti esalta.
Poi Matteo dice che «la barca era agitata dalle onde»: è la Chiesa che vive le sofferenze comunitarie al suo interno. Non solo gli scandali, ma la fatica a fare veramente famiglia, in tutte le sue dimensioni.
«Infatti il vento era contrario»: da una parte sono le fatiche del vivere reale di ogni uomo, ma, dall'altra, sono anche le ostilità e le contrarietà che vengono dalle opposizioni del male. La vita cristiana non è esente da fatiche, sofferenze e contrarietà. Se si pensa che il Signore debba essere un riparo contro ogni negatività si fa di Lui davvero un fantasma. La vita cristiana è una lotta, da combattere con le armi della grazia (cfr. Ef 6,10-18).

 

Gesù viene incontro ai suoi discepoli minacciati dal mare. Può ricordare il cammino dell'esodo e l'attraversamento del mare. Lì Dio si rivela a Israele come il vero Dio, e qui Gesù si avvicina loro dicendo il nome divino: «Io sono», colui che è presente e agisce nella storia e fra gli avvenimenti. Anche a Elia Dio si rivela come Dio: non nel vento, non è nel terremoto, non è nel fuoco, ma nel mormorio di un silenzio. Elia scopre Dio non nei segni grandi, clamorosi, come quelli che lui aveva invocato, ma in un quasi silenzio. Non il Dio delle ovazione, ma il Dio che sembra tacere, proprio quando imperversano le acque e il vento.

 

Allora può avvenire veramente l'affidamento al Signore nella preghiera: «Signore, salvami!». Attraverso tale affidamento, Pietro capisce una realtà fondamentale della fede che non aveva capito e che anche noi dobbiamo imparare. Pietro chiede a Gesù di camminare sulle acque, come Lui, il Signore, sta camminando. Pensa che la fede consista nell'essere tesi a fare come ha fatto Gesù, a compiere i suoi gesti, ad avere nel cuore le stesse parole da dire. La fede equivale, così, a tendere a voler «imitare» Gesù Cristo. Ma Gesù, fin dalla chiamata dei primi discepoli - fra i quali c'era anche Pietro - non invita mai ad imitarlo, piuttosto a seguirlo. Sin dall’AT, il credente è chiamato a seguire con umiltà il suo Signore: la «sequela» è mettersi con umiltà dietro a Gesù, senza avere la pretesa di fare come fa Lui (A. Mello). Il voler imitarlo si trasforma in arroganza di fare senza di Lui. Dunque la fede di Pietro la vediamo non nel credere di poter camminare come Gesù sulle acque, piuttosto sta nel suo grido di aiuto: «Signore, salvami!». Quando naufragano le realtà alle quali ci siamo attaccati come sicurezze (denaro, successo, relazioni, realizzazioni, concezionni di fede e di vita) allora ci attacchiamo veramente al Signore, con la supplica del suo aiuto.

 

Seguire Gesù significa, allora, mettersi umilmente in cammino dietro di Lui: farsi guidare dalla sua parola, farsi custodire dal suo amore, farsi accompagnare dai fratelli nella fede.
C'è però un’unica eccezione a non essere chiamati ad imitarlo. Quando Gesù dice addirittura che bisogna imitare il Padre celeste: nell'amore gratuito, quello verso anche i nemici. Imitarlo proprio nella cosa più difficile per gli uomini. Forse è un orizzonte, ci arriveremo nei tempi finali e definitivi. Ma è commovente pensare quanto Gesù creda nell'uomo, anche se non è illuso e ne conosce il male. Ma lo spera e lo attende sempre, avvolgendolo di tale amore.

