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Attirati dall’umanità di Dio

Briciole dalla mensa - 5° Domenica di Quaresima (anno B) - 17 marzo 2024

 

LETTURE

Ger 31,31-34   Sal 50   Eb 5,7-9   Gv 12,20-33

 

COMMENTO

 

Le tre Letture di questa domenica ci parlano dell'alleanza: l'unione che lega insieme, per la vita, Dio e l'uomo. L'alleanza nuova, sognata da Geremia, iscritta nel cuore degli uomini è fatta di perdono e di riconciliazione (prima Lettura); ha un sicuro mediatore in Gesù Cristo, costituito vero sacerdote e tramite perché ha provato nella sua debolezza umana, fino alla morte, tutta la nostra fragilità, e quindi sa capirci e aprirci a Dio (seconda Lettura); infine è un'alleanza che si compie sulla croce di Gesù, che ci attira a sé nel dono della sua vita, e ci chiede di assumere anche noi la vita come dono di sé (Vangelo).

 

Geremia parla di una nuova alleanza nella quale il Signore non prenderà più solo per mano l'uomo, ma lo prenderà per il cuore: perché la legge del Signore sarà scritta nel cuore. È un'immagine per dire che sarà nel mondo interiore dell'uomo che si vivrà il patto con Dio. Non sarà una legge esteriore, ma che verrà dalla fonte dell'intelligenza positiva, della sensibilità più umana, della scelta consapevole ad indirizzarsi al bene (tutto questo è il «cuore» per la concezione biblica). Quindi scaturirà da tutto ciò la legge che tiene l'uomo in accordo e in armonia con Dio e con il suo progetto di salvezza.
Non ci sarà più una scienza infusa o frutto dello studio («Non dovranno più istruirsi l'un l'altro»): perché la sapienza sarà data dall'esperienza diretta e personale del Signore, incontrando e sperimentando il suo amore compassionevole e riconciliante: «Tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande, perché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato». Ciascuno sarà toccato nel cuore e conosciuto dalla misericordia divina: questa sarà la vera conoscenza del Signore.

 

Il brano della Lettera agli Ebrei ci ricorda la preghiera di Gesù, riferendosi chiaramente alla sua preghiera al Getsemani. Gesù ha presentato al Padre tutta la sua angoscia e sofferenza. Per la Lettera agli Ebrei questa è stata la sua offerta paradossale: «Offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime». Perché ogni preghiera è anche un'offerta, in quanto è accompagnata dalla disponibilità ad accogliere la soluzione voluta da Dio.
Ma Dio non ha salvato il Figlio dalla morte. Eppure il testo dice che ha esaudito la sua preghiera. Ma come la esaudita? Il Padre ha consentito a Gesù di vivere anche l'esperienza terribile della croce, della passione, rimanendo Figlio. Imparare l'obbedienza da ciò che si patisce significa imparare a rimanere figli, attraverso le prove della vita. E questo è il contenuto fondamentale della nostra preghiera: poter rimanere figli.

 

Il brano evangelico inizia con un passa parola fra gli apostoli: dei Greci, quindi dei pagani, dei senza Dio, vogliono vedere Gesù, si stanno aprendo alla fede in Lui. Anche oggi dovrebbe essere il vero motivo della gioia, nella Chiesa, la bella notizia da passarci: il desiderio che ancora abita tanti uomini e tante donne del nostro tempo, non frequentatori soliti delle chiese, il desiderio di vedere Gesù.
Quando Andrea e Filippo riferiscono della ricerca dei Greci, è come se quella richiesta riproponesse alla mente di Gesù e al suo cuore la vicinanza della sua ora, quella dell'innalzamento sulla croce, l'ora che lo avrebbe pienamente manifestato: perché sulla croce lo avrebbero finalmente visto, dalla croce ci sarebbe stata quella attrazione universale che ora aveva condotto a Lui alcuni Greci. La sua morte in croce sarebbe stata piena attuazione perché gesto di amore smisurato: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirò tutti a me».

 

È anche vero che la morte tremenda e degradante come la croce, di per sé, non attira, all'opposto provoca repulsione. E, comunque, l'attirare sembra indicare poi un cammino umano verso tale «spettacolo». Può aiutarci considerare che Giovanni usa questo verbo per dire della fatica fatta da Pietro per portare a riva la rete piena di centocinquantatre grossi pesci (cfr. Gv 21,11): «trascinò». Gesù crocifisso «ci trascina in» Lui (letteralmente): Egli porta il peso di tutta la nostra umanità perduta e la solleva alla relazione con il Padre. Non siamo affascinati e attirati: siamo tirati come pesci inermi e impotenti verso la gloria di Dio. Tale è la forza di quel corpo martoriato e inerme sulla croce.

