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Dio è davvero il tesoro dell’uomo?

Briciole dalla mensa - 17° Domenica T.O. (anno A) - 26 luglio 2020

 

LETTURE

1Re 3,5.7-12   Sal 118   Rm 8,28-30   Mt 13,44-52

 

COMMENTO

 

Dio e il suo Regno (cioè il suo disegno e la sua opera di salvezza a favore dell'uomo) sono come un tesoro o una perla preziosa. Il guaio è che il nostro mondo non li considera come tali: Dio non è la realtà più bella e più importante, non è il senso della vita attuale e il fine di quella futura. Mi perseguita una amara constatazione: per l'uomo occidentale, Dio non è più necessario; al massimo sta nella dimensione dell'opzionale, del facoltativo, del provvisorio. Ma un tesoro o è effettivamente un tesoro, oppure non è nulla.
Si auspica, giustamente, che l'uomo torni a Dio e riscopra la fede, magari grazie a un ripensamento sul senso della vita provocato dalla crisi che abbiamo vissuto e che viviamo. Ma volgendo lo sguardo attorno, non riesco purtroppo a vedere questo interesse, e non credo nemmeno che ci sia la strategia giusta per suscitarlo, come si fa con i prodotti da promuovere con la pubblicità. La fede è per tutti, non per una nicchia, ma non si può puntare a una riconversione di massa, ma ad essere cristiani umilmente in cammino con gli altri uomini, condividendo fatiche e dolori, gioie e speranze. Agli altri si può solo testimoniare che quel tesoro lo si porta nel cuore e il suo desiderio anima la vita di tutti i giorni, nella convinzione - e questa è la fede - che Dio è l'unico che non delude mai.

 

Proviamo allora a vedere come avere quel tesoro nel cuore. Gesù racconta, prima, di un uomo che trova - evidentemente per caso - un tesoro in un campo, e poi parla di un mercante - invece in cerca proprio di perle preziose - che ne trova una: Dio sta nella dimensione della scoperta (il mercante), ma anche della sorpresa (l'uomo del campo). Dio non può essere solo l'esito delle nostre ricerche, perché ci stupisce con il suo essere Dono. Ma Dio ha bisogno di essere anche desiderato e, per questo, cercato.
Ciò che caratterizza i due uomini è la gioia della scoperta: è per quella gioia che essi vanno a vendere tutti i propri averi per comprare l'uno il campo, l'altro la perla. La vita cristiana non è degli uomini rinuncianti e sacrificati. Al contrario, è di chi è esultante perché ha trovato, inaspettatamente o finalmente, la vera ricchezza per la sua vita. Gli uomini di oggi mi sembrano simili ai bambini piccoli davanti a tanti nuovi giocattoli: afferrano uno, poi un altro, poi lasciano con la mano uno per prenderne un altro ancora, e avanti così. Si vuole afferrare tutto, per questo si prende e si molla ogni cosa. Una persona adulta, invece, sa darsi una scala di valori: non per fare gerarchie, ma per poter apprezzare ogni cosa secondo il suo reale «peso». E, effettivamente, Dio «pesa» (è il significato letterale del termine kabod, «gloria») più di ogni altra cosa.

Il «vendere tutto» della parabola corrisponde proprio a questo primato da dare a Dio: non lo si compra ad alcun prezzo, ma lo si gusta come pienezza che rende ricche tutte le cose. Se da una parte c'è l'insipienza di chi crede di non aver bisogno di un Dio, dall'altra c'è la depressione di chi non si sente mai all'altezza di un rapporto con Lui. Eppure la parabola ci narra che noi possiamo «comprare» quel tesoro che è il suo Regno. Dobbiamo avere il coraggio e la franchezza di credere che la nostra vita sia in qualche modo commisurata a quella di Dio, anche se siamo poveri peccatori. Il Dio della Bibbia non è assolutamente incommensurabile e inarrivabile: è un tesoro, ricchissimo e a mia disposizione. Qui sì dovremmo essere come bambini: quando vedono una cosa che li attira per la sua bellezza subito cercano di afferrarla e farla propria, senza chiedersi se è per loro o è adatta a loro. Ma Dio è per noi e «adatto» a noi.

 

La parabola della rete aggiunge un elemento: la necessità del discernimento, come il pescatore che separa i pesci buoni dagli altri. Ma prima va fatta la pesca: se il pescatore volesse essere sicuro di prendere solo pesci buoni non getterebbe mai la rete. La vita è fatta anche di rischi, di scelte prese dentro una certa incertezza. Sono le scelte che, spesso, fanno fare maggiori passi avanti nella vita. Sarà poi il corso delle cose che porterà un discernimento tra ciò che è buono e ciò che è da tralasciare. Tante volte bisogna prima provare, per avere chiarezza sul da fare. Chi vuole basarsi solo sulle sicurezze e sulle cose certe, rimane bloccato.
Ma, una volta fatta l'esperienza, allora sì bisogna compiere un certo discernimento: non tutto è buono - anche se ha fatto parte della propria esperienza - e quindi va tralasciato. Il cristiano deve saper sempre scegliere il bene, e non lasciar mai spazio al male, e alle sue sottili forme, come la superficialità e la banalità.

 

Alberto Vianello

 

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