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Difendere fino all’ultimo la casa di Dio in noi

Briciole dalla mensa - 32° Domenica T.O. (anno A) - 12 novembre 2017

 

LETTURE

Sap 6,12-16   Sal 62   1Ts 4,13-18   Mt 25,1-13

 

COMMENTO

Tra i libri sapienziali della Bibbia, quello della Sapienza è certamente il più interessante dal punto di vista dottrinale e il più vicino al N.T..
L’autore anonimo, che scrive in greco all’inizio del primo secolo a.C., pone il suo insegnamento sulle labbra del re Salomone, dando così autorevolezza al suo scritto, com’era in uso in quel tempo.

 

La sapienza è splendida e non sfiorisce.
A prima vista si potrebbe pensare ad una descrizione di qualche aspetto della divinità, ma tutto il contesto fa pensare piuttosto alla radiosa bellezza di una giovane donna, corteggiata e amata. Altri versetti confermano  la verità di questo confronto e lasciano intravedere nella Sapienza un’amica o una sposa: “E’ lei che ho amato e corteggiato fin dalla mia giovinezza; ho bramato di farla mia sposa, mi sono innamorato della sua bellezza” (Sap 8,2). Si ama la sapienza come si desidera e si ama la donna amata.

 

Si lascia trovare da quelli che la cercano.
Questo versetto mi ricorda molto il gioco a nascondino che facevamo da bambini: tutti ci si nascondeva, ma eravamo tutti là, pronti a balzare fuori. E chi cercava non si perdeva d’animo, perché sapeva di non essere rimasto da solo. Sì, il giusto ama la Sapienza, la desidera, parte alla sua ricerca “di buon mattino”, e la trova “seduta alla sua porta”. Per ricevere il dono inestimabile della Sapienza occorre essere mendicanti, o innamorati, o cercatori di perle preziose, o discepoli felici di frequentare il più possibile la casa del maestro. La Sapienza stessa “va in cerca di quelli che sono degni di lei”.
Ma non sembrano, i nostri, tempi nei quali riflettere sulla Sapienza sia considerato “intelligenza perfetta”, come afferma il testo biblico.
La Sapienza è come una sorgente nascosta. Scriveva Etty Hillesum: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e di sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”.
Disseppellire Dio nel cuore dell’uomo è “rintracciare il minuscolo essere umano, sepolto sotto la barbarie dell’insensatezza e dell’odio”. Etty scriveva queste parole ad Auschwitz, dove venne internata come ebrea. E dove morì il 30 novembre 1943. E’ da lì che scrive ancora: “Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio”. Cercare la Sapienza è attingere un senso nuovo alla vita anche dentro ai pozzi profondi della nostra miseria e desolazione. E non diventare apatici e insensibili dinanzi al dolore degli altri. E’ trovare in ognuno una ‘parte migliore’, una sorgente nel cuore, seppellita tra pietre e sabbia.

 

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo.
Non si deve pensare che il regno di Dio sia paragonabile a dieci ragazze ancora da sposare, ma piuttosto che il regno di Dio è come una festa di nozze alla quale occorre andare preparati, svegli e con tutto il necessario.
Le dieci ragazze sono amiche e compagne della sposa. Cinque di esse vengono definite stolte, prive di sapienza, e cinque sagge, giudiziose. A proposito di Sapienza, possiamo trovare qui un certo aggancio con la prima lettura di questa domenica.
Nel vocabolario di Matteo il saggio è colui che ha costruito la propria casa sulla roccia, perché ascolta le parole di Gesù e le mette in pratica; è anche il servo fedele che, obbedendo alle istruzioni ricevute, distribuisce il cibo a tutti coloro che sono nella casa. Il termine sta dunque ad indicare una certa intelligenza del mistero di Dio.
Analogamente, lo stolto non indica soltanto lo sciocco privo di intelligenza, ma anche l’empio che è abbastanza pazzo da opporsi alla legge di Dio e giunge fino a dire nel suo cuore: «Dio non c’è» (Sal 14,1). In Matteo il termine indica colui che ha costruito sulla sabbia, colui che ascolta la parola di Gesù senza metterla in pratica.
Nella parabola odierna, in che cosa consiste la stoltezza? Nel non aver fatto riserva di olio: “Non presero con sé l’olio”. Si sa che le piccole lucerne in terracotta richiedevano di essere incessantemente alimentate. Il Vangelo non mette sotto accusa solo una sbadataggine, una semplice dimenticanza, ma un atteggiamento spirituale. Anche nella comunità cristiana, invece che vivere responsabilmente il tempo dell’attesa per l’avvento dello sposo, per le nozze imminenti, si può cogliere solo l’ebbrezza di un momento, l’emozione che evapora in un istante, senza pensare a ciò che ci aspetta, senza costruire il futuro attraverso una buona riserva di olio nella lampada, senza tenere accesa la tenue fiammella della speranza.

 

Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
Nel contesto del discorso escatologico in cui Matteo inserisce la parabola, questo elemento assume un rilievo straordinario. E’ l’intera comunità dei discepoli, raffigurata nell’immagine delle dieci vergini, che viene sorpresa dal sonno perché delusa dalla troppo lunga attesa del ritorno di Gesù. Il sonno rappresenta la mancanza di fede e di vigilanza cristiana.

 

All’orizzonte si levò un grido: ”Ecco lo sposo! Andategli incontro!”.
Questo grido nella notte drammatizza la scena. Abitualmente l’arrivo dello sposo era segnalato dai canti e dalla musica del corteo che lo accompagnava. Lo si udiva in lontananza, si avvicinava progressivamente, senza alcuna sorpresa. Qui, invece, il grido sorprende tutti. Sembra che voglia alludere a qualcosa d’altro: forse al grido dell’angelo dell’Apocalisse che invita al grande festino di Dio, alla fine dei tempi? (Ap 19,17).
O anche all’avvento improvviso del Figlio dell’uomo, come ci avverte ancora Matteo: «Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24,27).

 

Arrivò lo sposo, e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
La parabola insegna che le vicende narrate in questa storia sono analoghe alle vicende del regno: Dio può arrivare all’ora che gli pare. La sua venuta sorprende sempre. Non è che Dio si compiaccia a sorprendere, ma è piuttosto l’uomo che talvolta prende gusto a dormire. Siamo anche noi una chiesa che dorme? A volte lo penso, e lo osservo pure. Dio ci avverte: siate sempre preparati: se arrivi in ritardo, ti trovi la porta chiusa in faccia!
Nel contesto attuale, cosa significa avere sapienza, prendere con sé olio in piccoli vasi, attendere vigilanti? Rispondo con le parole di Etty Hilesum: “L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio”.
Difendere fino all’ultimo la casa di Dio in noi: è l’unica cosa che conta.

 

Giorgio Scatto

 

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