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Come tra amici

Briciole dalla mensa - Festa della Trasfigurazione (anno A) - 6 agosto 2023

 

LETTURE

Dn 7,9-10.13-14   Sal 96   2Pt 1,16-19   Mt 17,1-9

 

COMMENTO

Per la festa della Trasfigurazione, la liturgia ci offre - come prima Lettura - la celebre visione apocalittica di Daniele: l'eterno Dio (il «vegliardo»), insieme alla sua corte celeste, presenta ai fedeli il «Figlio dell'uomo», rappresentante della nuova umanità. Egli riceve un potere eterno e universale, sarà quindi venerato da tutti i popoli. Daniele supera così tutta l'attesa messianica di Israele: il Messia non sarà semplicemente un uomo con una missione affidatagli da Dio, ma apparterrà alla sfera stessa di Dio. Al tempo di Daniele, il potere umano era come "divinizzato": imponeva la propria cultura e la propria religione ai popoli sottomessi. Il profeta non si ribella proponendo la lotta armata, come fanno i Maccabei. Egli offre la visione di fede del movimento opposto: Dio e la sua opera entrano nella storia, per cambiarla, offrendo la prospettiva di una nuova umanità. Essa prenderà vita nell'uomo nuovo, Gesù.
Ancor più oggi rischiamo pericolosi dogmatismi, cioè affermazioni teoriche, non aderenti al reale: come le forme di un negazionismo (storico, sociale, ecologico), che considerano esagerazioni ideologiche i drammi della condizione umana e del pianeta. "L'antidoto" è Gesù e la sua umanità di Figlio di Dio, che denuncia i mali commessi (specialmente dall'uomo di oggi) e propone una nuova umanità, più "umana" e quindi aperta al regno di Dio. Questa è la via della Trasfigurazione.

 

L'autore della seconda Lettera di Pietro (seconda Lettura), uno scritto molto tardo, l'ultimo del NT, presenta la Trasfigurazione come la rivelazione della Parola. Essa conferma così la parola dei profeti, ed è simile ad una lampada che illumina il cammino. In questo modo, si aggancia al brano evangelico. Quella lampada è la voce di Cristo, che Pietro Giacomo e Giovanni ascoltano scendere dal cielo, mentre sono sul monte. A quella voce, che conferma quella antica, si fa bene a volgere l'attenzione, come lampada che brilla in un luogo oscuro.
È un invito a non temere l'oscurità del cammino, la complessità del vivere, il passaggio duro e faticoso attraverso la croce. Gesù Cristo si trasfigura davanti ai nostri occhi se noi lo ascoltiamo, nella misura in cui vi prestiamo davvero ascolto. Saliti sul monte per vedere Dio, i discepoli sono rimandati non all'esperienza del vedere, ma quella dell'ascoltare. Questa è la fede. Lungo questo itinerario dell'ascolto si costruisce l'esperienza del discepolo. Non si va per visioni, non si va dietro alle favole di chi dice, ingenuamente, di avere "fotografato" chissà quali visioni. Non si va dietro a un clima del meraviglioso e del sorprendente. La fede e la sequela non crescono per le vie della «visione», ma per la strada dell'ascolto.

 

L'esperienza sul monte della Trasfigurazione rivela Gesù nel suo essere in relazione con Dio, che proprio nell'assiduità alle Scritture trova il suo momento privilegiato, e rivela che questa relazione Egli la vive nella sua carne umana. Sul monte, Gesù non si distacca dalla realtà quotidiana e dalle sue fatiche, ma la relazione con il Padre passa, in modo fecondo, attraverso la vita di tutti i giorni e la realtà dell'umanità concreta.
In altre parole, la Trasfigurazione non è il riconoscere in Gesù una specie di semidio o un eroe: invece è la rivelazione che Gesù è un Figlio obbediente al Padre attraverso l'ascolto delle Scritture, rappresentate dalla presenza di Mosé ed Elia. Da tale esperienza, Gesù trae la forza per il suo cammino verso Gerusalemme, grazie alla relazione che vive costantemente con il Padre e dalla speranza e dalla consolazione che gli vengono dalle Scritture.

 

«Farò qui tre capanne, una per te, una per Mosé e una per Elia», dice Pietro. Il simbolo della «capanna» rinvia all’AT, dove allude alla Presenza di Dio. Dunque Pietro vuole porre sullo stesso piano, come parola di Dio, Mosé (la legge), Elia (la profezia) e Gesù (il Vangelo). La voce divina dalla nube corregge questa interpretazione e rivela che solo al Cristo si può attribuire il valore di «Presenza» perfetta di Dio fra gli uomini. Gesù è il Figlio amato e quindi è la «capanna» definitiva in cui Dio si svela e si rende presente: solo in Lui possiamo incontrare «pienamente» Dio, già qui in questa vita, con il solo limite dei nostri limiti umani. Nell'umanità di Gesù c'è tutta la Presenza di Dio e il compimento perfetto di tutta la sua opera di salvezza per il mondo intero.

