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Compassione e gratuità

Briciole dalla mensa - 11° Domenica T.O. (anno A) - 18 giugno 2023

 

LETTURE

Es 19,2-6   Sal 99   Rm 5,6-11   Mt 9,36-10,8

 

COMMENTO

 

L’inizio e la conclusione del Vangelo di questa domenica esprimono il contesto, il clima della missione della Chiesa. Se non si inizia dalla compassione e non si termina nella gratuità, la missione ha poco a che fare con il Vangelo.
«Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore». Tutto inizia da qui: da guardare con infinita compassione la condizione umana debole. «Gesù vedendo le folle»: il vero amore che fa riconoscere e portare insieme il dolore degli altri nasce dal «vedere». Forse per questo tanti nostri discorsi, anche ecclesiastici, non sono abitati dalla compassione: perché non nascono da un vedere, sono scritti a tavolino, nel palazzo. Un conto è abitare nei palazzi, un conto è abitare con la gente, e guardarla: guardarla negli occhi, in faccia, ogni giorno. Abbiamo conosciuto vescovi che, nelle sere nelle quali non hanno impegni, escono dal loro palazzo e vanno a portare cibo e conforto ai barboni e ai senzatetto che dormono nelle strade della loro città.

 

E Gesù guarda «le folle»: il plurale dice un orizzonte ampio, non i tuoi, il tuo gruppo, la tua Chiesa, la tua appartenenza. Bisogna avere lo sguardo di Cristo che va alle folle e riconoscere i segni della stanchezza e dell'abbattimento. Il termine greco sembra fare riferimento più a una stanchezza «dentro» che a una stanchezza «fuori», esteriore. La stanchezza di dover ascoltare sempre parole che non fanno vivere la vita, come invece erano quelle di Gesù. La stanchezza di essere rimproverati, ammoniti, giudicati. La stanchezza di forme religiose ormai lontane dalla sensibilità del quotidiano, e che colpevolizzato chi si sente estraneo ad esse: mentre sono quelle forme che sono lontane dall'uomo.

 

E poi, Gesù riconosce che sono «pecore che non hanno pastore»: sono senza riferimento. Perché una persona ha bisogno di trovare presenze alla sua vita - e non solo parole - che diventino un riferimento. E per tali pecore Gesù «sente compassione»: il verbo greco e il corrispondente ebraico fanno riferimento alle viscere, all'utero: aver compassione come qualcosa che ti prende dentro, e ti prende nella maniera più coinvolgente e amante che ci possa essere al mondo, quella del legame della madre con il proprio piccolo.
Questo è l'inizio. Guai se la missione, il portare il Vangelo, diventa un fatto organizzativo, una questione di parole; guai se non vi abita la tenerezza e il coinvolgimento nello sguardo di Gesù, che coglie nei volti e nei corpi la stanchezza, e nei cuori lo smarrimento.

 

Ma, per il mandato missionario, la compassione deve portare anche alla preghiera. L'abbondanza della messe e la mancanza di operai non è riducibile ai molti impegni che i parroci oggi hanno, a causa delle diverse parrocchie loro affidate. C'è sempre sproporzione fra il lavoro missionario e la capacità degli inviati: perché lo è al livello di qualità, prima che di quantità. Anche se ci fosse una sola persona a cui portare il Vangelo, il compito è più grande delle forze umane: dipende tutto dalla grazia di Dio, non dall'impegno e dall'attivismo umano. Perché non si deve portare se stessi, i propri modi di vedere, la propria visione della Chiesa. Si deve morire alle proprie convinzioni perché viva solo la Chiesa di Cristo (patriarca Marco Cé). Per questo è essenziale la preghiera che, unica, può trasfigurare la nostra fede e il nostro annuncio.

 

Ma il clima è dettato anche dall'ultima parola del Vangelo di oggi: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Gesù presenta la missione non come un fare, ma come un ricevere e un dare. Per questo, chiedere o ricevere denaro è incompatibile con la gratuità dell'annuncio cristiano: sarebbe smentire il dono «gratuitamente» ricevuto. Questo avverbio ha la radice del termine «dono». Il quale è sempre un gesto di attenzione, di affetto, di cura. È dunque di più di qualcosa ricevuto senza pagare: il Vangelo che abbiamo ricevuto è un regalo che ci fa star bene e ci fa scoprire che siamo preziosi per il Signore. Con altrettanta gratuità, con altrettanto dono, regalo, la Chiesa è chiamata a porgerlo alle altre persone. Questa gratuità, questo dono per l'altro sono decisivi per dire Dio: per dire un Dio che è assolutamente stupefacente, come Buona Notizia, così come lo descrive Paolo, nella seconda Lettura: «Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi».

