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L'umanità del Regno vince la disumanità del mondo

Briciole dalla mensa - Cristo Re dell'universo (anno B) - 25 novembre 2018

 

LETTURE

Dn 7,13-14   Sal 92   Ap 1,5-8   Gv 18,33-37

 

COMMENTO

Un re che non abbia un suo regno non è un vero re. Allora, quale regno Cristo possiede, visto che questa domenica lo celebriamo come re? Beh, è facile: il regno di Dio! Sì, ma non riesco a trovare, nei Vangeli, una spiegazione di Gesù che mi indichi in che cosa consista questo suo «regno». Più che altro, Gesù ha mostrato come sarebbe diversa la vita se tutti facessero come ha fatto Lui: curando gli infermi, difendendo i poveri, facendosi amico dei peccatori. Allora possiamo dire che il «regno di Dio» è la vita così come la vuole costruire Dio e come l'ha trasformata Gesù. Perciò «questi sono i tratti principali di questo regno: una vita di fratelli e sorelle, animata dalla compassione che ha verso tutti il Padre del cielo, un mondo dove si cercano la giustizia e la dignità di tutti gli esseri umani, incominciando dagli ultimi; dove ci si prende cura della vita liberando le persone e la società intera da ogni schiavitù disumanizzante; dove la religione è a servizio delle persone, soprattutto quelle più dimenticate; dove si vive accogliendo il perdono di Dio e rendendo grazie per il suo amore insondabile di Padre» (J. A. Pagola, Tornare a Gesù, EDB, Bologna 2015).
Se il «regno» ha queste caratteristiche, se è dunque il progetto del Padre di rendere la vita umana più "umanizzata", allora dobbiamo rifiutare un'eccessiva spiritualizzazione di questo regno, come se non fosse presente e all'opera in questo mondo. Né possiamo pensare a Cristo come a un re da onorare nelle chiese, mentre fuori di esse si disonorano i deboli.

 

Tutto ciò corrisponde a quello che Gesù afferma di sé come re nel dialogo con Pilato, che la liturgia ci offre per questa festa: dialogo drammatico, perché Gesù sta subendo il processo davanti all'autorità romana che decreterà la sua condanna alla crocifissione. Il governatore, dunque, interroga Gesù se Lui sia effettivamente «il re dei Giudei». La risposta di Gesù può sembrare evadente o puntigliosa: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». In realtà, con queste parole, Gesù domanda a Pilato se «re dei Giudei» lo dice come lo direbbe un romano, ovvero con il significato di re politico di un determinato popolo, oppure se lo dice come lo direbbe un Giudeo: allora avrebbe il significato di Messia, l'inviato di Dio che porta la salvezza per tutti e, in primo luogo, per i poveri. Pilato coglie appieno la precisazione che Gesù gli chiede: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me». Con queste parole il governatore romano afferma che lui intende «re dei Giudei» come lo intendono gli stessi Giudei: colui che realizza la nuova alleanza fra Dio e il suo popolo, non un re politico.
A questo punto Gesù può affermare la sua regalità, senza correre il rischio di essere frainteso, ma con un'immediata precisazione che è anche una conferma: «Il mio regno non è di questo mondo... il mio regno non è di quaggiù». Gesù è re e come tale possiede un regno, ma esso si colloca in una dimensione totalmente diversa, potremmo dire opposta, a «questo mondo»: vuol dire «di un altro mondo». Si tratta di un regno reale e ben precisamente consistente, ma totalmente alternativo e infinitamente staccato rispetto ai regni che la storia conosce. Una alternativa e una distanza che corrispondono allo stacco che c'è fra qualcosa che è «quaggiù, in questo mondo» e ciò che appartiene a «lassù, all'altro mondo».
Poi Gesù spiega esemplificando una caratteristica essenziale del suo regno: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei». I regni di questo mondo si reggono sulla forza, tante volte anche sulla violenza: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governatori delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono» (Mc 10,42). Totalmente opposto è lo stile del Signore: «Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Lo stile di Gesù è anticipatore di questa caratteristica fondamentale del suo regno, totalmente trascendente rispetto a quella dei regni di questo mondo. Dunque un regno fatto di pace, di accoglienza, di disponibilità senza riserve verso l'altro, di comunione indefettibile e senza alcuna ombra.

 

Solo a questo punto Gesù può affermare formalmente la sua regalità, perché l'ha ben precisata e non può essere più fraintesa come una regalità simile e concorrenziale alle regalità della storia. Così, alla ripresa della domanda iniziale di Pilato, Gesù risponde solennemente: «Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità». La verità è proprio il progetto umanizzante del Padre, cioè il suo regno, che Gesù, suo Figlio, è venuto a realizzare nel mondo con il dono della sua vita. Lui si è identificato totalmente in questo progetto, e in esso è consistita anche la sua unità con il Padre, per tale progetto ha accettato anche di morire, per mostrare che il suo regno è diverso dai nostri regni umani: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?» (Mt 26,52-53).
Seppur per via di negazione, secondo il Vangelo di Giovanni, viene affermata e sancita dall’unica vera autorità, quella romana, la regalità di Cristo. Il quale, proprio come re, darà la sua vita sulla croce, e, in quanto re – Messia, ci donerà la salvezza.
Noi attendiamo che un regno così diverso dai violenti regni di questo mondo si manifesti pienamente, perché Cristo lo ha già saldamente piantato su questa terra, quando è stata piantata la sua croce. Ma ci è chiesto anche di fare discernimento sulle autorità che oggi assurgono a potenze del mondo: spesso si servono di un facile consenso catturato alla gente, invece che servire effettivamente la causa dei popoli. Ogni politica e ogni prassi che è disumana e disumanizzante va smascherata, denunciata e respinta attraverso un comportamento opposto, tutto sulla linea del regno del Padre: il suo progetto umanizzante dell'uomo e di ogni uomo.

 

Alberto Vianello

 

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