 

La Trasfigurazione è esperienza personale fatta da Gesù, ma non è solitaria: coinvolge Pietro Giacomo e Giovanni. Perciò è anche un'esperienza di comunicazione di se stesso. E di una comunicazione di ciò che c'è di più intimo, personale dell'identità di Gesù. Nella Trasfigurazione avviene lo svelamento di sé, da parte di Gesù, e la consegna di qualcosa di veramente profondo, di unico del suo essere.
Anche al Getsemani saranno presenti gli stessi tre discepoli, quando Gesù aprirà il cuore alla comunicazione di ciò che lo prende in profondo in quella situazione: paura, tristezza, desiderio di una presenza amica e vicina. Così, la Trasfigurazione è rivelazione di comunione fra Dio e l'uomo in Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Ma è anche esperienza di un'umanissima comunione umana, come fra amici. Perché poi, come ci insegna il Vaticano II, la rivelazione divina avviene proprio come comunicazione e comunione fra amici.

 

Alberto Vianello

 

 

 

La Trasfigurazione è una festa. Ad essa guardano i monaci e quanti hanno lo spirito contemplativo sparsi nel mondo. Anche laici, poiché siamo tutti laici.

I contemplativi sono i sognatori, quelli ai quali il presente non basta, per dirla con Arturo Paoli. Sono quelli che desiderano che ‘dalle stelle’ scenda il Giusto, come dice un canto di Natale. Sono gli apostoli stessi che il giorno in cui il loro Gesù, il risorto, l’amato, ascende al cielo stanno naso in su a guardare là dove è sparito già in atto di nostalgia da cui due uomini ‘in bianche vesti’ li riscuotono: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo” (At 1,11). Gesù è la luce del mondo e non solo in senso allegorico, la luce è la prima opera di Dio in Genesi, la luce riveste la Madre in Apocalisse, la risurrezione fu un’esplosione di luce che impresse la sindone…

 

La cataratta è una degenerazione del cristallino, ma lenta lenta, tanto che chi ne è affetto non s’accorge di vivere in penombra. Ma appena operato, un abbaglio di luce che non si regge. ‘Toh, come è luminoso il mondo e non lo sapevo!’. Ed è dir poco!
La visione è entusiasmante, la veste di Gesù è bianchissima che sulla terra di più non si può, come diceva una sciocca pubblicità di saponi. Il suo corpo irradia luce, Mosè (anche lui irradiava luce all’uscire dalla tenda del convegno) ed Elia, la Legge e i Profeti gli danno testimonianza, e i tre sono estasiati e fuori di senno e Pietro, gli succede spesso, non sa cosa dice, il primo degli apostoli anche nella semplicità. ‘Ci siamo anche noi qui, che bello, vogliamo restarci…’.

Vorremmo restarci, metter su tende, ammirati in quella stupefazione che ci è data come apparentamento, come somiglianza sperata. “È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10). E infatti, per chi ha un certo gusto o si sforza di averlo, adorare e contemplare è un’appagante attività dell’anima. Passa di qui tutto l’anelito di chi cerca il suo volto ed impara così ad amarlo. Esaltante e facile per Pietro, Giacomo e Giovanni, ma che sbatacchiata! Prima la nube, poi il suono di quella voce e il comando: “Ascoltatelo!”. In questo sta la volontà del Padre. Ecco perché erano lì: testimoni a posteriori e per tutti che in Gesù il Padre ha posto il suo compiacimento. Non c’è altro modo per essere nella grazia di Dio se non seguendo il Figlio.

 

Dall’esaltazione alla paura il passo è breve, quanta instabilità nelle emozioni! Faccia a terra e così rimangono finché Gesù, rimasto solo, non li riscuote. E mentre scendono l’ordine di non parlare a nessuno dell’accaduto “prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".
Che vorrà dire prima che Egli sia risorto? Come in altre parti in cui Gesù parla della sua Pasqua essi non capiscono. Sta di fatto che non ne parlano se non dopo, e la visione diventa materia di fede per gli altri.
Il passo dal presente all’immagine della gloria futura che la Trasfigurazione rappresenta è breve. Se ne avessero parlato, tutti sarebbero stati presi da ammirazione. Ma Gesù non ne vuole sapere e non ci servirebbe, non ne saremmo aiutati nella conoscenza del suo amore per noi. I suoi discepoli certamente avrebbero creduto ai tre. Gli altri?
Ma c’è un’altra cosa che corregge la nostra comprensione frettolosa del messaggio: noi passeremmo dal giovedì alla domenica facendo volentieri a meno del dopo cena di giovedì, del venerdì di passione e morte e del sabato delle esequie. Senza la sua passione morte e risurrezione non saremmo stati amati. Non c’è risurrezione se prima non c’è la morte. La croce e la gloria sono inscindibili.

 

Valerio Febei e Rita

 

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