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La dimensione spirituale della nostra quotidianità

Briciole dalla mensa - Festa del Corpo e Sangue di Cristo (anno B) - 3 giugno 2018

 

LETTURE

Es 24,3-8   Sal 115   Eb 9,11-15   Mc 14,12-16.22-26

 

COMMENTO

Nel brano del Vangelo sono stati tagliati dalla lettura i versetti sul tradimento di Giuda (vv. 17-21). Evidentemente si è pensato che "facevano brutto" alla contemplazione della scena di Gesù che, nell'ultima Pasqua ebraica della sua vita, istituisce la Pasqua cristiana con le parole e gesti sul pane e sul vino della celebrazione. Invece, con grande sapienza, la liturgia della Messa introduce proprio il memoriale dell'Ultima Cena con le parole: «Nella notte in cui fu tradito...». È questo il contesto che dà spessore storico all'Eucaristia: in essa Gesù consegna la propria vita perché Giuda sta per consegnarlo ai Giudei. Nella festa del «Corpus Domini» non ci limitiamo a contemplare una sublime presenza divina del Figlio di Dio, ma sperimentiamo, attraverso il rito, l'evento dell'Amore che penetra la storia attraverso tutte le sue ferite, che si fa a sua volta ferita per poter guarire tutte le sofferenze dell'uomo. Davvero il «Corpus Domini» non è tanto la visione di Dio, quanto la lettura della storia, a partire dal dono della stessa vita di Dio in Gesù Cristo. Proprio per questo Gesù annuncia il tradimento di Giuda prima di dire sul pane sul vino: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». Ambedue sono parole che "consacrano" la vita di Gesù al dono di sé.

 

Il testo dice poi che di quel pane e di quel vino ne presero «tutti», quindi anche Giuda. Gesù non teme di offrire il dono della propria vita a un discepolo che stava per tradirlo. Anche Giuda "fa la comunione". Anzi: il Vangelo di Giovanni racconta che Gesù ha condiviso con lui un boccone speciale, gesto di attenzione e intimità particolare, proprio con il traditore (cfr. Gv 16,26-27). Se l'amore si misura sul bisogno dell'altro, Giuda era colui che ne aveva più bisogno, e ne riceve di più. Così Giuda "fa la comunione", e in modo speciale, rispetto agli altri discepoli! Il suo dramma sarà di non accettare un tale gesto d'amore, di non credere che il Signore fosse disposto ad amarlo fino a questo punto: di accoglierlo non "nonostante" fosse il traditore, ma proprio perché lo era.
Proprio per questo papa Francesco dice che «l'Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (Evangelii Gaudium, 47). Più ci riconosciamo peccatori, più abbiamo bisogno di accostarsi all'Eucaristia, come fa Gesù con Giuda. Deve aumentare nella Chiesa questa coscienza di fede, allora avremo il coraggio di cambiare una certa prassi esclusivista. L'Eucaristia non può essere un sacramento di condanna di nessuno, ma l'unica vera opportunità di dare spazio alla Grazia perché la propria vita possa cambiare: e tutti ne abbiamo bisogno.

 

Per rendere presente nei secoli il dono della sua vita, Gesù ha scelto i due elementi del pane e del vino, ovvero un cibo e una bevanda, che sono ciò che più rappresenta la vita, come il nutrirsi e il bere. Due elementi, poi, che indicano quotidianità, ma anche piacere di gustare e condividere. Il pane e il vino sono due realtà normali ma fondamentali: nessuno si stupisce di esse, ma tutti ne notiamo la mancanza se non li troviamo sulla tavola ogni volta che ci sediamo a mangiare. Tale è la presenza e l'azione del Signore con noi e tra noi. Non lo sperimentiamo nell'eccezionale, ma nel normale, eppure essenziale. Lui è come il pane che nutre, e come il vino che dà gioia: non possiamo farne a meno. L'Eucaristia penetra la nostra umanità perché si fa ordinaria: è festa e gioia, perché sono gesti e senso di ogni giorno. Tutto ciò ci riconduce alla dimensione spirituale della nostra quotidianità. Perché è in ciò che viviamo nella normalità che dobbiamo scoprire la presenza e l'opera del Signore: in quella persona, in quell'incontro, nella giornata in casa o al lavoro. Ogni realtà e ogni situazione sono imbevute della presenza del Signore, da quando Lui si è fatto e si è dato come pane e vino ai suoi discepoli. Allora la fede consiste nel chiedersi come ogni cosa posso rinviarci alla vita di Dio che ci è stata donata in Gesù Cristo, nell'Eucarestia. E anche la Messa, a cui partecipiamo, non è fatta soltanto di un culmine nell'Ostia e nel Calice elevati, ma è fatta di incontri tra persone, di sguardi, di parole, di tocchi, di abbracci, di parole ascoltate e dette, di musica, di carità... Così che l’Eucaristia continua, senza soluzione di continuità, fuori della Chiesa. Anzi: possiamo dire che tutto fa l'Eucaristia: ciò che abbiamo vissuto durante la settimana e che ci portiamo dentro la Messa domenicale e l'impegno e la responsabilità del prendersi cura che impariamo, per esperienza, nella celebrazione.

 

Tutto ciò ci porta anche a considerare il rapporto fra Eucaristia e politica, soprattutto nella situazione del nostro Paese. Propongo un "assaggio" di una ricchissima relazione di Giuseppe Dossetti in occasione del Congresso Eucaristico diocesano (Bologna) del 1 ottobre 1987:
«Come la Chiesa riunita nell'assemblea eucaristica è l'epifania anticipata del Regno, così la Chiesa inviata dall'Eucaristia è una Epifania se volete della polis salvata: "politicità" tutta sui generis, che non governa e non ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno di appetibile, ma unicamente per quello che sono nel mistero (anche se poveri, deformi, incoscienti, in tutto inappetibili): cioè non incontra l'uomo dall'esterno e in superficie, ma lo incontra nel suo "sé" più intimo, più invisibile, più pneumatico, creando e divulgando ovunque - nel seno di ogni società grande o piccola, soprattutto nei micromodelli di comunità nuove che alcuni sociologi laici ora raccomandano - un'atmosfera di rispetto, di comprensione, di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore oblativo, indipendente da ogni condizione esterna mutevole, che "non avrà mai fine" (1Cor 13,8)».

 

Alberto Vianello

 

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