 

Alberto Vianello

 

 

Gente comune, tra loro due coppie di fratelli, altri presi per strada, lungo la riva, nomi come altri sparsi in giro. Gente comune che diventa una Chiesa, un corpo solo, ‘fratelli tutti’ davvero. Come due sposi che si amano e che per questo solo fatto ‘dicono’ che il regno di Dio è vicino anche quando le parole non riescono a farlo. La loro amicizia per la vita resta come ‘nostalgia’ e desiderio per i figli e per chi solo sa di loro.
“Ne sentì compassione perché erano come pecore senza pastore”. Risuona il Sal 26: “Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto”. Ma chi è senza pastore spesso resiste al pastore, non si fida, ha paura, non sopporta l’umiltà avendo dovuto arrangiarsi da solo. Immaginiamo quanto debba essere larga la compassione di Gesù.

 

“Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele”. Don Oreste raccomandava ai papà e alle mamme di casa famiglia: “Che non vi succeda di amare più i figli accolti che i vostri, ma tutti ugualmente e secondo il bisogno di ciascuno”. Scrupoli, sensi di colpa, voglia di dimostrare qualcosa agiscono su false e superficiali preferenze.
Sappiamo che sono inviati a dire in giro che il Regno è vicino non solo gli addetti, preti e suore, ma anche i laici. Del resto siamo tutti laici e tutti sacerdoti. “Cristiano, non dimenticare la grande dignità di cui sei stato rivestito!”, così san Leone Magno. Già!

 

Lo si diceva a proposito dei doni della Pentecoste, oggi scarseggiano le profezie, le guarigioni, le lingue, gli esorcismi. E del resto le parole sono già state dette tutte, pare che abbiano perso la potenza espressiva. Le parole e le immagini ci sommergono. Capita (deve succedere?) che i genitori non abbiano più parole per i figli. Le han dette tutte, bene o male, a suo tempo. Resta la loro vita. La carità, diceva san Paolo, non avrà mai fine. A noi il Signore non dà poteri di sorta che rendano (forse) più facile il compito di testimoniare ‘il regno dei cieli’. Dà ad alcuni la parola ad altri ne dà mezza. Sappiamo di essere poveri e questo ci tiene bassi. A tutti però dà il dono più difficile da portare, e il più grande, che è la facoltà di amare, il più simile al suo sacrificio, al dono di sé.

 

L’essere cristiano sta sull’Eucarestia: mangiare il corpo e bere il sangue di Cristo. A ben vedere solo questo ci porta da qui a là, dall’io a lui. È l’atto più decentrante in assoluto. Non più io, ma Tu. Corrisponde alle parole di san Luca (9,23): “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso”. Non c’è gesto più spiazzante (e liberante) e il mondo non lo riconosce e lo rifugge. Il mondo che è soprattutto dentro di noi vi si oppone e resiste con forza. Possiamo capire la lontananza degli altri, ai quali i dodici sono inviati e noi con loro. Gran misericordia allora, e gran pazienza basate su quel passaggio in Lui piuttosto che su argomentazioni ‘ben temperate’.

 

Nonna Rosaria ebbe nove figlie e rimase presto vedova. Le allevò e le educò al bene e i nipoti con loro. Ogni mattina alle sei andava a Messa ma parlava poco della sua fede. Era una gioia farle visita. Per i suoi piccoli, in dispensa nel sottoscala, c’erano sempre succhini e dolcetti ed essi, furbi, lo sapevano. Spesso la si prendeva in giro per quella religiosità che a noi ‘moderni’ pareva d’altri tempi. Cercavo di carpirne il segreto, a volte ero io a provocarla, ma niente: era una roccia. È vissuta centodue anni. Poi si è addormentata. Le donne del vicinato le confidavano i loro problemi per riceverne una parola di pace. Quando qualcuno dei suoi sgarrava, agli altri in sua assenza diceva: “Non è cattivo, fa così ma non è cattivo”. Basta poco. Succede che nell’oscurità del maltempo brilli un faro. Nonna Rosaria era una dei dodici. 

 

Valerio Febei e Rita

 

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