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Accogliere la propria umanità

Briciole dalla mensa - 1° Domenica di Quaresima (anno C) - 10 marzo 2019

 

LETTURE

Dt 26,4-10   Sal 90   Rm 10,8-13   Lc 4,1-13

 

COMMENTO

Tutte e tre le Letture della prima domenica di Quaresima ci invitano ad attingere alla fonte, sempre ricca e feconda, della fede. Infatti, nella prima Lettura, al pio ebreo che, in segno di ringraziamento, offre a Dio le primizie del raccolto, viene raccomandato di accompagnare il gesto con il ricordo di tutto ciò che il Signore ha compiuto in favore del suo popolo: la liberazione dalla schiavitù e il dono di una terra feconda. La fede non è fatta di un ammasso di dottrine o di un insieme di leggi, ma è il ricordo grato e narrato dell'opera divina in favore dell'uomo. Dio, pur lasciando libero l'uomo, vigila e custodisce il mondo e la storia con il suo dono, perché non vadano in rovina. A livello personale, se considero tutto ciò che di bello e di buono Dio ha donato alla mia vita e lo metto sul piatto di una bilancia, non posso pensare nulla di così rovinoso che mi possa capitare (che non sia imputabile a me) che, posto sull'altro piatto, possa pesare di più. È questa considerazione che mi aiuta a rimanere attaccato al Signore, mi aiuta ad avere fede.

 

Nella seconda Lettura, Paolo afferma che la fede deve coinvolgere tutto l'uomo, interiorità (cuore) ed esteriorità (bocca). Vivere la fede cristiana è vivere la carità che Gesù Cristo (cfr. 1Cor 13,1-13), ma questo non può essere proclamato con gli atti di devozione e venire poi smentito con le scelte della vita: come quella di volere che la carità sia solo per i "nostri" e di non voler accogliere "gli altri".
È proprio la fede che abbatte ogni muro divisorio e discriminatorio, infatti il brano di Romani continua affermando: «Non c'è distinzione fra Giudeo e Greco (per un ebreo era la più netta divisione fra le persone) dato che Lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano». Ogni uomo è voluto da Dio e salvato dalla sua misericordia: credere nel Signore è essenzialmente credere che la sua Grazia è per ognuno, e quindi ci unisce tutti.

 

Anche il Vangelo delle tentazioni ci parla di fede, perché non esiste una vera fede che non sia messa alla prova (cfr. 1Pt 1,6-7). Perciò la tentazione non va evitata, ma attraversata.
Gesù, nella tentazione, non è da solo: è «pieno di Spirito Santo» ed è «guidato dallo Spirito nel deserto». Lo Spirito ci conduce alla nudità della nostra umanità più autentica: se ci lasciamo agire da Lui, ci troviamo liberati dall'autoesaltazione o dall'autodepressione. Siamo ricondotti a noi stessi e, quindi, esposti autenticamente alle prove. In fin dei conti disperare e rinunciare nelle prove significa non accettare di essere umani, quindi fragili, tentati, feriti, contraddittori. Dio non ci vuole liberare dalle prove perché sa che esse servono per farci accogliere la nostra umanità. Essa non è perfetta ma nemmeno fallimentare, e si impreziosisce se, nelle prove, impara ad avere pazienza e ad appoggiarsi al Signore. Per questo Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre: «Non abbandonarci alla tentazione».
Del resto il Vangelo ci narra che anche il Figlio di Dio è stato tentato, in quanto uomo. Ed è stato tentato fino in fondo (tre è il numero della perfezione), come dice la Lettera agli Ebrei: «Egli è stato messo alla prova in ogni cosa come noi» (Eb 4,15). È il diavolo, cioè il male, che suggerisce ciò che farebbe soccombere alla prova. Quindi la tentazione non viene mai da Dio (cfr. Gc 1,12-15), né nasce dalla natura dell'uomo, anche se la sua fragilità la favorisce: è il male che vuole trasformare la fragilità dell'uomo in occasione di rinuncia a se stesso.

 

Pretendere che le pietre diventino pane (prima tentazione) significa commisurare la propria fiducia in Dio sulla base sì di un bisogno primario, ma non per questo da assolutizzare. Infatti Gesù risponde con le parole della Scrittura: «Non di solo pane vive l'uomo». Luca non riporta la seconda frase della citazione di Dt 8,3, che parla del nutrimento della Parola, perché, per lui, tale bisogno viene superato non solo dall'ascolto della Parola, ma anche dalla sua essenziale messa in pratica che consiste nella solidarietà e nella condivisione fra gli uomini che hanno effettivamente accolto la Scrittura. La tentazione di assolutizzare i bisogni primari viene superata credendo in un mondo edificato, con la Grazia, dal lavoro e dalla condivisione dei suoi frutti.

 

Avere il potere su tutti i regni della terra (seconda tentazione) è la prova di sentirsi riusciti solo se si ha la capacità di influire - o addirittura dominare - sugli altri, significa avere relazioni basate sulla forza, come scudo di protezione rispetto alla propria debolezza. In una parola è farsi dio degli altri. Per questo, Gesù risponde al diavolo citando un altro versetto della Scrittura, che, in questo caso, afferma la dipendenza da Dio solo: è la via per non far dipendere gli altri da noi. Gesù ci ha rivelato l'inaspettato volto di un Dio che non si pone al di sopra di tutti, ma che, all'opposto, si pone al di sotto, cioè al servizio, dando tutto il valore agli uomini, che Egli libera dal peccato accettando di farsi peccato (cfr. 2Cor 5,21). Perciò ci si libera dalla tentazione di asservire gli altri asservendosi al Signore che si fa servo, per amore nostro.

 

La terza tentazione è, nelle intenzioni del diavolo, una farsa della fiducia in Dio: se ti fidi di Lui, chiedigli l'impossibile, come buttarsi giù dall'alto del tempio. Ma Gesù sceglie piuttosto di rimanere dentro i limiti della sua corporeità: il superarli non ti rende più vicino a Dio. Detto in altre parole, la via della santità è la via dell'umanizzazione, perciò la vera religione non è fatta di gesti e di esperienze eclatanti. Se pensiamo che la via della fede sia quella della ricerca dello straordinario, significa che non accettiamo la normalità della nostra condizione umana. Certo Dio ci vuole trasformare con la sua Grazia, ma perché diventiamo più umani, non perché diventiamo esseri prodigiosi che volano giù dal tempio. Perciò Gesù risponde all'insinuazione demoniaca ancora con la Scrittura: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Così Egli manifesta la sua realtà filiale, umile docile, e custodisce l'umano mantenendolo dentro ai suoi limiti. Avere Dio a proprio favore e vicino non significa prospettarci una super umanità che si faccia essere dei “diversamente dei”.
Con grande sapienza papa Francesco afferma: «Abbiamo detto tante volte che Dio abita in noi, ma è meglio dire che noi abitiamo in Lui, che Egli ci permette di vivere nella sua luce e nel suo amore. Egli è il nostro tempio» (Gaudete et exultate, 51).

 

Alberto Vianello

 

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