 

Ma questo annuncio di Gesù è accompagnato dal suo profondo turbamento. È consolante questa confessione di Gesù della sua paura e della sua incertezza. È una confessione che si accompagna e che ci dà forza nei momenti in cui, davanti ai drammi della vita, al dramma della guerra disumana a Gaza e delle morti che essa provoca, pure noi, come Lui, sentiamo l'anima turbata.
Ma nello stesso tempo, come è grande Gesù nella sua decisione di non tornare indietro: «Che cosa dirò? Padre salvami da quest'ora?». Nemmeno l'unigenito Figlio del Padre è stato salvato dalla morte. È entrato come noi nella morte, ma Dio da quella terra, che sembrava il segno della vittoria del male della morte, Dio l'ha risuscitato. Così Dio ha glorificato il suo nome. Il nome di Dio non può essere glorificato nella morte, bensì nella vita dei suoi figli.

 

Alberto Vianello

 

 

Come il serpente di bronzo salva chi si volta a guardarlo, cercare con lo sguardo Gesù ‘innalzato’ sul palo salva dal male. Perché il peccato c’è, nell’ira, nel dileggio, nel giudizio e in infiniti altri modi. Anche in cose piccole, non ci si bada, si passa ad altro e basta poco per assolverci, gettarsi dietro le spalle i resti ignorati dalla coscienza finché di coscienza non ce n’è più. Un po’ di razzismo, di disprezzo sociale è sufficiente a ritenere che non è poi un gran crimine far fuori qualcuno.

 

Ebrei e ‘greci’ vanno al tempio, gli altri vanno alla preghiera, perché? Per compiere il precetto, si dice. Per molti lo è. O forse non è per fare esperienza di rigenerazione, di rinnovamento? Alla fine precetto su precetto stanca, ai più oggi non dice nulla. Un rito per adepti.
Eppure non è così. Quei ‘greci’, ebrei della diaspora che ormai hanno cultura e lingua greca, ecumenica al tempo di Gesù, mentalità corrente, saranno anche stati curiosi di conoscere il profeta di cui si parla. Possiamo pensare però che, venendo da fuori, sono meno osservanti, meno ligi al potere culturale ortodosso del sinedrio, e più liberi di cercare risposte più coerenti e vicine alle esigenze dello spirito. “Vogliamo vedere Gesù”, vogliamo sapere se Lui risponde al bisogno di verità, se è soluzione al non senso, al grigiore, al vuoto, alla meschinità delle opere e dei pensieri. Il peccato si sconta vivendo e con la fronte aggrottata.

 

Anche noi siamo ‘greci’ ammalorati, comunque mancanti di vita, spesso gravati da piccoli e grandi pesi gettati sulle spalle altrui. C’è motivo che ci sia Cristo per trovare pace, buon senso, il rapporto con sé.
Può essere anche curiosità che muove a cercare, ma la salvezza non è un di più, un’opzione per benestanti: non ci vuole molto per sapere di aver bisogno di essere salvati dalla testa ai piedi. Non c’è chi sta meglio o peggio: nessuno si salva da sé.
È proprio l’avvertimento del male di vivere, l’uggia conseguente che smuove la voglia di aria, aria... E ispira l’idea di vedere Gesù. Siamo greci, veniamo da fuori, mezzi pagani o pagani del tutto, ma siamo ancora capaci di riconoscere il bello e il brutto. Vogliamo vedere Gesù, di persona. E così si contatta l’uno, il più esterno del gruppo (e più solidale con noi), che contatta l’altro del cerchio magico. È il mistero o la funzione della Chiesa, né più né meno.

 

Nella nostra presunzione di moderni autosufficienti e sapienti siamo propensi a far da soli, se già non facciamo pasticci sincretici. Andiamo a Gesù ma da soli, direttamente senza mediazioni, come si fa nel protestantesimo più o meno. Abbiamo testa, occhi, bagaglio di conoscenze… ci basta. Così la Chiesa è un accessorio, i preti poi sono uomini come tutti, e peccatori, eccetera. Ma non c’è Cristo senza Chiesa. Chiesero a don Milani, inviso ai vescovi, perché non lasciasse la Chiesa. Lui rispose: “Chi mi assolverà dai miei peccati?”. Gesù ha consegnato agli apostoli, e alla Chiesa, l’amministrazione del patrimonio di salvezza acquistato dal suo donarsi. Senza la Chiesa, e il prete, non ci togliamo di dosso il male di vivere, non torniamo a sperare nella bellezza, non riprendiamo la leggerezza. L’amore senza fine di Gesù per noi resterebbe inoperante senza quella consegna a Pietro. “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23). Tu puoi fare questo e quello ma da ogni peccato la Chiesa ha la virtù di liberarti. Si rinasce.

 

L’arrivo dei greci, ora sappiamo in che rapporto siamo con essi, quelli che vogliono vedere Gesù, cioè fare esperienza dei suoi benefici, è un richiamo per Lui alla missione, al mandato ricevuto dal Padre, a portare a compimento l’amore che salva senza tergiversare, senza attardarsi, ora che anche i lontani si sono arrivati. Pare proprio che li attendesse. Siamo noi, come sentiamo il desiderio di rinnovamento Cristo torna in fretta a donarsi, poiché il suo sacrificio di amore si rinnova al presente ogni giorno.

 

Valerio Febei e Rita

 

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