 

Alberto Vianello

 

 

 

Da che mondo è mondo gli uomini non camminano sulle acque e non volano. Il racconto dei prodigi di Gesù, questo in particolare, per chi non era presente, cioè noi postmoderni, è roba da non credere. Chi pratica la religione non va più spedito di altri perché in nulla ci distinguiamo da quelli che non praticano. Certi fatti sono comunque ‘scandalo’ alla nostra rappresentazione del mondo, della realtà: sulle acque neanche i pesci camminano.
La differenza sta nell’assenso dato a quelli che c’erano, i dodici. A Pietro, che osa più degli altri e ‘spacca. “Signore, se sei tu…”: Signore, ma non sono sicuro. E se non fossi tu? Sarebbe affondato subito. Di che si fida Pietro? Della sua certezza? No. Se sei tu è un’ipotesi. E un desiderio, una speranza che sia davvero il Signore. Gli basta, osa. Osiamo?

 

Il guaio per noi è assumere la realtà secondo la rappresentazione che ne abbiamo, riportare ciò che è possibile alla nostra possibilità. In fondo il discrimine tra la fede nella realtà che Gesù vive e la realtà che noi viviamo, definita dalle leggi della fisica ‘attuale’, è in chi decide come stanno le cose. Si può dire lo stesso delle dimostrazioni ai chierici del tempo da parte di Galilei circa il moto del sole e della terra: non credere ai propri occhi perché “Ipse dixit”, Aristotele non si discute. La filosofia aristotelica è stata la nervatura della teologia cattolica post tridentina.
‘Guarda, dicono i discepoli che erano in barca e arrancavano su un mare nero ancora sul far del mattino, quel che vedemmo non era un fantasma, era proprio Lui e neppure noi siamo per voi dei fantasmi!’. Pietro, il più audace, intuì il gran salto: provò a prendere parte nella realtà di Cristo come l’altra volta sul Tabor: “È bello per noi stare qui, facciamo tre tende”. E Gesù lo approva per questo, lo fa capo e lo tempera.

 

Ma sul momento, come uno di noi, l’ansia, l’emozione, il sistema linfatico, lo stomaco che fluttua, il ritorno del dubbio mentre era così compromesso sulle onde… cedette insomma e perse ‘la speranza dell’altezza’ come Dante di fronte alle tre fiere, e affogando nella viltà ricorse al grido disperato. “Signore, salvami!”. In quel momento non vale più il gioco delle ipotesi: se sei tu salvami. “Salvami”, questo è il Pietro nella sua esigenza drammatica e vera. Come noi.

 

Questo mondo, la realtà in cui vivo è una prigione, Signore. Io so che non è tutto, non è l’essenziale, non ha il senso né il fine, le chiacchiere sono soverchianti, ma mi ritrovo e non ne esco, mi tengo a galla ma per poco, provo a venire ma Tu sei ancora lontano, il mare cresce, il vento rinforza, il corpo soggiace ad una legge nemica e si ammala, l’animo è vile e si avvilisce... Molte sono le occasioni per dire: Signore, salvami!
Magari sentirsi rispondere: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Quel rimprovero è tutta la mia gioia, il miracolo che mi ripaga da ogni pusillanimità e vergogna, non importano più. Anzi, meglio se mi hanno procurato il tuo rimprovero.
Somiglia il dubbio di Pietro al gesto di chi ha posto le mani all’aratro e si volge indietro (cfr. Lc 9,62), alla moglie di Lot (cfr. Gen 19,26) che fu curiosa, si voltò a guardare il disastro di Sodoma e fu fissata per sempre in una statua di sale, a noi che viviamo nell’indecisione.

Ma i discepoli che passano da uno spavento ad uno smarrimento (Mc 4,41):“Chi è mai costui al quale il vento e il mare obbediscono?”, sono gente concreta, gente come noi, che ci raccontano quel che gli è capitato e testimoniano fatti dimostrativi della realtà di Gesù che è ben oltre. Egli ‘costrinse’ i suoi a prendere il mare avanti notte e a sbarcare su quella benedetta ‘altra riva’ (che sarà mai?), cosa che non era nei loro sogni e li raggiunse quando erano ben provati dagli ostacoli che si opponevano al loro andare. Ostacoli e prove sono il momento giusto? Si direbbe di sì.
Allora potremmo far nostra l’esperienza che li ha vinti, vinti anche noi ed affermare con essi: “Tu sei davvero il Figlio di Dio!”.

 

Valerio Febei e Rita

 

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